D. Severino GALLO sdbGRANDEZZA e SERVIZIO


18 ottobre 2015 | 29a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
GRANDEZZA e SERVIZIO
"Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore… Il Figlio dell'Uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,44-45).

Ancora una volta dobbiamo prendere atto che la logica di Gesù è opposta a quella comune, di ieri, d'oggi, di sempre.
Oggi, nel brano evangelico ascoltato, si tratta della vera concezione dell'autorità intesa come servizio, anzi, addirittura, come capacità di donare la vita per coloro tra i quali si vuole primeggiare.

1. Chi vuol essere il primo…".

Chiediamoci subito: chi di noi accetta di non esserlo? Chi di noi non ha avvertito dentro di sé questo segreto desiderio, questo allettante miraggio d'essere - almeno sotto qualche aspetto - superiore agli altri? Chi non ha sentito l'acuta puntura interiore di vedersi posposto agli altri?
La sete del primo posto, della preminenza sugli altri, occupa il bambino, che strappa dispettosamente di mano al suo coetaneo il giocattolo che gli piace, e occupa l'adulto che gareggia per ottenere un pubblico riconoscimento sul piano tecnico, politico, sociale.
Dobbiamo essere sinceri: nella Chiesa non è stato cancellato e, forse, non è meno evidente questo malcelato spirito d'arrivismo. Di corsa ai primi posti, di carrierismo esagerato.

La mossa dei due figli di Zebedeo è tipica di quest'atteggiamento così radicato nell'animo d'ogni uomo. D'altra parte non sono meno condannabili gli altri discepoli.
Il loro sdegno, a prima vista tanto giusto, in realtà esprime la stessa sete di potere e di gloria. Se non altro i due fratelli hanno avuto il coraggio di manifestarlo apertamente.

Sentiamo rivolto anche a noi il dolce rimprovero di Gesù: "Voi non sapete ciò che domandate…".
Gesù è buono. Ricorre alla nostra ignoranza per scusare le nostre stupide pretese, per abbattere in un soffio i nostri sogni fasulli. Noi purtroppo non abbiamo ancora capito Gesù…
Durante l'Ultima Cena Gesù "si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un panno, se ne cinse. Versata poi dell'acqua in un catino, si mise a lavare i piedi dei discepoli e asciugarli con il panno di cui si era cinto" (Gv 1,4-5).

Dopo la risurrezione, Gesù prepara il pasto ai discepoli che sono andati a pescare (Gv 21, 1-1).
Questi due episodi: Gesù in ginocchio che lava i piedi agli Apostoli, e Gesù accanto ad un focherello intento a far arrostire il pesce, costituiscono il commento più eloquente la traduzione più fedele e concreta del Suo programma: "Il Figlio dell'Uomo … non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28).

Chi si è posto al seguito di Gesù, deve tenerGli dietro su questa strada del servizio. "Voi mi chiamate maestro e Signore: e dite giusto, lo sono. Se dunque vi ho lavato i piedi io maestro, così voi pure dovete lavarvi i piedi l'un l'altro. Vi ho dato un esempio perché come ho fatto io, così facciate anche voi" (Gv 1,1-15).
E perché il nostro servizio fosse universale, non escludesse nessuno, e acquistasse una grandezza unica, ha fissato l'oggetto: "Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Come a dire: la nostra vita cristiana (consacrata) si svolge lungo il filo del servizio reso o rifiutato a Dio. Non c'è scappatoia. La destinazione del nostro servizio è unica: Dio.
Per cui: un atto d'impazienza, la fretta, uno sgarbo, la pigrizia, una disattenzione, un "no" buttato in faccia ad un bambino, ad un vecchio, ad un malato, diventano impazienza, fretta, sgarbo, pigrizia, disattenzione, "no" nei confronti di Dio.

Oggi si fa gran parlare di grandezza. Ci sono i grandi uomini di Stato. Ci sono i grandi scienziati, i grandi scrittori, i grandi atleti, i grandi attori.
Ahimè! Ci sono anche i grandi cantanti di canzonette.
Sorge il sospetto, più che legittimo, che il metro impiegato per misurare quelle grandezze sia un metro falso. Che quei diplomi di grandezza vengano dati con troppa facilità. Più che altro si tiene conto del successo, della popolarità, della posizione di un individuo.
Gesù ci ha rivelato un metro infallibile per misurare la grandezza: il servizio reso agli altri. Per cui, secondo un'ottica cristiana, secondo una scala di valori cristiana, c'è un'unica grandezza autentica: la grandezza di colui che serve.
Esiste poi, molto attuale, la questione dei posti, delle destinazioni, degli uffici. Una questione che spesso fa soffrire, o addirittura provoca piccoli drammi.

Stiamo attenti a collocarci nella giusta prospettiva. L'essenziale è poter servire. Il come, il dove non hanno importanza alcuna. Né, tantomeno, hanno importanza le persone che serviamo. E' sempre Gesù che viene servito. Una vita religiosa (cristiana) è completa soltanto quando svolge la sua funzione di "servizio".

Parlare di uffici più o meno umili non ha senso. Basta sia assicurato il "privilegio di servire".
La grandezza consiste nel "servizio" (disposizione interiore), non nel tipo di servizio (dipendente da circostanze esterne, che non intaccano per nulla quella grandezza).

Non ci sono compiti importanti e altri umili. Ci sono soltanto Religiose (persone) "grandi", anche se passano la loro vita a maneggiare siringhe oppure a strizzare panni, e Religiose (persone) "piccole". E queste ultime riescono a rendere meschine anche le occupazioni più nobili.

