Don Giorgio Scatto"La speranza di una vita vissuta altrimenti, il Signore la depone solo nel cuore dei piccoli della terra"

30° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)MONASTERO MARANGO, CAORLE(VE)
Letture: Ger 31,7-9; Eb 5,1-6; Mc 10,36-52
La speranza di una vita vissuta altrimenti, il Signore la depone solo nel cuore dei piccoli della terra

1)«Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente».

Uno dei momenti più tragici della storia di Gerusalemme è stata la sua distruzione, per opera degli eserciti babilonesi, nel 586 a.C.: il tempio fu incendiato, la città devastata e saccheggiata, la maggior parte della popolazione fu condotta in esilio, dove rimase per lunghi e dolorosi anni. Il Signore tuttavia continuava ad operare per la salvezza del suo popolo. Pur nella desolazione, c’era un “resto” che egli voleva salvare. Tra loro «il cieco, lo zoppo, la partoriente», tutta una umanità che mostrava interamente la sua miseria e la sua fragilità. In ogni epoca della storia, a partire da un popolo di umiliati e di vinti, di deboli e di oppressi, Dio vuole ricostruire la sua famiglia. Dice infatti: «Io sono un padre per Israele». Come a dire che la speranza di una vita vissuta altrimenti, il Signore la depone solo nel cuore dei piccoli della terra. I forti, i gaudenti, quelli che si sentono al sicuro nei loro palazzi, «hanno già ricevuto la loro ricompensa».
Ogni giorno, nei momenti di preghiera comune o attorno alla mensa,,nel lavoro quotidiano o nelle pause rigeneranti il corpo e lo spirito, ho la gioia di vedere questi prodigi del Signore, questa paternità di Dio, che sceglie proprio i piccoli e gli umili per farli diventare messaggeri dell’avvento del Regno. Spesso questi “piccoli fratelli” che il Signore ci ha donato, hanno percorso lunghi sentieri nel pianto, hanno attraversato le steppe aride del giudizio che esclude e mette al margine, hanno portato il peso che altri gli hanno messo addosso. Quasi sempre sono soltanto loro i compagni della nostra preghiera, e il loro silenzio si apre non raramente ad una invocazione che sale dal profondo del loro cuore semplice e che ci stupisce. Penso che sia attraverso di loro che Dio benedice la nostra famiglia, perche vuole mostrarci che il cammino della liberazione da ogni forma di oppressione e di alienazione passa solo attraverso l’accoglienza dei poveri. Essi stanno davanti, e ci aprono il cammino, portando i loro covoni.

Il vangelo ci narra di un cieco guarito da Gesù.
«Il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare».
Nel vangelo di Marco c’è un altro racconto di guarigione di un cieco (Mc 8,22-26). L’evangelista si interroga, in ambedue le pericopi, su che cosa significa vedere o essere ciechi, comprendere o non comprendere la via di Gesù. Il racconto odierno ci mette di fronte ad una svolta: è il punto di arrivo di un cammino di chiarificazione sulla vera identità di Gesù, sul senso della sua messianicità, e l’inizio di un altro cammino, che condurrà a Gerusalemme e alla Pasqua di morte e resurrezione.
Il cieco si chiama Bartimeo. E’ l’unica persona, tra quelle guarite da Gesù, della quale sia ricordato il nome. Letteralmente Bartimeo significa “figlio di Timeo”. Sembra che “Timeo” sia un nome greco conosciuto, che significa “onorato”. Quest’uomo avrebbe assunto il nome di una persona che è stata celebrata e onorata. Un nome difficile da portare da chi, nella sua attuale condizione, è escluso da tutto e respinto ai margini della società.

«Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!".
Molti lo rimproveravano perché tacesse».
A Bartimeo non rimane che il grido. Implora da Gesù quella pietà che nessuno gli aveva saputo donare. Nessuno riuscirà a fermarlo, nemmeno l’ostilità di “molti”, tra i quali, certamente, anche i discepoli. Ma questo cieco che grida annuncia con potenza quello che altri non vedevano e non osavano affermare: Gesù è il Figlio di Davide, il Messia che deve venire. Viene per lui, per restituirgli il sogno di una vita, per rendergli il sorriso che gli si era spento sul volto da troppi anni. E’ il grido di chi ha deciso di nascere di nuovo. Penso che, se tante preghiere non vengono ascoltate, è perché sono solo parole che non gridano verso Dio tutto il dolore, il rimpianto, la nostalgia per una vita davvero degna di essere vissuta.
Gesù ode il grido del cieco e risponde. Non chiede alla folla che lo conducano a lui. Ma nemmeno lo lascia lì, nella sua immobile miseria. Quel grido, tenuto tante volte soffocato nel fondo dell’anima, e che finalmente sgorga come acqua viva dalla fonte, deve sfociare in un’azione coraggiosa e liberatrice. Anche la folla, fino a quel momento ostile, incoraggia la sua volontà di guarigione: «"Coraggio! Alzati, ti chiama!".
Egli, gettato via il suo mantello, venne da Gesù».
Abbandonando il mantello Bartimeo si libera da quell’immagine che altri gli avevano costruito addosso, e che lui aveva portato per tanti anni: lui era il cieco, il suo posto era lì, sul ciglio della strada, e doveva accontentarsi delle elemosine di chi passava. E’ un’identità che anche noi, troppo spesso, anche con giustificazioni religiose, attribuiamo agli altri: ci sono i poveri, gli stranieri, gli emarginati, e resteranno sempre così, magari con la benedizione di Dio. Ma per Dio non è proprio così.
Il cieco balza al centro della strada. Gesù lo guarisce e ne fa un uomo libero, proprio perché il Figlio dell’uomo non è venuto per consacrare la miseria, la marginalità, l’esclusione sociale, ma per dare spazio alla vita e alla libertà dei figli di Dio. «Rompere lo sbarramento della folla, i cordoni delle abitudini, l’allineamento delle convenzioni sociali, rifiutare le parti imposte, entrare in scena nel momento non previsto dal copione, aprirsi un varco verso Gesù: questo e non altro significa “salvezza”» (A.Pronzato).

«Che cosa vuoi che io faccia per te?».
Bartimeo desidera ritrovare la sua dignità dire apertamente, senza rimanere prigioniero delle convenienze sociali o religiose, ciò da cui egli vuole essere liberato. La sua sofferenza, la sua solitudine, non possono essere giustificate dalla volontà di Dio. E Gesù, nel quale il cieco pone tutta la sua fiducia, può accogliere il suo desiderio: «Và, la tua fede ti ha salvato».
Ora Bartimeo, che è tornato a vedere, non è più quello di prima. Non può più tornare a fare il mendicante, non può più tornare indietro. Segue Gesù “lungo la strada”.

Il Signore apra anche a noi, mendicanti rassegnati, i nostri occhi, intorpiditi e chiusi.
E che possiamo, per grazia, diventare anche noi discepoli.

Giorgio Scatto

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