FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO DIVINA "La vostra liberazione è vicina "

I Domenica di Avvento
Anno C
Antifona d'ingresso
A te, Signore, elevo l’anima mia,
Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Non trionfino su di me i miei nemici.
Chiunque spera in te non resti deluso. (Sal 25,1-3)
Non si dice il Gloria. 

Colletta
O Dio, nostro Padre,
suscita in noi la volontà

di andare incontro con le buone opere
al tuo Cristo che viene,
perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria
a possedere il regno dei cieli.

Oppure:
Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse,
rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali
e apri i nostri cuori alla speranza,
perché sappiamo attendere senza turbamento
il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore.

PRIMA LETTURA (Ger 33,14-16)
Farò germogliare per Davide un germoglio giusto.
Dal libro del profeta Geremìa

Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 24)
Rit: A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza. Rit:

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. Rit:

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza. Rit:

SECONDA LETTURA (1Ts 3,12-4,2) 
Il Signore renda saldi i vostri cuori al momento della venuta di Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Canto al Vangelo (Sal 84,8) 
Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia.

VANGELO (Lc 21,25-28.34-36) 
La vostra liberazione è vicina. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Preghiera sulle offerte
Accogli, Signore, il pane e il vino,
dono della tua benevolenza,
e fa’ che l’umile espressione della nostra fede
sia per noi pegno di salvezza eterna.

PREFAZIO DELL’AVVENTO I 
La duplice venuta del Cristo 

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento
nell’umiltà della nostra natura umana
egli portò a compimento la promessa antica,
e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria,
e ci chiamerà a possedere il regno promesso
che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.
E noi, uniti agli Angeli e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con gioia l’inno della tua lode: Santo...

Oppure:

PREFAZIO DELL’AVVENTO I/A 
Cristo, Signore e giudice della storia 

È veramente giusto renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose.
Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora,
in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia,
apparirà sulle nubi del cielo
rivestito di potenza e splendore.
In quel giorno tremendo e glorioso
passerà il mondo presente
e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova.
Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo,
perché lo accogliamo nella fede
e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.
Nell’attesa del suo ultimo avvento,
insieme agli angeli e ai santi,
cantiamo unanimi l’inno della tua gloria: Santo...

Antifona di comunione
Il Signore elargirà il suo bene 
e la nostra terra produrrà il suo frutto. (Sal 85,13) 

Oppure:
“Vegliate e pregate in ogni momento,
per esser degni di comparire davanti al Figlio dell’uomo. (cf. Lc 21,36)

Preghiera dopo la comunione
La partecipazione a questo sacramento,
che a noi pellegrini sulla terra
rivela il senso cristiano della vita,
ci sostenga, Signore, nel nostro cammino
e ci guidi ai beni eterni.

