Juan J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA 1a Domenica di Avvento

29 novembre 2015 | Anno C | Omelia
Lectio Divina su Lc 21,25-28.34-36
Iniziamo un anno liturgico durante il quale torneremo a ricordare ciò che Dio ha fatto per noi durante tutta la storia, in quanto suo Signore. Così potremo meglio immaginare che cosa sarebbe disposto a realizzare
per noi nella nostra piccola storia, se gli permetteremo di essere padrone di essa. Questa memoria del Dio che è per il bene degli uomini e del Dio che può essere il nostro bene, dovrebbe portarci ad un rendimento di grazie meglio motivato che ci conduca a una più permanente conversione a Lui. E cominciamo, come ogni anno, con il tempo di Avvento, durante il quale la Chiesa vuole educarci a vivere nell'attesa entusiasta del Signore che si avvicina e nella vigilante preoccupazione di avvicinare questo momento, la sua "ora".
Servendosi delle immagini apocalittiche, e anche avendo dinanzi agli occhi, la recente caduta di Gerusalemme, Luca annuncia la venuta del 'giorno del Signore' come una grande catastrofe cosmica: gli eventi saranno tali che la paura si impadronirà degli uomini. Solo i discepoli sapranno di essere al sicuro: chi aspetta il Signore saprà che la loro salvezza è arrivata. Nel giorno del disastro loro alzeranno la testa, sempre che già da ora vivano svegli: la loro attesa impone la veglia; non godere già della presenza del Signore li obbliga a rinunciare a gran parte di quanto può separarli da Lui. La preghiera continua faciliterà l'attesa: il discepolo che prega vive preparato e riceverà in piedi il suo Signore. Chi aspetta il suo Signore non teme le catastrofi attuali né il ritardo della sua venuta: lo attende desiderandolo e, mentre lo desidera, rinuncia a quanto non è Lui senza rinunciare alla gioia di vivere.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:


"25 Ci saranno segni nel sole la luna e le stelle, e sulla terra angustia dei popoli, terrorizzati per il fragore del mare e dei flutti. 26Gli uomini moriranno per la paura e l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra, gli astri saranno sconvolti.
27E vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube, con grande potere e maestà.
28 Quando comincia a succedere questo, levatevi, alzate il capo: si avvicina la vostra liberazione.
34 Tenetevi pronti: non si offuschi la mente con il vizio, le bevande e gli affanni della vita, 35e vi piombi addosso quel giorno; perché cadrà come un laccio su tutti gli abitanti della terra.
36 State sempre pronti, chiedendo forza per scampare da tutto quello che sta per venire e mantenervi in piedi davanti al Figlio dell'uomo".
I. LEGGERE: comprendere ciò che dice il testo soffermandosi su come lo dice.

Il cosiddetto 'discorso escatologico' (Lc 21,5-28) chiude il ministero pubblico di Gesù a Gerusalemme, e lo fa in modo particolarmente drammatico: annuncia la distruzione della città e del suo tempio (Lc 21, 5-24) e predice la venuta del Figlio dell'uomo (Luca 21-25-38): la fine di "un" mondo deve precedere la comparsa del nuovo. Gesù, che pianse nel vedere la città per la quale Dio si è rivelato (Lc 19,41-44), reagisce dinanzi all'ammirazione che provoca la magnificenza di un tempio in fase di ricostruzione (Lc 21,5-7): non saranno le pietre esistenti, ma il Figlio dell'uomo che ancora dovrà venire che merita ogni fiducia.

