JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA"Imparate da questa parabola del fico"

15 novembre 2015 | 33a Domenica - Tempo Ordinario B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Mc 13,24-32
Le letture di oggi, sicuramente, ci sono risultate strane. E non ci mancano le motivazioni; infatti esprimono qualcosa che non sentiamo con la stessa intensità e la stessa convinzione che avevano Gesù e i primi cristiani: la fine del mondo, la fine del nostro mondo. In più, si esprimevano con immagini forti che ci appaiono insolite, che per noi oggi non hanno
molto senso. E siccome ci possono suonare come cose del passato, corriamo il rischio di perdere quello che Dio oggi ci propone come sua Parola; per il fatto di sembrarci strana la Parola di Dio non smette di essere, di dover essere messa in pratica; non possiamo nasconderci dietro al fatto che queste cose non succedono al giorno d'oggi per non prestare attenzione e obbedienza a quello che Gesù voleva dirci con esse.

In quel tempo,
24 Gesù disse ai suoi discepoli:
"In quei giorni, dopo una grande angustia, il sole si farà tenebra, la luna non darà il suo splendore,
25 le stelle cadranno dal cielo, gli astri si spegneranno.
26 E vedranno venire il Figlio dell'uomo sopra le nubi con grande potere e maestà;
27 invierà gli angeli per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da orizzonte a orizzonte.
28 Imparate da questa parabola del fico: Quando i rami diventano teneri e sbocciano le gemme, sappiate che l'estate è vicina; 29 così quando vedrete succedere questo, sappiate che lui è vicino, alla porta. 30 Vi assicuro che non passerà questa generazione prima che tutto si compia. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno, 32 riguardo il giorno e l'ora nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre."

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

L'ammirazione di un discepolo davanti alla grandezza del Tempio provoca in Gesù, "seduto sul monte degli Ulivi" (Mc 13,1.3), uno dei suoi discorsi più duri e difficili da comprendere. Oltre a predire ai suoi attoniti discepoli che sta per verificarsi la completa distruzione dell'ammirato Tempio, (Mc 13,2), annuncia come imminente una serie di calamità che la precederanno esortando ad affrontarle con vigilanza e lucidità (Mc 12,5-23). È allora, quando promette la venuta del figlio dell'uomo, che si trova il cuore del suo discorso (Mc 13,24-32): la fine del mondo - e per i discepoli di Gesù, e i giudei, la rovina del Tempio era una vera fine del mondo - non verrà senza cataclismi inimmaginabili; l'intero creato soffrirà l'indicibile (Mc 12,24-32) prima che appaia il figlio dell'uomo (Mc 12,26): la sua presenza, imponente e sovrana, indica l'irruzione del regno di Dio e l'inizio della sua realizzazione: gli eletti saranno riuniti (Mc 12,27). La salvezza divina è stata immaginata frequentemente nell'AT come aggregazione dei dispersi (cfr. Is 11,1.16; 27,12; Ez 39,27); quello che si sperava che Dio compisse di persona, lo farà il figlio dell'uomo, che indossa così le vesti di Dio.
All'annuncio segue un'esortazione: se sanno prevedere l'inverno nel germogliare del fico, dovranno imparare a distinguere le orme di un Signore che "sta alla porta" (Mc 12,29). Che apprendere questo non sia una libera scelta appare ancora più evidente nella solenne affermazione che segue: questa generazione vedrà ciò che le è stato annunciato (Mc 12,30). Per quanto oscura risulti, l'osservazione di Gesù è tagliente: chi lo sta ascoltando sarà spettatore di quanto annuncia. Per di più, sicuro com'è che accadrà quello che sta predicendo, prosegue con una certezza insolita: le sue parole, come quelle di Dio stesso (Is 40,8; 51, 6), sono più ferme del fermo firmamento e della terraferma (Mc 12,31). Richiama l'attenzione che dopo aver parlato con tanta sicurezza, adesso afferma con riservo ciò che dice: nessuno, solo Dio conosce il momento esatto in cui accadranno tutte queste cose (Mc 12,32). Tanto inaspettata ammissione non indebolisce né ancor meno mette in discussione quanto annunciato; meglio, Gesù nega la risposta alla domanda iniziale dei suoi discepoli (Mc 12,4), perché non spetta a lui fissare la data ma realizzare i fatti. Solo al Padre spetta decidere quando il figlio deve venire per riunire i suoi eletti.

