Chiesa del Gesù - Roma,"Il Regno è vita, che vibra"

Ap 7, 2-4. 9-14. Sal. 23, 1-2. 3-4ab. 5-6. 1Gv 3, 1-3. Mt 5, 1-12a.
Come nella preghiera del Padre nostro, anche nel discorso della montagna al centro vi è la promessa
e l’attesa del Regno dei Cieli. Regno dei Cieli o Regno di Dio è un’espressione che significa Dio nella sua potenza.

I padri raccontavano ai figli le grandi opere che il Signore aveva compiuto nei tempi antichi; tra esse la più grande era stata la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Nella terra dei faraoni Israele era migrato per cercare il pane in un tempo di carestia, poi era rimasto come popolo sottomesso ed esposto all’ingiustizia e alla malvagità del faraone. Ogni anno, nella festa di Pasqua, gli anziani ricordavano che Dio nella sua fedeltà si era preso cura della discendenza di Abramo suo amico ed era venuto in soccorso di Israele con mano potente, compiendo imprese prodigiose che avevano atterrito e sconfitto il più potente dei popoli della terra. I figli di Israele guidati dal Signore con una colonna di fuoco, di notte, e di giorno con una colonna di fumo, avevano attraversato il deserto e conquistato la terra di Canaan. Il popolo aveva fatto l’esperienza della potenza e della signoria di Dio, che si era manifestato vero re pastore proteggendo e difendendo il suo gregge con mano potente e braccio disteso.

Ugualmente il Signore aveva ricondotto il popolo dalla schiavitù babilonese nella terra dei padri e aveva ricostruito Gerusalemme dalle rovine.

Questi racconti accendevano in molti il desiderio e l’attesa di un riscatto e non mancavano quelli che tramavano – con esiti fatali – per rovesciare l’oppressore. Infatti al tempo nel quale Gesù diede avvio al suo ministero Israele viveva una condizione di sottomissione a un re pagano; le ingiustizie e i soprusi pesavano soprattutto sugli umili, i quali desideravano più di tutti che il Signore venisse di nuovo e liberasse il suo popolo per mezzo del Messia, come aveva fatto con Mosé. Il Regno di Dio infatti avrebbe significato la fine di ogni ingiustizia, la fine di tutto quello che rende la vita difficile e triste.

Sul monte Gesù dichiara che i poveri, che erano senza diritti e i più esposti all’arbitrio dei malvagi, sono beati perché la loro attesa non andrà delusa. Il Signore verrà a prendere le loro difese: essi vedranno la potenza del re, che si rivelerà vero pastore del suo popolo; egli farà la giustizia: rovescerà la potenza degli iniqui e solleverà i miseri dalla polvere.

Messa così, la cosa può indurre a pensare alla promessa di una “rivoluzione”. Gesù però non intende sostenere dei cambiamenti sociali attraverso un’azione violenta. Si tratta piuttosto di una conversione radicale, che ha il suo fondamento nel cuore. Infatti se il povero della terra diventa arrogante, dispotico, arrogante, la sua azione non approderà ad altro che a scalzare colui che lo opprime per farsi a sua volta oppressore.

Questo perciò è il tempo della pazienza. Non c’è spazio però per le illusioni: non ci sono soluzioni miracolistiche a ciò che rende dura e a volte disperante la vita. La conversione costa fatica, perché significa accettare la proposta del Signore e mutare sentimenti e pensieri. Le beatitudini sono la promessa di un nuovo cielo e di una nuova terra che hanno inizio i cuori rinnovati nei quali dimora la pace. Sono veramente beati quelli che hanno in cuore i sentimenti di Cristo; cioè quelli che si affliggono perché il mondo è schiacciato dal male; beati sono gli umili, gli ultimi tra tutti, che sanno essere pazienti, vivendo senza pretese e sempre aperti ad accogliere il prossimo; sono beati quelli che sospirano ardentemente la giustizia e si consumano perché trionfi, senza diventare nemici di nessuno, ma cercando le vie per aprire gli occhi di coloro che l’avidità o la paura hanno reso violenti e ingiusti; beati sono pure quelli che sanno vedere un fratello anche nel malvagio e perdonano sempre, senza stancarsi, donando ogni volta fiducia; sono beati quelli hanno Dio nel cuore e camminano nelle sue vie e quelli che cercano di portare pace e di stabilire buone relazioni tra gli uomini. Sono beati, infine, quelli che continuano, nonostante tutto, a credere in Dio e nell’uomo e per questo non di rado sono perseguitati sia dai malvagi che dagli zelanti. Perciò: beati coloro che sanno mantenere desta la speranza anche quando il bene sembra sconfitto!

