Carla Sprinzeles "Siate santi come io sono santo".


Commento su Ap 7,2-4.9-14; Mt 5,1-12
Carla Sprinzeles  
Tutti i Santi (01/11/2015)
Chiariamoci qualche idea sui santi.
Nella Bibbia troviamo scritto: "Siate santi come io sono santo".
Se siamo figli, è normale
assomigliare al Padre.
Purtroppo questo traguardo sembra troppo spesso irragiungibile e ci accontentiamo di portare avanti una vita tra scoraggiamenti e sforzi volontaristici.
Noi occidentali ci portiamo dentro di noi l'idea che il santo debba essere un eroe.
Del resto, per canonizzare qualcuno, la chiesa richiede la prova dell'eroicità delle virtù.
Il vangelo e l'Apocalisse parlano di ben altra cosa.
Il vangelo afferma che chi precede i"giusti" sono i peccatori che, consapevoli della loro debolezza, si fidano della misericordia del Padre più che dei loro meriti, solo apparentemente assenti.
Chi ascolta il proprio cuore di fronte alle necessità di qualunque persona, senza guardare all'apparenza, ma al bisogno, chi avrà capacità di valorizzare, stimare, dar fiducia, creare felicità attorno a sé, sarà contato tra i "benedetti del Padre".
Dio è relazione, ma ha bisogno di noi per entrare in contatto con gli uomini.
Siamo chiamati a far le veci del Padre presso il fratello.
Certo la santità è unione con Dio, ma non sempre è consapevole: è obbedienza al proprio cuore, di fronte alle necessità dell'altro, pur diverso, peccatore, pesante.
Assomigliare al Padre che fa sorgere il sole sia sui buoni che sui cattivi.
APOCALISSE 7,2-4.9-14
Anche la prima lettura, tratta dall'Apocalisse afferma che il santo non è "merce rara".
L'Apocalisse non parla dell'ultimo giorno, non ha il problema di dire cosa succederà alla fine, ma di cosa sta succedendo nella storia, la rivelazione progressiva di Gesù nella storia.
L'esperienza dell'uomo di inadeguatezza, avendo sempre bisogno di qualcosa, non necessariamente materiale.
Nell'Apocalisse è chiarissimo: stanno dalla parte di Dio coloro che vivono e muoiono a causa della parola di Dio e della testimonianza e non "non facendo niente di male".
La grande tribolazione è la vita, ma non è affidata a un cieco destino.
Coloro che stanno dalla parte di Dio e dell'Agnello non sono risparmiati dalla distruzione e dalla sofferenza e neppure dalla morte fisica, sono però risparmiati dalla distruzione totale e dall'annientamento.
La loro vita non cade nell'oblio, perché accolta e trasigurata!
Il numero 144.000, proveniente da ogni tribù dei figli d'Israele è il prodotto di 12 (tribù d'Israele), per 12 (numero degli apostoli) per 1000 (numero di grandezza divina).
Poi c'è un gruppo internazionale, "moltitudine immensa che nessuno poteva contare".
Stanno in piedi, perché sono vivi come l'Agnello, con il quale sono in relazione "gli stanno davanti", indossano vesti bianche (colore che li accomuna al mondo divino, in modo particolare alla resurrezione di Cristo) e reggono le palme (segno della vittoria sul male, che condividono con il Cristo).
L'idea centrale è che gli appartenenti a questo nuovo popolo presteranno a Dio e all'Agnello un culto perenne, in quanto la divinità è venuta ad abitare in mezzo a loro.
MATTEO 5,1-12
Per dichiarare santa una persona la chiesa moltiplica inchieste, richieste di testimonianze e di miracoli e esami degli scritti.
Il vangelo riassume in una sola parola il criterio della santità: "Beati".
Inizia con "Beati i poveri", ma in realtà cosa vuol dire?
Gesù l'ha presentato come programma della sua attività.
Quando diceva "beati i poveri" o "beati gli afflitti" intendeva dire che le persone che abitualmente non venivano considerate benedette da Dio, perché povere, ammalate, sofferenti, piangenti o perseguitate, erano i soggetti dove l'amore del Padre si esprimeva, dove l'azione di Dio perveniva.