L’Avvento nella Liturgia
Con questa domenica si apre, nel rito romano, il tempo di Avvento, che nella Liturgia ambrosiana ha avuto inizio due settimane fa.
Il tempo di Avvento rappresenta un itinerario di rinnovamento spirituale in preparazione al Natale: viene Cristo, il Principe della pace! Prepararci al suo Natale significa risvegliare in noi e nel mondo intero la speranza della pace: la pace anzitutto nei cuori.
L’Avvento nasce e si sviluppa sul modello della Quaresima.
 Come infatti la più importante delle feste dell’Anno Liturgico, la Pasqua di risurrezione, prevedeva un periodo di preparazione, così, attorno al secolo VI, la Liturgia sentì il bisogno di un periodo di preparazione anche al Natale.
Come la Quaresima è scandita su sei domeniche, anche l’Avvento fu strutturato su sei domeniche. Fu attorno al secolo VII-VIII che la Chiesa romana accorciò l’Avvento a quattro settimane, e quest’uso si diffuse poi in tutta la Chiesa latina occidentale, tranne che a Milano, dove si conservò il computo più antico, da qui il nome di “Avvento Ambrosiano”.
Il significato liturgico dell'Avvento nel suo aspetto più naturale è la preparazione immediata alle festività natalizie, nelle quali la Chiesa ricorda la prima venuta di Cristo, salvatore degli uomini nell'umiltà della nostra condizione umana, tuttavia le letture bibliche proposte per questa settimana portano a riflettere sul tema della seconda venuta di Cristo, quando tornerà nella gloria alla fine dei tempi.
Già gli antichi Padri della Chiesa videro nella nascita di Cristo quasi un’immagine profetica del ritorno di Cristo alla fine della storia, del suo incontro definitivo con il popolo della città santa. La teologia dell'Avvento ruota, quindi attorno, a due prospettive principali: con il termine "adventus" si è inteso indicare sia l'anniversario della prima venuta del Signore sia la seconda venuta alla fine dei tempi, la “parusia”.
Il termine greco “parusia” significa semplicemente “presenza”. In epoca ellenistica, esso aveva acquistato il senso tecnico di visita di un principe o di manifestazione di un dio, infatti una visita imperiale in una città di provincia doveva rappresentare un evento considerevole. Il giudaismo se ne servì probabilmente per indicare il trionfo finale di Dio o del Messia; è in questo significato che gli autori del N.T. l’hanno utilizzato per indicare il ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi.
Questo termine si trova sei volte nelle lettere ai Tessalonicesi (1Ts 2,19; 3,13; 4,15; 5,23; 2Ts 2,1.8) e una volta in 1Cor 15,23. Nei sinottici, esso non s’incontra che presso Matteo (quattro volte nel discorso apocalittico: Mt 24,3.27.37.39). È interessante fare un parallelismo tra Matteo e Luca. Là dove Matteo parla di parusia, Luca parla di Figlio dell’uomo nel suo giorno (17,24) o dei giorni del Figlio dell’uomo (17,26). Sembra quindi che il termine parusia (venuta del Signore), sia utilizzato soprattutto nel contesto ellenistico. In ambiente giudaico, si parla più tradizionalmente del “giorno del Signore” o della venuta del Figlio dell’uomo.
Possiamo dire che se “avvento” è da intendersi attesa di Cristo Signore”, allora l’intera vita cristiana può essere definita un lungo avvento: un’attesa orante del ritorno del Signore.

Lectio
v. 25: 
La congiunzione «e» “kai” che troviamo nel testo greco, collega i segni cosmici, che si accinge a descrivere, ai mali storici accaduti, di cui ha parlato nei versetti precedenti. Sono quindi in continuità e vanno letti allo stesso modo: avvenimenti del cammino della storia. «Segni nel sole, nella luna e nelle stelle». Tutta la realtà cosmologica partecipa all’evento, come già era avvenuto per i due momenti fondamentali della vicenda storia di Gesù (nascita e morte): «Dov’è il neonato re dei Giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo…» (Mt 2,2); «si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona, essendosi eclissato il sole» (Lc 23,44).
Accanto ai segni nel cielo che coinvolgono «il sole, la luna e le stelle», troviamo i segni sulla terra: «il fragore del mare e dei flutti» (citazione del Salmo 68), è un’immagine per indicare la totalità del mondo. Le potenze dei cieli, sono il simbolo di quello che c’è di più saldo, fermo e affidabile. Il sole, la luna e le stelle, sono l’immagine stessa della solidità, della fermezza e della costanza, perché non cambiano; sono fermi al loro posto. Affermare che saranno sconvolte è un modo per dire che verrà meno ogni sicurezza e solidità. È iniziato l’oggi di Dio, tanto aspettato ansiosamente dalla creazione stessa: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19 ss).
Ma sulla terra domina l’angoscia “synochē”, cioè un’ansia esteriorizzata: è la condizione di chi non conosce la paternità di Dio e che ignora di venire da Lui e di tornare a Lui. Bisogna pensare al terrore di persone che non riescono più a trovare alcun sostegno o certezza nel mondo: al posto della speranza c’è la certezza angosciante che le cose peggioreranno.

