Padre Paolo Berti"“...Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri...e vieni! Seguimi!”

XXVIII Domenica del Tempo ordinario Omelia 
Va notato subito, e questo ci introdurrà meglio nella ricchezza delle letture di questa domenica, che la sapienza è vista in relazione con la conoscenza approfondita della
verità, "infatti è iniziata alla scienza di Dio" (Sap 8,4).
Ma che cos'è la sapienza che il testo della prima lettura ci presenta come preferibile a scettri e a troni, all'oro e a gemme di inestimabile valore? Certo si tratta di un bene sommamente prezioso, che introduce l'uomo ad un'esistenza viva, ricca di luce. Un dono che certamente non sopporta di essere espresso in una stringata definizione, tanto è ricco. La sapienza indubbiamente nasce dalla lettura della realtà (creazione, esistenza e storia dell'uomo, eventi salvifici di Dio) nella luce data dalla fede in Dio. La sapienza coglie, senza darci di poterla bloccare nella sua capacità di crescere, la ricchezza della relazione esistente tra Dio e l'uomo e il creato e viceversa. Il creato e l'uomo rimandano a Dio creatore, e Dio è la luce con cui si leggono correttamente le ricchezze del creato e dell'uomo. La personificazione letteraria della sapienza ha portato molti a vederla come una figura di Cristo. Ma, oltre questo pensiero, è certo che la sapienza è tutta racchiusa in Cristo. Infatti in Cristo, vero Dio e vero uomo, si ha, sempre nella fede, la lettura della relazione del creato e dell'uomo con Dio, e della relazione tra Dio e il creato e l'uomo. San Paolo (Col 2,3) ne dà conferma quando dice che in Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”.
Ma cos'è la scienza? E' la conoscenza, sulla base della Parola - lascio da parte l'importante contributo della filosofia -, dell'essere divino e anche dell'essere umano. Dunque, la scienza coglie l'essere, la sapienza coglie la relazione. La sapienza è, dunque, realtà di comunione; per questo è, come dice il salmo, sapienza del cuore.
La sapienza ha bisogno della scienza, della conoscenza dell'essere, ma la conoscenza dell'essere non può essere senza la relazione con Dio.
Detto questo, come minimo sapere su cosa sono la sapienza e la scienza, il testo della prima lettura ci invita a considerare come i beni soprannaturali chiedono la rinuncia all'attaccamento ai beni materiali. Il risultato non è il disprezzo dei beni materiali, ma il vederli nella luce delle prospettive soprannaturali; ed è così che essi acquistano il loro vero e arricchente valore. Al contrario essi diventano una prigione buia, priva di luce: legano l'anima al senso, la selciano di vanità.
L'autore del libro della Sapienza afferma che con la sapienza gli sono venuti tutti i beni, cioè ha avuto una giusta visione dei beni materiali e l'accesso a quelli spirituali.
Il testo dice di preferire alle ricchezze del mondo la sapienza e non di lasciare quanto di buono la terra ci offre. Il giovane ricco era mentalmente fermo nel preferire le ricchezze, e rimase sconcertato quando Gesù gli parlò di lasciare. Un lasciare non per un disprezzo delle ricchezze, ma per darle ai poveri, che di quelle ricchezze avevano bisogno. Le parole di Gesù interpellarono il profondo del cuore di quel giovane, ma questi preferì le ricchezze all'invito di Gesù di seguirlo. Eppure poteva lasciarle, era nella condizione di lasciarle, dal momento che Gesù l'aveva guardato con amore, mentre gli proponeva la grandezza del gesto di dare tutto ai poveri per poi seguirlo. La parola di Gesù penetrò in quel giovane fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e fece affiorare al giovane stesso ciò che di profondo era nel suo cuore: l'attaccamento al denaro. Il giovane vide, ma non volle superarsi e rifiutò la chiamata di Gesù. Voleva essere perfetto, ma mantenendo l'attaccamento alle ricchezze, e ciò gli impedì di passare dall'ammirazione verso il rabbì Gesù, alla fede in lui. Il dramma del rifiuto del giovane è tutto nel non aver creduto in Gesù. Indubbiamente, la chiamata di quel giovane riguardava una vocazione speciale a seguire Gesù, per questo l'invito-consiglio - non un precetto - a dare le sue ricchezze ai poveri. Era la fede in Gesù ad essere in gioco, e lo era fin dal primo momento dell'incontro, fin dal momento in cui il giovane, attratto dalla bontà di Gesù, lo chiamò "maestro buono", e Gesù gli fece intendere che la bontà è di Dio, che solo Dio è buono, e perciò chi è di Dio è buono.
La conclusione di Gesù fu questa: "Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!".
Anche se si professa cristiano, colui che è preso dall'arsura delle ricchezze misconosce Cristo, poiché cerca di adattarlo a se stesso, facendolo cioè un protettore delle sue ricchezze.
I discepoli, che avevano lasciato tutto per seguire il Maestro, speravano che un giorno avrebbero regnato con Gesù, una volta che questi fosse salito - secondo il loro pensiero - sul trono di Davide, a Gerusalemme.