Spesso è stato travisato perché si pensava al dopo morte: qui siete poveri e afflitti, ma dopo la morte sarete beati! No! Gesù non ha mai parlato al fututo, ma del presente!
Cosa ha voluto dire allora?
Prendiamo il testo, dice: "Vedendo le folle, Gesù salì sul monte" viene presentato Gesù come il nuovo Mosè, che salì sul monte per incontrare Dio e ricevere la sua legge.
"Essendosi seduto, si avvicinarono a lui i suoi discepoli".
Gesù si siede, come un maestro, e chi voleva essere disponibile a imparare dalla folla si avvicina a lui. "Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, disse..."
Alzare gli occhi verso l'alto, è vedere il Padre, qui Gesù vede il volto del Padre nei suoi discepoli: in ognuno di noi vede una faccia del Padre.
"E avendo aperto la sua bocca, insegnava loro dicendo..."
Anche nella creazione Dio "soffia" e usciva l'uomo.
"A bocca a bocca" con Dio abbiamo la vita. Tanto che si dice che Mosè morì "sulla bocca di Dio".
Gesù ci dà la vita attraverso il suo insegnamento.
"Beati i poveri in spirito".
Il messaggio di Gesù sul monte, è "Beati i poveri"...
Ritorniamo a chiederci cosa vuol dire...
Tutti noi in qualche modo siamo poveri: o materialmente, o nelle capacità, nelle possibilità..
Se non mettiamo la nostra sicurezza, la nostra felicità nelle ricchezze, nelle nostre capacità, ma nello Spirito che riceviamo "bocca a bocca" da Dio siamo felici, beati.
Quindi essere poveri in spirito significa essere poveri delle nostre certezze, rinunciare a ogni assolutezza.
"Vostro è il regno dei cieli".
Se ci poggiamo su Dio, lui riuscirà ad agire attraverso di noi e riusciremo a costruire il regno d'amore nella nostra vita di tutti i giorni.
I poveri sono disgraziati, ed è compito della comunità cristiana togliere dalla condizione di povertà.
Gesù è venuto a proporre un nuovo rapporto con Dio e con le persone, che renda possibile una felicità piena.
Dio non è nemico della felicità, Dio è l'autore della felicità e desidera che questa felicità sia la condizione di ogni uomo.
Gesù proclama "beati i poveri di spirito".
Una spiegazione di questo termine è "poveri del Signore" ossia coloro che si fidano del Signore.
Ma vuol anche dire "poveri per lo spirito" ossia non persone che la società ha reso povere, ma persone che scelgono volontariamente di donare parte della loro ricchezza perché altri non lo siano più. Non è una scelta di un singolo, ma di una comunità.
Se c'è un gruppo di persone che oggi, volontariamente, per amore sceglie di essere responsabile della felicità e del benessere degli altri, da quel momento Dio si prende cura di loro: è un cambio meraviglioso. Se noi ci prendiamo cura degli altri, finalmente concediamo a Dio di prendersi cura di noi e si esperimenta che Dio è Padre.
In qualunque situazione la presenza del Padre ti sussurra: "Fidati di me! Non ti preoccupare".
Le difficoltà ci sono lo stesso, ma tu hai una forza nuova per affrontarle.
Quindi la prima beatitudine è questa: quelli che per amore, volontariamente, oggi decidono, in questo momento, di essere responsabili della felicità degli altri, beati perché di questi si prende cura Dio.
Tutte le altre beatitudini dipendono dalla prima.
Se ti preoccupi della felicità dell'altro, assomigli a Dio, avrai Dio dalla tua parte, collabori con la creazione!
Quelli che sono fedeli a questo programma, quelli che sono fedeli alle beatitudini, non si aspettino l'applauso, il riconoscimento dalla società civile e religiosa, ma la persecuzione.
Spero che abbiamo qualche idea più chiara.
Dio vuole la nostra felicità, qui e sempre, ma non ci preserva dalle persecuzioni, è semplicemente dalla nostra parte.
Viviamo questo programma di Gesù, nelle piccole cose di ogni giorno, anche oggi è necessario che l'azione di Dio venga accolta, che percepiamo di essere in vita, perché siamo "bocca a bocca" con lo Spirito e agiamo in conseguenza.
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