NB/ Qui si possono avere due conclusioni:

1. Conclusione:

Non ci sono compiti importanti e altri umili. Ci sono soltanto persone "grandi" anche se passano la loro vita a maneggiare una scopa e persone "piccole". E queste ultime riescono a rendere meschine anche le occupazioni più nobili.
Non sono i compiti più o meno importanti, più o meno nobili, che fanno la grandezza delle persone. E' il Santo che fa grandi anche le mansioni più insignificanti.

Soltanto gli uomini piccini hanno bisogno di issarsi sui tacchi delle azioni straordinarie, che fanno chiasso, che fanno notizia, per sentirsi importanti.
Le persone veramente grandi possono anche calzare ciabatte di tutti i giorni, e il loro passo sarà sempre maestoso.
Le persone veramente grandi non hanno bisogno d'onorificenze, distintivi e lauree per sfoggiare la loro grandezza: vivono invece nella loro umiltà.

Un giorno San Giuseppe Cottolengo vide entrare nella "Piccola Casa" un gruppo di nobili personaggi. Li aveva mandati il Re per conferire al Cottolengo il titolo di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Quando il Santo capì di che si trattava, si mise a ridere bonariamente e disse:
- Chi sono io, tutti lo sanno: sono un povero prete di Bra, il paese dei cavoli. Non sono buono ad altro che a piantare cavoli…

Santa Bernardetta Soubirous a chi si meravigliava che lei, veggente celebre in tutto il mondo, compisse gli uffici più umili nella vita del monastero, esclamò: "Io sono la scopa della Madonna".
L'umiltà dei Santi è eroica, perché avevano compreso pienamente la parola di Gesù: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore".
La Madonna stessa si è proclamata: "Umile ancella del Signore".
ImitiamoLa!
2. Conclusione:
Non sono i compiti più o meno importanti, più o meno nobili, che fanno la grandezza della Suora. E' la Suora che fa grandi anche le mansioni più insignificanti. Non sono gli uffici che debbono essere "degni", all'altezza di una Suora. E' la Suora che deve essere all'altezza della propria vocazione. E allora anche le cose più trascurabili diventano eccezionali.
Soltanto gli uomini piccini hanno bisogno di issarsi sui tacchi delle azioni straordinarie, che fanno chiasso, che fanno notizia, per sentirsi importanti.
Le persone veramente grandi possono anche calzare ciabatte di tutti i giorni, e il loro passo sarà sempre maestoso.

C'era una volta una certa… Sr. Celestina, portinaia per quarant'anni…
Si sentiva "sacrificata" nel suo lavoro? Certamente. D'altra parte, è possibile seguire Gesù senza essere "sacrificati"?
Ma valeva la spesa farsi Suora, accarezzare un ideale eccezionale, sognare una strada fuori dell'ordinario, per ritrovarsi a scalpicciare in un corridoio lungo cinquanta metri, con un mazzo di chiavi in mano, una porta da aprire, delle valigie da sistemare, una campana da suonare, un ricevitore del telefono da sollevare, ossia alle prese con le cose più comuni e banali che esistono in questo mondo?
Qui occorre una precisazione: non siamo chiamati a fare, ma ad essere. Quando c'è di mezzo una vocazione, non importa ciò che si fa, ma ciò che si diventa.
La chiamata di Gesù non significa essere destinati a compiere cose grandi. Significa invece possedere un cuore grande.
Del resto Sr. Celestina si sentiva importante, eccome. Ed era consapevole dell'importanza delle cose che faceva. Le solite, sempre quelle. Ma erano i ferri del suo mestiere. Per lei essere portinaia voleva dire, sì, aprire una porta, ripetere quella frase, afferrare il telefono, ma voleva dire soprattutto essere di Gesù, al Suo servizio, e portare tutte le anime a Lui.
Sr. Celestina si divertiva spesso a proporre alle Consorelle un indovinello. Qualcuna ci cascava, immancabilmente. Domandava:
- Che cosa ci vuole per aprire una porta?
- La chiave!
- No signora! - ella rispondeva. - Ci vuole il sorriso.
Miei cari Fratelli e care Sorelle, il convento è la casa di Dio. E nella casa di Dio ci può essere soltanto gioia.
Vedete: la portinaia è incaricata proprio di rassicurare le persone che suonano alla nostra porta che non hanno sbagliato numero, che non sono arrivate in una camera ardente in cui si piange un morto, ma in un luogo in cui Gesù riempie i cuori di gioia.
E tutto questo la portinaia lo fa con il sorriso. Quindi dovreste ringraziarmi per tutte le informazioni "giuste" che do sul vostro conto.
Sr. Celestina non aveva una memoria eccezionale. Talvolta le accadeva di dimenticare il suo mal di testa, o il riposo non preso, o la monotonia, oppure le gambe divenute legnose per il continuo ciabattare lungo quei cinquanta metri di corridoio. Ma non dimenticava mai il sorriso.
Cari Fratelli e Sorelle: ricordiamoci di imitare anche noi Sr. Celestina, che sapeva servire così bene il prossimo, ma sempre con il sorriso sulle labbra.
E per riuscire più facilmente, acquistiamo anche noi una particolare devozione alla Madonna… del Sorriso, Serva di Gesù e fonte della nostra gioia.
                                                                        D. Severino GALLO sdb

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