Il nostro testo evangelico (Lc 21,25-28.34-36) si concentra sull'evento conclusivo: la prossima venuta del figlio dell'uomo impone a vivere in stato di veglia permanente. Non è la prima volta che Gesù lo ha fatto (Lc 12,35-48; 17,20-37); ora, il suo avvertimento è pubblico (Mc 13,1-4) e più perentorio. Preceduto dalla caduta precipitosa del 'vecchio' mondo, la paura dell' umanità e lo sconvolgimento cosmico, il Figlio dell'uomo si farà presente per esercitare un potere enorme. Il suo arrivo, che affretterà la fine del mondo, riempirà di coraggio coloro che aspettavano. Lungi dall'essere temibile, ciò che si attende - non un mondo nuovo, ma un uomo nuovo! - sarà motivo di gioia: che il Salvatore è vicino dice la prossimità della salvezza definitiva.
Tuttavia, questa buona notizia porta un serio avvertimento: la sicurezza che viene il Salvatore non deve lasciare inattivi coloro che lo attendono. Siccome sta per venire, è necessario attenderlo in piedi, a testa alta. Sapere che viene il Figlio non deve togliere il sonno né opprimere durante il giorno, ma non si possono trascorrere le giornate vivendo sonnolenti o indolenti. Svegli e vigili vuole sempre i suoi servi, il Signore che sta per venire (Luca 12:37).

II. MEDITARE: applicare ciò che dice il testo alla vita

Penso che la prima cosa che dobbiamo fare oggi è chiederci se questo obbligo di vivere in attesa del Signore ci risulta un po' pesante, se non ci sembra qualcosa di superfluo o inutile. E 'vero che tutti noi desideriamo giorni più tranquilli, vogliamo vivere senza angustiarci per il futuro, sogniamo di liberarci dai problemi che ci preoccupano. Ma la realtà che viviamo ogni giorno contraddice le nostre migliori speranze, tanto che si giunge spesso a disperare: chi ci restituirà l'entusiasmo nella fede? Come si può mantenere la speranza in questa vita?

Senza negare che un grosso problema di oggi è che, a quanto pare, nel nostro mondo ci sono più motivi di scoraggiamento che per sperare, senza nasconderci che esiste tra noi un gran numero di persone "finite", uomini e donne che sono stati derubati della speranza, incapaci di immaginare e realizzare qualcosa di nuovo, senza fascino e senza capacità di affascinare, noi credenti, e solo perché aspettiamo ancora il nostro Signore Gesù, abbiamo ragione di rimanere fiduciosi e nutrire la speranza nell'uomo e nel nostro mondo. E abbiamo questi motivi, non perché ce li diamo, perché nascono dalle nostre possibilità o possiamo procurarceli. Né, tanto meno, perché ce li danno gli altri. Li abbiamo perché Dio ce li ha assicurati: deve valere molto un mondo in cui Dio vuole farsi presente. Merita il nostro rispetto e il nostro amore, un uomo di cui Dio ha voluto farsi simile. Se Dio è determinato a avvicinarsi a noi, ancora significhiamo qualcosa per Lui. E se qualcosa valiamo dinanzi a Lui, abbiamo ancora motivo di valorizzare noi stessi un po' di più. Se Dio aspetta da noi ancora qualcosa di nuovo, non vi è alcun motivo di disperare nemmeno di noi stessi.

Dio è vicino a noi ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a Lui. Con il suo desiderio di essere vicino a noi, Dio ci garantisce la speranza nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro cuore, se gli assicuriamo che nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro cuore lo stiamo già aspettando. Sforzandoci di vivere ora come se Lui fosse già con noi, renderemo più sopportabile la sua assenza e ci prepareremo meglio a riconoscerlo quando arriva; cercando di lavorare per la pace, senza condannare l'altro e con la nostra sofferenza - la pace non si realizza senza dolore, e solo chi dà la pace la mantiene-, troveremo la tranquillità che Egli è disposto a darci, quando verrà.