Per questo erano entrati in difficoltà: Allora le ricchezze non le avremo, il maestro non prevede per noi future ricchezze e onori.
Lasciare le ricchezze per che cosa, allora? "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". La risposta di Gesù fu su un versante ben diverso da quello che loro pensavano: "In verità io vi dico..., insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà".
Ecco le ricchezze offerte ai discepoli, a tutti coloro che seguono Gesù.
Gesù non condanna la ricchezza in sé, ma l'attaccamento alle ricchezze; fatto comune al quale ben difficilmente l'uomo si sottrae, usando le ricchezze per il bene degli altri, e non per innalzare se stesso.
Certo la ricchezza è spesso (Lc 16,9) "ricchezza disonesta", per come è stata acquisita, e allora a maggior ragione bisogna distaccarsene dando soccorso, vorrei dire, restituendo ai poveri.
Ma la vita del ricco è ben poco invidiabile. Egli vive nel sospetto continuo che gli altri lo corteggino solo per denaro, per cui li disprezza. Egli difende la sua ricchezza, la vuole aumentare per il piacere che gli altri gravitino attorno a lui e lo invidino. Il ricco è fondamentalmente un uomo solo, anche se circondato da una folla osannante.
Gesù presenta ai discepoli il contrario della situazione del ricco. Essi, che hanno lasciato tutto, avranno il centuplo in tutto. L'aver lasciato tutto per seguirlo non li porrà nella solitudine, nell'emarginazione dalla vita, ma nel cuore della vita, nella vera comunione con gli uomini, quella da lui portata. Una visione magnifica, che però comporta un accettare l'urto brutale delle persecuzioni; l'accettare le croci che il mondo e il demonio pongono sulle spalle di coloro che rigettano il culto a "mammona" e affermano il Cristo, via ad amare Dio e i fratelli.
Il brano del Vangelo letto concorda in tutto con quanto dice il testo della Sapienza: "Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile".
Di sapienza ha bisogno il mondo; di vera sapienza, non di quella fatta di astuzia, di indifferenza, di doppiezza, di arte nell'imporre le proprie vedute, di superbia. Il mondo oggi più che mai ha bisogno della vera sapienza, che è Cristo, che si trova seguendo Cristo. Di conoscenza di Dio, di scienza di Dio, ha bisogno il sapere dell'uomo, che oggi è un mare di conoscenza scientifica, che manca del filo conduttore dell'amore a Dio e ai fratelli; e perciò dà sofferenza spostando l'uomo dal suo essere creatura al sogno di essere un dio. Già Qoelet, secoli e secoli fa, aveva capito (Qo 1,18) che "chi accresce il sapere aumenta il dolore". Un sapere senza sapienza, e che perciò è pretesa di poter essere onniscienti, di entrare nei segreti del creato non per custodirlo e coltivarlo (Cf. Gn 2,15), ma per riformularlo in una manipolazione sacrilega. Sapere senza Dio, sapere coperto e ricoperto di ipotesi che non sono altro che negazione di Dio; sapere per innalzarsi sugli altri. Sapere che sembra innocente, ma che è come quella bestia simile ad agnello di cui parla l'Apocalisse (Ap 13,11), e che parla come il drago. Sapere per il potere, per asservire gli altri. Potere per piegare le intelligenze al male. Denaro al servizio del sapere contro Dio: per opere omicide, per astruserie di pensiero. Sapere contro Dio, potere contro Dio: una tenaglia mortale che ha una sola vittima: l'uomo stesso. Contro questa morsa perversa c'è l'azione di Cristo. C'è la Chiesa, che non ha dure e crudeli morse di potere e sapere, ma braccia amorose di fraternità. Mani che donano i tesori della scienza e della sapienza, che sono in Cristo. Tesori che valgono infinitamente di più di tutti i tesori della terra per i quali tanti sono disposti a morire nel cuore pur di averli. Tesori del Cristo, che daranno pace al mondo e lo arricchiranno di un potere pronto a servire e di un sapere inesausto nell'illuminare. La rinuncia all'attaccamento alle ricchezze per seguire Gesù e aprirsi ai fratelli, il lasciare le ricchezze per darle ai poveri e seguire più da vicino Gesù, hanno un futuro sulla terra e poi nel cielo. Un futuro che non sarà segnato dal mito di un progresso materiale senza fine, ma dalla sapienza del vivere insieme, dall'amore, che - quello sì - può e vuole progredire senza fine. Possiamo immaginarlo questo futuro. Palazzi in cui non ci sono più decine e decine di fornelli accesi a mezzogiorno e sera, ma palazzi con una cucina e una sala pranzo per tutti. Palazzi progettati con spazi per i bambini. Comunità formate attorno ad una fabbrica, dove la comunione attiva la produzione come servizio al vivere, all'esistere. Nazioni unite in concordia. Peccati ci saranno ancora, ma verrà il tempo in cui la massa dei cristiani sarà veramente cristiana e la terra godrà della pace portata da Cristo agli uomini di buona volontà. Amen. Ave Maria. Vieni Signore Gesù.

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