v. 26:
Gli uomini verranno meno per la paura. La “phobia” è diversa dal timore di Dio. Spesso l’uomo è attanagliato dalla paura già in vita, pensando alla sua morte.
La reazione degli uomini di fronte al Figlio dell’uomo che viene è la stessa di Adamo (Gen 3,10), che al rumore dei passi di Dio nel giardino si nasconde perché ha avuto paura “ephobēthēv”. Il paradosso è che l’uomo teme la sua Vita come la propria morte.  

v. 27:
E allora vedranno “opsontai”: sarà un’esperienza sensibile, riscontrabile con gli occhi del corpo. Tutto quanto detto prima focalizza l’attenzione sull’avvenimento fondamentale che è descritto in questo versetto: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo che viene in una nube con potenza e molta gloria». È qui il centro!
«E allora»: la venuta di Gesù è da vedere contemporaneamente agli sconvolgimenti di cui ha appena parlato.
Il Figlio dell’uomo viene in una nube. La nube è simbolo della presenza di Dio. Esodo 40,34a: «la nube coprì la tenda del convegno». La nube è legata all’apparizione di Dio che si rivela e si nasconde: ai discepoli al momento della Trasfigurazione di Gesù (Lc 9,34), al momento della sua ascensione (At 1,9); rimanda ad un futuro escatologico: la Chiesa salirà al cielo sulle nubi incontro al Signore (1 Ts 4,17; cfr Ap 11,12).
L’espressione Figlio dell’uomo è ripresa da Ezechiele (Ez 2,1 ss), nei vangeli è posta sempre sulle labbra di Gesù e vuole indicare, sia il giudice della fine del tempo inviato da Dio, sia Gesù stesso, l’inviato da Dio incaricato di anticipare il giudizio ultimo perdonando i peccati, accordando la salvezza a quelli che credono in lui (Lc 5,24; 6,5), sia negli annunci della passione, Gesù stesso che si prepara a dare la vita sulla croce (Lc 9,22.44; 18,31). Il suo giudizio è la sua croce.
L’immagine del Figlio dell’uomo che viene sulla nube viene era descritta da Daniele (Dn 7,13-14), dove è narrata una visione notturna.
Il profeta vede uscire dal mare (il mare nella concezione biblica è un simbolo caotico di morte e di ostilità) quattro grandi bestie: la prima simile ad un leone con ali di aquile; la seconda simile ad un orso; la terza simile ad un leopardo, la quarta simile a niente perché è così spaventosa che non è nemmeno descrivibile. Le quali quattro bestie rappresentano, per il Libro di Daniele, una serie di Imperi che hanno dominato la storia del mondo, dei Medi, dei Persiani, Alessandro Magno, forse prima dai Babilonesi.
L’idea che ne viene fuori è evidente per Daniele: la storia è una successione di Imperi bestiali. A queste quattro figure bestiali, se ne contrappone una quinta che viene non dal mare «ma viene con una nube del cielo; giunge fino al vegliardo che dà a questa figura il potere eterno e universale… è uno simile ad un figlio di uomo». Questa figura d’uomo si contrappone alle bestie: quelli erano imperi bestiali, questa finalmente è una figura umana e umanizzante.
«Allora vedranno il figlio dell’uomo che viene in una nube con potenza e molta gloria»: la potenza e la gloria indicano l’instaurazione di una sovranità nuova, forte e invincibile.
«Con potenza e gloria grande»: sono le parole che Gesù ripeterà davanti al sinedrio (Lc 22,69). La nube è il “velamento” che Dio porterà sulla croce: è la croce la potenza con cui Dio vince il male e la grande gloria con cui rivela il suo amore per l’uomo.