Il vangelo di oggi parla di questa sicura venuta di Gesù. E' vero che il suo discorso sarebbe potuto sembrare strano a noi: parlare di segni nel sole, nella luna, fragore del mare, potenze celesti che cadono a terra sono immagini che non ci dicono molto. In cambio, comprendiamo meglio le altre espressioni che parlano della sofferenza delle genti e delle paure che uccidono ogni coraggio, di oppressione dinanzi a un futuro tetro. In un'epoca come la nostra, in cui la nostra vita dipende da molti fattori imponderabili, di decisioni che non dipendono da noi, di programmi politici che non abbiamo fatto noi - e spesso, non possiamo fare noi -, di uomini che non incontreremo mai, di malattie che tanto temiamo; in un'epoca in cui anche l'aria è impura, perché l'abbiamo fatta così, in cui i paesi ricchi vendono agli affamati più armi che cibo, dove l'amore è diventato più facile e meno duraturo, dove donarsi agli altri è diventato più raro e straordinario, in un mondo così è possibile, ancora, la speranza. Un messaggio così sconvolgente, così inaspettato e così terribile, è quello che dobbiamo proclamare noi cristiani. Dagli anni in cui Paolo scriveva ai suoi discepoli, appena venti dopo la morte e la risurrezione di Gesù, i cristiani viviamo in attesa del Signore. E questa speranza niente e nessuno può portarcela via: se il mondo diventa sempre più inospitale per noi, tanto più aspettiamo l'arrivo del nostro salvatore. Se noi stessi sentiamo profondamente la mancanza di Dio, meno ci costerà aspettarlo.

Questo è, proprio questo, il nostro compito nel nostro mondo: vivere senza che esso faccia appassire la nostra speranza, vivere senza che il male affoghi il nostro sogno. I credenti non neghiamo la realtà del male, ma neghiamo che siamo una sua preda irrimediabilmente e per sempre. Se crediamo che Dio, nonostante tutto - anche noi stessi - non ci abbandona, cammina verso di noi, vuole essere vicino ai nostri problemi, avremo il coraggio di portare la nostra speranza, ritroveremo la fiducia nel nostro mondo e in noi stessi e renderemo credibile dinanzi agli altri la nostra fede. Se ci sentiamo amati da Dio, ci sentiremo più forti dell'angoscia, carichi di speranza; se ci sforziamo di amare gli altri, di credere di più in loro, di amarli un po' di più, non per quello che sono o fanno, ma per quanto Dio è per loro e ha fatto per loro, ritroveremo la speranza in noi e riscopriremo un compito verso ogni uomo, quello di farlo nostro prossimo. Allora, solo allora, avremo la certezza che Dio sta venendo in noi: perché ci ha salvati dal nostro egoismo; e il mondo, il nostro mondo, avrà recuperato la speranza che nasce dal riconoscere in noi questo grande cambiamento. Il più urgente e duraturo cambio, che porta migliori aspettative, non è il cambio di situazioni sociali, ma ciò che accade nel cuore umano, quando diventa un prossimo degli uomini. Il fatto che il nostro Signore è vicino, si sta avvicinando, ci deve fare vicini a quelli che hanno bisogno di noi. Questo è il migliore - l'unico credibile - frutto della nostra speranza.

Vivere così la speranza è l'unico modo degno, degno di fiducia, per celebrare la venuta di Cristo. Perché credere nella speranza è creare situazioni di speranza, è dare motivi perché gli altri si fidino; implica appoggiare chi si sta rovinando poco a poco accanto a noi tanto come non attentare contro i sogni dei migliori avventurosi. Che Dio, quando tornerà, ci trovi al lavoro per dilatare la speranza in questo mondo, così privo di essa; che al suo ritorno, Dio ci trovi vigilanti, in piedi, a fare questo mondo migliore, così come tutti noi speriamo! Solo così potremo festeggiare, non temere - né solo ricordare - l'Avvento, l'arrivo del Signore nelle nostre vite. Solo così ci riconoscerà come suoi servi, quando arriva, perché quando era assente abbiamo fatto quello che ci aveva ordinato, vale a dire, lo abbiamo aspettato facendo reali le sue promesse. Ci sarà un modo migliore di essere suoi servi speranzosi? [Traduzione di don Nino Zingale sdb]

Juan J. BARTOLOME sdb

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