Sono beati i poveri della terra, perché il Signore è venuto a liberare il loro cuore dalla tristezza nella quale li voleva rinchiudere la loro propria condizione e hanno imparato a cercare e trovare Dio in tutte le cose, confidando in Colui nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo. Costoro non si lasciano rubare la pace, ma ogni giorno ricominciano con pazienza a costruire relazioni segnate dalla presenza di Dio. Essi credono, infatti, che trattando gli uomini da fratelli incomincia la giustizia, che è il grembo da cui nasce la pace.

Ma quando avverrà questo?

Gesù risponde: Adesso!

Mentre infatti enumerando le condizioni di fragilità al presente promette la consolazione nel futuro, parlando del Regno dei Cieli afferma che già adesso i poveri e i perseguitati sono in possesso del Regno. Perché Dio ama tutti coloro che si trovano nella condizione assunta dal Figlio quando è venuto nel mondo.

Allora bisogna cercare dove e come nel presente il Regno dei Cieli è già un saldo possesso dell’umile.

La risposta si può trovare in Gesù stesso. Le beatitudini si possono leggere infatti come una sorta di autoritratto del Signore. In lui si possono riconoscere tutti gli umili della terra.

I rinati nel battesimo, coloro che sono divenuti figli di Dio nella Pasqua del Signore sono già cittadini del Regno e lo Spirito li rende capaci di nutrire gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Chi si pone in questa prospettiva comprende che il regno di Dio non è questione di cibo e di bevanda, ma è pace e gioia nello spirito. Il Regno dei Cieli è la condizione dei “cristificati”, cioè di coloro che, rinati in Cristo, sono animati dai suoi sentimenti e vivono la pace e la gioia della comunione con il Padre ad opera dello Spirito santo. Il riscatto incomincia con la scoperta che ogni condizione di vita, perfino quella prodotta dalla malvagità degli uomini, mette in comunione con Gesù, il quale pur essendo Signore ha voluto farsi servo di tutti. Chi è stato illuminato da Cristo non potrà mai essere derubato della sua dignità e del coraggio e della forza necessari per tessere relazioni gravide di vita. Costoro sono resi capaci di vedere in modo nuovo e di concepire il mondo e le relazioni avendo di mira prima di tutto la beatitudine della comunione tra i viventi. Perché il Regno non è riducibile al riscatto sociale degli “ultimi”: sarebbe un grande “segno”, ma sarebbe sempre troppo poco! Per vivere infatti non basta il pane e neppure la dignità proclamata, tanto meno il potere (che porta in sé il virus dell’abbrutimento). Per vivere una vita degna bisogna poter abitare nel cuore di qualcuno e fare del proprio cuore la casa di tutti.

Il Regno, di cui il discorso della montagna è la Magna Charta, dunque non è il risultato di una faticosa costruzione di nuove strutture, migliori delle antiche; non è un nuovo potere “buono” che ne ha soppiantato uno vecchio e “ingiusto”. Il Regno è vita, che vibra in chi ha scoperto di essere amato da Dio e ha capito che la parte giusta è l’amore disposto perfino a sacrificarsi anche per la vita di chi non vale niente. Il primo e fondamentale riscatto, che dà avvio alla costruzione di un nuovo cielo e una nuova terra, comincia quando si accoglie l’annuncio del Figlio, il quale rivela che ognuno è amato da Dio e che la condizione in cui versa non è il segno di un castigo, ma l’inizio di un cammino che ha la sua meta nella conoscenza perfetta del Padre.

I Santi sono i cittadini del Regno: essi popolano la nuova Gerusalemme.

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