v. 28:
«Quando cominceranno ad accadere queste cose» è un’allusione alle guerre, alle violenze che sconvolgono il mondo: è il mistero del male presente in mezzo a noi. I versetti seguenti pongono la nostra attenzione su quale tipo di esperienza il credente è chiamato a fare, con il compimento della venuta di Cristo.
«Alzatevii» “anakypsate” è un atteggiamento contrario a quello precedente dove si parlava di “uomini che verranno meno dalla paura”. L’appello è dunque a non rimanere sopraffatti dall’angoscia: la speranza è l’arma del discepolo, il quale sa confidare in Colui che ha vinto il peccato e la morte.
«Levate il capo» è l’atteggiamento di chi ha presente nell’intelligenza del cuore e della mente la propria meta, che conosce a quale speranza siamo chiamati: «possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,18). La speranza è qualcosa di più dell’attesa: è la certezza che nulla ci potrà separare dall’amore di Dio manifestato in Gesù (Rm 8,39).
«La vostra liberazione è vicina»: la venuta del Figlio dell’uomo, è portatrice di liberazione “apolytrōsis”. Questo termine rimanda al contesto di una liberazione, di un prigioniero o di uno schiavo, avvenuta dietro pagamento di un riscatto. «Siamo stati riscattati… col sangue prezioso di Cristo» (1Pt 1,18): il prezzo del riscatto ci dice l’amore gratuito di Dio, ma anche il peso e il valore nostro!
L’immagine di questo versetto  realizza un doppio movimento: si parla di drizzare ciò che è curvo e d’innalzare ciò che è basso. La condizione attuale è di umiliazione, di bassezza e di ripiegamento su noi stessi, come di fronte ad un peso che grava sulle spalle, ma quando verrà il Figlio dell’uomo, il credente è chiamato a sollevarsi e poi a sollevare lo sguardo, cioè a diventare diritto e alto. Anche qui la simbologia è molto profonda: si allude alla vita e alla pienezza di vita.
La venuta del Figlio dell’uomo sarà evidentemente una venuta di giudizio, ma avrà come contenuto la liberazione. Questo versetto è un improvviso annuncio di fiducia e di speranza per i discepoli.
Incontrare Gesù significa imparare anche a discernere gli avvenimenti con occhi nuovi: gli occhi della fede. Significa saper leggere negli “avvenimenti di morte” il germe di vita. Il richiamo che possiamo cogliere è di vedere e vivere in essi la storia della salvezza.

v. 34:
«State bene attenti»: è una raccomandazione che richiama a ciò che Gesù aveva detto in un precedente discorso: «Fate attenzione, dunque, a come ascoltate» (Lc 8,18). La vita nel mondo comporta inevitabilmente dei pericoli e dei rischi; il cammino che ci chiama a percorrere non è facile né libero da difficoltà: è un cammino rischioso. Qual è il rischio?
Che «i cuori si appesantiscono»: cioè che perdano la sensibilità religiosa; che il cuore diventi indurito e pesante, incapace di cogliere la realtà della situazione in cui vive. L’invito a stare in guardia richiama l’attenzione sui pericoli che la vita quotidiana porta con sé.
«…e affanni della vita»: “merimnais”. Il termine greco è ricco di rimandi: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di tante cose… una sola è la cosa necessaria» (Lc 10,41);  il seme gettato dal seminatore e caduto fra le spine «…sono coloro che, dopo aver ascoltato, cammin facendo si lasciano prendere dalle preoccupazioni … e così non giungono a maturazione» (Lc 8,14).
In quest’ultima allusione la Parola è andata in profondità ed è riuscita a germogliare, ma è stata soffocata dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita: l’interesse per la volontà di Dio è scomparso o si è affievolito. Il rischio di disperdere le nostre energie e capacità dietro a chimere o mete, in ultima analisi non essenziali, è sempre all’ordine del giorno. La parabola del ricco stolto (Lc 12,16 ss) è di grande insegnamento: l’uomo, fondamentalmente, lontano da Dio non trova pace.
Il contrario di «questa pesantezza nel cuore, nelle crapule e nelle ubriachezze», è quell’atteggiamento di fede cui fa riferimento il Vangelo quando dice di non preoccuparsi di quello che mangeremo o berremo o di quello che vestiremo. «Poi disse ai discepoli: Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre» (Lc 12, 22-24a).
Il cuore del problema è di imparare a vivere il tempo che ci separa dalla parusia nella vigilanza senza essere appesantiti da troppe preoccupazioni, ma mettendo invece la nostra fiducia e la nostra libertà nel Signore.

