Don Giorgio Scatto "Più che una vita ricca, Gesù ci propone una vita piena"

28° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)Letture: Sap 7,7-11; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30
MONASTERO MARANGO,Caorle (VE)
Più che una vita ricca, Gesù ci propone una vita piena

1)Gesù è “sulla via”. Un uomo gli corre incontro e, in atteggiamento di adorazione, gli chiede che
cosa deve fare personalmente per poter “avere in eredità la vita eterna”, per entrare cioè nella vita di Dio.
La domanda sulla vita era piuttosto frequente nella religiosità ebraica. Già l’antico Israele sapeva che c’era vita dove Dio era vicino. Questa promessa di vita aveva inizialmente il suo posto del tutto speciale nei luoghi sacri, nei quali il visitatore poteva credere nella vicinanza con Dio. Prima di entrare nel santuario il pellegrino veniva sottoposto ad una specie di esame rituale, per verificare se aveva le disposizioni giuste per accedervi. «Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte?» (Sal 141). Potremmo tradurre: «Chi può entrare nel luogo dove c’è la fonte della vita?». La risposta sembra compendiata egregiamente in un antico testo di Michea: «Ti è stato insegnato, o uomo, ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mic 6,8).
La domanda posta a Gesù non è, dunque, nuova nel giudaismo. La novità è che viene rivolta ad un “buon maestro”, ritenuto in grado di rispondere alla domanda.

«Nessuno è buono, se non Dio solo».
Gesù, affermando che «nessuno è buono, se non Dio solo», si pone sullo stesso piano del suo interlocutore.
Nello stesso tempo, conducendolo a Dio, origine e fonte di ogni bene, Gesù indica come anche la Legge, sulla cui misura si ha la presunzione di costruire la propria giustizia, mostra tutti i suoi limiti invalicabili.

«Tu conosci i comandamenti».
L’uomo è sincero quando comunica a Gesù di essere stato educato fin dalla giovinezza ad osservare tutta la Legge, in obbedienza ai comandamenti di Dio. Tutto questo non è forse sufficiente per ottenere in eredità la “vita eterna”?.

«Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!"».
L’osservanza dei comandamenti è certamente una cosa buona, da incoraggiare. Gesù «ama» quest’uomo che è stato allevato nell’obbedienza a Dio e nell’osservanza dei suoi comandamenti. Ma nell’osservanza della Legge quest’uomo non ha trovato la risposta alle domande fondamentali della vita. Rimane un uomo solo, inquieto, alla ricerca di qualcosa che lo liberi dalla presunzione che deriva dall’osservanza della Legge e da una identità religiosa rimasta prigioniera di certezze illusorie.
Fino a quel momento gli era stato possibile coniugare l’esperienza religiosa con la cura dei propri affari, l’osservanza formale dei comandamenti – non ho ammazzato nessuno, non ho rubato – con la disinvolta capacità di coltivare i propri interessi, tenendo ben distinti e separati i due ambiti. In fondo molti si chiedono ancor oggi cosa c’entri Dio con il commercio, con l’accumulo della ricchezza, con il profitto. Il denaro – dicono – non deve odorare d’incenso.
Ma sta proprio qui il problema: la “vita eterna” dipende da un’altra logica.
Ricevere la vita “in eredità” significa abbandonare le “eredità” finanziarie, le rendite di posizione sociali o religiose, in favore della logica della sequela pura e totale di Cristo. Significa cambiare la natura stessa del proprio tesoro, investire in una realtà diversa; significa scoprire che la propria vita non può essere centrata sul primato dei beni materiali, e nemmeno sull’accumulo di beni spirituali. La vita possiamo costruirla unicamente sulla relazione con Cristo. E’ quello che sperimentiamo anche nella relazione di coppia: la casa il lavoro, la sicurezza, valgono poco, anzi diventano motivo di conflitto, se non c’è il primato dell’amore.

Egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato.
Gesù aveva cercato di far uscire quell’uomo dal limite in cui l’aveva posto la semplice osservanza della Legge. Attraverso la via dell’amore gli aveva mostrato la possibilità di diventare discepolo. Ma quest’uomo ricco tiene di più ai suoi beni che all’amicizia sincera con il Signore.
Quello che Gesù gli aveva chiesto era di fare delle proprie ricchezze uno strumento di comunione con i poveri, una opportunità di condivisione con le persone più segnate dalla sofferenza e dalla solitudine. Ricordiamolo: ogni ricchezza cercata per se stessa, e goduta privatamente, è un furto e una grossa ingiustizia. Ma dobbiamo anche dire che questa non è la cosa più importante, anche se necessaria. La cosa più importante, ciò che ancora manca a molti che pure si dicono cristiani, è la gioia della sequela. Nel testo evangelico l’accento, più che sul «vendere» e sul «dare», è posto sul «seguire». Il distacco dalle ricchezze è la naturale conseguenza della sequela, non la sua condizione. Vorrei anche assicurare qualche lettore che fosse magari titolare d’impresa: non si tratta di chiudere il negozio, la fabbrica, l’attività commerciale, ma far sì che in ogni nostra opera abbiamo di mira la crescita delle persone, la tutela della loro salute, la salvaguardia del bene comune. «Dare ai poveri» significa non vivere più guardando solo al proprio interesse, ma anche a quello degli altri. E così per i beni spirituali.
Scrive San Paolo: «Queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui».

Dobbiamo esserne certi: più che una vita ricca, Gesù ci propone una vita piena. È il «cento volte tanto» promesso a chi ha lasciato tutto per il Vangelo.


Giorgio Scatto

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