don Giorgio Scatto Solo una vita “gettata” in Dio diventa feconda"

32° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture: 1Re 17,10-16; Eb 9,24-28; Mc 12,38-
MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)
1 «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, e ricevere saluti nelle piazze».

Gli scribi erano specializzati nella trascrizione dei testi sacri, dotti conoscitori di regole e dottrine culturali ed etiche. Avevano l’incarico di leggere, tradurre e interpretare per il popolo le parole della Bibbia. La loro posizione, anche in concorrenza con i sacerdoti, era diventata progressivamente una posizione ambita e stimata.
Dopo aver rotto definitivamente con la classe dirigente – capi dei sacerdoti, farisei e sadducei – ora Gesù prende di petto gli scribi, a motivo della loro vanità, ipocrisia e cupidigia. La loro religiosità è pura esteriorità, compiacimento, desiderio smodato di apparire e le loro prolungate preghiere sono una sorta di teatro per attirare l’attenzione del popolo semplice e credulone. Vengono in mente le palandrane e i pizzi di certi monsignori e vescovi, prima che papa Francesco aiutasse la Chiesa intera, con il suo esempio, a ritrovare le vie della sobrietà evangelica. Gli scribi, contro i quali Gesù se la prende, invece di aiutare i piccoli e gli indifesi, non esitano a sfruttarli, fino a «divorare le case delle vedove». Anch’io ho conosciuto, dentro la Chiesa, persone influenti che hanno approfittato dell’incarico ricevuto, che doveva essere un servizio alla carità, per accrescere il loro potere personale e soprattutto il loro patrimonio e quello della loro famiglia. Anche se il loro comportamento appare esteriormente inappuntabile, e riescono a giustificare il tutto, la loro maschera di “legalità” cadrà di fronte al severo giudizio di Dio.
Gesù dice, in modo perentorio: «Guardatevi da costoro!».

«Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova, povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo».
C’è contrasto tra la cupidigia degli scribi e la commovente generosità di questa donna. La scena si svolge nel tempio, nel Cortile delle Donne. Il tempio di Gerusalemme, circondato da mura che cingevano una superficie di oltre 1500 metri quadrati, aveva l’ingresso principale rivolto a sud, e conduceva al Cortile dei Gentili. Chiunque poteva accedere a questa parte del tempio, anche i pagani. Delle scritte in greco e in latino proibivano l’ingresso al cortile interno del tempio a coloro che non erano Ebrei. Chi infrangeva tale regola, rischiava la vita. Questo spazio interno veniva chiamato “il Cortile delle Donne”. Più oltre esse non potevano accedere. Gli uomini potevano andare oltre, entrando nel Cortile di Israele, e persino nel Cortile dei Sacerdoti, in occasione di processioni intorno all’altare durante la festa delle capanne (Sukkòt). Tutto intorno al Cortile delle Donne erano collocati tredici recipienti di rame a forma di imbuto rovesciato per raccogliere le offerte dei fedeli, detti anche “trombe” o “tesoro”. Pare che l’offerente dovesse dichiarare al sacerdote posto lì a fianco l’entità del suo contributo. Il sacerdote poi lo ripeteva a voce alta, per l’ammirazione di tutti.
Gesù osserva attentamente ogni cosa, stando seduto in disparte. Vede che la donna getta due monetine, le più piccole che erano in commercio. E’ curioso notare come le cassette per le offerte fossero chiamate “trombe”: in certi casi non ci sarebbero “offerte” se non fosse assicurata una adeguata pubblicità. Ma, diversamente da molti che ostentano la loro generosità, questa donna si avvicina in silenzio. Probabilmente avrà sussurrato con vergogna l’ammontare della sua offerta, nemmeno presa in considerazione dal sacerdote.
«Ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri», sottolinea Gesù, perché gli altri hanno dato del loro superfluo, la donna invece ha dato «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Letteralmente il testo dice: «tutta la sua vita».
“Il piccolo racconto esalta il sacrificio silenzioso, completo e naturale, che non trasforma in storia il suo atto, ma nel quale l’uomo tralascia molto concretamente tutte le sue sicurezze per abbandonarsi interamente alla misericordia di Dio” (E. Schweizer).

A questo punto faccio mia anche una acuta e interessante interpretazione del brano evangelico, proposta dall’esegeta francese Elian Cuvillier.
Questa vedova è vittima, nella sua povertà, di un sistema religioso che la convince a dare tutto ciò che possiede, l’intera sua vita, per un edificio che è destinato a scomparire (“Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”) e per dei rappresentanti del culto che sono stati screditati da Gesù: per lui il tempio è diventato “un covo di ladri” (Mc 11,17) che «divorano le case delle vedove». I suoi officianti si sono rivelati come dei violenti assassini (Mc 12,1-12).
Allora, è riduttivo interpretare questo episodio solo come una lezione di morale cristiana sulla necessità di essere generosi, pur in una situazione di precarietà e di indigenza. Il brano è piuttosto una parabola dell’esistenza stessa di Gesù la cui vita, che era quella di un povero, in un certo senso è andata anch’essa “gettata”. Il gesto della vedova può mettere in evidenza come anche noi, molto spesso, rimaniamo prigionieri di sistemi – e anche di mondi religiosi – che non possono offrire salvezza. Il “sistema” è nato per “divorare”. Nello stesso tempo il dono totale e assurdo della vedova può essere letto come parabola della morte di Gesù, inutile, eppure sorgente di vita autentica per coloro che ne faranno memoria (Mc 14,22-25).

Solo una vita “gettata” in Dio diventa feconda.

Giorgio Scatto

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