v. 35:
«…come un laccio»: l’immagine del laccio che ritroviamo in Isaia (24, 17ss) vuol sottolineare il momento della sorpresa.
«… e quel giorno non vi piombi addosso improvviso»: pensiamo alle parabole del ladro che viene a scassinare: «Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa» (Lc 12,39).
Il giorno del giudizio di Dio è come un ladro per l’uomo che non si riconosce creatura di Dio, mentre è come uno sposo per chi lo invoca «Maranà tha» (1 Cor 16,22). La venuta del Figlio dell’uomo non è qualcosa di tremendo. È il compimento di ogni desiderio: l’incontro con il Signore.
Colui che ama il Signore grida: “Maranà tha: vieni, o Signore”. Tutta la Scrittura termina con l’invocazione dello Spirito e della Sposa: “Vieni!”. E lo sposo dice il suo “Sì, verrò presto” (Ap 22,17.20). Ciò che l’uomo teme e da cui fugge, è in realtà il rumore dei passi dello sposo.

v. 36:
«Vegliate e pregate»: questi imperativi ci dicono in che modo vivere questa vigilanza concreta. L’atteggiamento fondamentale della vigilanza per Luca è la preghiera, si può ripensare alla preghiera di Gesù nell’orto del Getsèmani (cfr. Lc 22, 39-46). Il Vangelo di Luca insiste molto sul pregare perseverante, senza stancarsi (Lc 18,6-8). Attraverso questa preghiera insistente si può ottenere da Dio la liberazione dal giudizio, perché la venuta del Figlio dell’uomo sia motivo non di condanna ma di liberazione e di salvezza.
«… in ogni momento» può fare riferimento sia alla vigilanza che alla supplica. “Kaipōs” allude al tempo opportuno: ogni momento può diventare luogo d’incontro con il Signore, opportunità in cui si gioca la nostra fedeltà e testimonianza.
La vigilanza è il contrario del cuore appesantito, la preghiera è il cibo di cui si nutre il cuore sveglio. La vigilanza e la preghiera ci fanno stare diritti: è l’atteggiamento di chi accoglie colui che viene, non come giudice, ma come fratello.
«Sfuggire a tutto quello ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Comparire traduce il verbo greco “stathēnai” che letteralmente significa “stare”; ha un significato cultuale. L’immagine che viene evocata è quella degli angeli e della corte celeste, che stanno davanti a Dio; dei sacerdoti che prestando servizio nel tempio possono stare davanti a Dio.
Il senso dell’immagine è che in questa venuta del Figlio dell’uomo il discepolo riceve da Dio la possibilità di stare al suo cospetto come all’interno del recinto sacro, al cospetto della Presenza misteriosa, ma ormai benevola e benefica, di Dio nel Figlio dell’uomo.

Appendice
Poca è la fatica e grande è la ricompensa
Breve è il tempo e poca la fatica, ma tuttavia ci siamo rilassati e siamo venuti meno.
Combatti sulla terra e la tua corona è nei cieli; sei punito dagli uomini e sei onorato da Dio; corri per due giorni e la ricompensa è nei secoli senza fine; la lotta è in un corpo corruttibile e gli onori saranno in un corpo corruttibile. Oltre a questo si deve considerare che, anche se non vogliamo andare incontro a qualche sofferenza per Cristo, dobbiamo senz’altro soffrire cose spiacevoli per altri motivi. Se non muori per Cristo, non te ne andrai da questo mondo con esse…
Vuole che tu faccia di tua iniziativa quello che devi fare necessariamente. Tanto chiede di aggiungere che si faccia per lui, perché il fatto che queste cose avvengano e passino, dipende dalla necessità della natura…
Se vuoi  adornarti, dice Gesù, prendi il mio ornamento; se vuoi armarti, indossa le mie armi; se vuoi vestirti, prendi la mia veste; se vuoi nutrirti, nutriti alla mia mensa; se vuoi viaggiare, va’ per la mia; se vuoi ereditare, prendi la mia eredità; se vuoi entrare in patria, entra nella città di cui sono l’artefice e il costruttore; se vuoi edificare una casa fallo nelle mie tende…
Io non esigo da te ricompensa per quanto do, ma anzi ti sono debitore di ricompensa proprio per questo, se vuoi avvalerti di tutti i miei doni. Che cosa potrebbe eguagliare questa generosità?
Io sono padre, fratello, sposo, casa, nutrimento, veste, radice, fondamento, tutto ciò che vuoi; non aver bisogno di nulla. Io sarò anche servo, perché sono venuto a servire, non a essere servito. Io sono amico, membro, capo, fratello, sorella, madre, tutto; soltanto trattami con familiarità.
Per te sono povero, per te sono ramingo, per te sono stato sulla croce, per te sono stato nel sepolcro; in cielo intercedo per te presso il Padre e sulla terra sono venuto come ambasciatore per te da parte del Padre. Tu sei tutto per me, fratello, coerede, amico, membro. Che vuoi di più? Perché respingi chi ti ama? Perché ti affatichi per il mondo? Perché attingi ad un orcio forato? (San Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, Omelia 76,3-4)

Noi vedremo il suo corpo crocifisso e risorto
E allora vedranno il Figlio dell’uomo venire in una nube con gran potenza e maestà. Mi sembra che ciò possa intendersi in due modi: cioè che venga nella Chiesa come in una nube, allo stesso modo che ancora adesso non cessa di venire come egli stesso disse: Ormai vedrete il Figlio dell’uomo assiso alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo (Mt 26,61); ma egli allora verrà con gran potenza e maestà, poiché queste appariranno più grandi ai santi, ai quali darà tanta forza da non soccombere alla persecuzione. Oppure si manifesterà con lo stesso corpo con cui è assiso alla destra del Padre (cf. Rm 8,34; Mc 16,19; Col 3,1), con cui morì, risorse e ascese al cielo, come sta scritto negli Atti degli Apostoli: Ciò detto, si sollevò sopra una nube e sparì dalla loro vista (At 1,9). E poiché anche allora gli angeli dissero: Ritornerà allo stesso modo che l’avete visto salire al cielo (At 1,11), con ragione si deve credere ch’egli tornerà non solo col medesimo corpo, ma anche in una nube, dato che tornerà allo stesso modo che se ne andò sopra una nube. (Agostino, Le lettere, 199,11,41)

Le avversità sono un segno che il Regno è vicino
Fratelli carissimi, chi milita al servizio di Dio, chi è già collocato nell’accampamento divino e pone già le sue speranze nel cielo, deve conoscere se stesso perché in noi e in lui non ci sia alcuni timore delle tempeste e dei turbini del mondo, nessun turbamento in quanti il Signore ha predetto che questi eventi sarebbero accaduti, istruendoci con esortazioni provvidenziali, insegnando, preparando e rinforzano il popolo della sua Chiesa a sopportare gli eventi futuri: annunziò e profetizzò che sarebbero sorti in ogni luogo guerre, fame, terremoti, pestilenze. Inoltre perché un’improvvisa e folle paura dei mali che dilagano sempre più nel momento presente non ci sconvolgesse, preannunziò che negli ultimi tempi gli eventi funesti sarebbero andati crescendo. Ecco, accadono gli eventi che sono stati predetti e, poiché accadono, faranno seguito tutti quelli che prisma sono stati preannunciati e tutti quelli che sono stati promessi, perché lo stesso Signore prometteva e diceva: Quando vedrete che tutto questo accade, sappiate che è vicino il regno di Dio. Fratelli carissimi, il regno di Dio inizia a essere vicino: mentre il mondo passa, ormai giungono la ricompensa della vita, la gioia della salvezza che mai finisce, l’eterna letizia, il possesso del paradiso perduto tempo fa: ormai i beni celesti succedono a quelli terreni, le grandi cose alle piccole, le realtà eterne alle effimere. (Cipriano, La condizione mortale dell’uomo 2)

Con questa prima domenica di Avvento inizia un nuovo anno liturgico: il Popolo di Dio si rimette in cammino, per vivere il mistero di Cristo nella storia. Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr Eb 13,8); la storia invece muta e chiede di essere costantemente evangelizzata; ha bisogno di essere rinnovata dall’interno e l’unica vera novità è Cristo: è Lui il pieno suo compimento, il futuro luminoso dell’uomo e del mondo. Risorto dai morti, Gesù è il Signore a cui Dio sottometterà tutti i nemici, compresa la stessa morte (cfr 1 Cor 15,25-28). L’Avvento è pertanto il tempo propizio per risvegliare nei nostri cuori l’attesa di Colui "che è, che era e che viene" (Ap 1,8). Il Figlio di Dio è già venuto a Betlemme venti secoli or sono, viene in ogni momento nell’anima e nella comunità disposti a riceverlo, verrà di nuovo alla fine dei tempi, per "giudicare i vivi e i morti". Il credente è perciò sempre vigilante, animato dall’intima speranza di incontrare il Signore, come dice il Salmo: "Io spero nel Signore, / l’anima spera nella sua parola. / L’anima mia attende il Signore / più che le sentinelle l’aurora" (Sal 129,5-6).
Questa domenica è, dunque, un giorno quanto mai indicato per offrire alla Chiesa intera e a tutti gli uomini di buona volontà la mia seconda Enciclica, che ho voluto dedicare proprio al tema della speranza cristiana. Si intitola Spe salvi, perché si apre con l’espressione di san Paolo: "Spe salvi facti sumus - Nella speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24). In questo, come in altri passi del Nuovo Testamento, la parola "speranza" è strettamente connessa con la parola "fede". E’ un dono che cambia la vita di chi lo riceve, come dimostra l’esperienza di tanti santi e sante. In che cosa consiste questa speranza, così grande e così "affidabile" da farci dire che in essa noi abbiamo la "salvezza"? Consiste in sostanza nella conoscenza di Dio, nella scoperta del suo cuore di Padre buono e misericordioso. Gesù, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ci ha rivelato il suo volto, il volto di un Dio talmente grande nell’amore da comunicarci una speranza incrollabile, che nemmeno la morte può incrinare, perché la vita di chi si affida a questo Padre si apre sulla prospettiva dell’eterna beatitudine.
Lo sviluppo della scienza moderna ha confinato sempre più la fede e la speranza nella sfera privata e individuale, così che oggi appare in modo evidente, e talvolta drammatico, che l’uomo e il mondo hanno bisogno di Dio – del vero Dio! – altrimenti restano privi di speranza. La scienza contribuisce molto al bene dell’umanità, - senza dubbio - ma non è in grado di redimerla. L’uomo viene redento dall’amore, che rende buona e bella la vita personale e sociale. Per questo la grande speranza, quella piena e definitiva, è garantita da Dio, dal Dio che è l’amore, che in Gesù ci ha visitati e ci ha donato la vita, e in Lui tornerà alla fine dei tempi. E’ in Cristo che speriamo, è Lui che attendiamo! Con Maria, sua Madre, la Chiesa va incontro allo Sposo: lo fa con le opere della carità, perché la speranza, come la fede, si dimostra nell’amore. Buon Avvento a tutti! (Papa Benedetto XVI, Angelus del 2 dicembre 2007)

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