II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Rivolgendosi ai suoi discepoli Gesù li prepara affinché vedano nei luttuosi avvenimenti che verranno dopo la sua assenza un annuncio del giudizio imminente: le immagini, nello stile apocalittico più tipico, si ingrandiscono e si accumulano per drammatizzare la gravità e l'inevitabilità di quanto dovrà accadere. I discepoli devono vivere aspettando la venuta del Figlio dell'Uomo e del suo giudizio inappellabile. Gesù non suggerisce di fare calcoli ma insiste nel compimento del suo annuncio: saper discernere l'arrivo della primavera nel primo inverdire del fico dovrebbe far intravvedere loro le tracce che il giudice che verrà ha lasciato nella storia giornaliera; chi rimane sveglio per scoprire l'alba del domani deve camminare con le orme del futuro che è già presente nella sua vita: l'attesa di Cristo si accompagna alla vigilanza e al discernimento della propria storia. Invece di ingrandire l'angustia davanti ai mali imminenti o disilludersi verso una salvezza che non si vede, il cristiano deve alimentare le speranze per inventare e investigare i segni di Dio nel momento presente: il tempo e la voglia sono alibi per non prepararsi alla sua venuta.
Cosa può servire a noi ciò che ci ricorda la vicina e minacciosa fine del mondo? Che senso può avere questo messaggio oggi? In realtà la Parola di Dio non fa altro che metterci di fronte alla dura e dimenticata esperienza dei nostri giorni, benché lo faccia con un linguaggio oscuro. È l'esperienza quotidiana, quella che facciamo tutti i giorni, ma di cui cerchiamo di liberarci dimenticandola, è che stiamo vivendo un mondo nel quale non vale la pena vivere, un mondo che assiste impassibile al genocidio di popoli per guerre imposte o per carestie evitabili, un mondo in cui si uccide per poco e per meno si arriva al suicidio, un mondo in cui le madri decidono della vita dei figli non ancora nati e in cui i figli cresciuti mettono da parte i genitori... Un mondo così sta toccando il fondo tutti i giorni, sta arrivando senza accorgersene alla sua fine nonostante continui a credere che non vi sia una fine in vista.
Un mondo, la nostra società, che mostra più interesse per l'ambiente mentre diventa più insensibile verso il degrado della vita familiare, non merita molto il nostro dolore; e nemmeno può illuderci un futuro in cui la vita non è assicurata a tutti; non dovrebbe angustiarci il futuro di un mondo in cui la vita umana, il nostro futuro è minacciato dalla morte. Un mondo, la nostra società, in cui la mancanza di solidarietà ci sta ogni giorno di più convertendo in nemici gli uni degli altri; in cui la vita delle persone in carne ed ossa conta meno di un programma politico o dell'arricchimento personale. Un mondo in cui ogni giorno ci vengono offerti divertimenti nuovi e noi rifiutiamo di prenderci responsabilità, in cui l'amore si vende a buon mercato ed è sempre più difficile incontrare amanti autentici, è un mondo in cui per forza ci troviamo più soli, meno amati. Un mondo così non ha uscita.
È precisamente quello che ci dice la Parola di Dio: il mondo che abbiamo preparato non ha futuro, avrà certo una fine e già si vedono fra di noi i segnali di questo finale. Però quello che oggi ci dice il Vangelo non traspira pessimismo: è una buona notizia, è una parola di speranza e motivo di serena allegria. Gesù nel Vangelo ci ha parlato della fine del nostro mondo, questo mondo che abbiamo costruito noi, con le nostre forze, con il nostro sapere alle spalle di Dio quando non contro di Lui; Gesù vuole obbligarci a metterci qui e ora, in mezzo a questo mondo che prosegue per dargli senso e infondere speranza, opponendoci attivamente alle forze di morte che stanno operando in esso, essendo suoi testimoni, di un Dio Vivo e della vita, perché amiamo qualunque segno di vita e rispettiamo tutti gli esseri viventi perché favoriamo il bene e la fratellanza, perché lavoriamo per la solidarietà e il buon senso e ci sforziamo così per dare futuro a questo nostro mondo.
Forse poche volte nella storia della Chiesa il messaggio della Parola di Dio che abbiamo ascoltato oggi è stato così attuale: proprio perché ci sentiamo sicuri del mondo che abbiamo costruito, perché mai abbiamo goduto di tante comodità, di tanto progresso sociale ed economico, di tanta tranquillità sociale e libertà civile, in esso abbiamo destinato a Dio l'ultimo posto. E un mondo senza Dio, una grande casa senza Padre, lo sappiamo bene noi credenti, sta diventando un luogo meno umano, un focolare senza fratelli: esiliato il padre, i fratelli sono diventati nemici, il prossimo è diventato uno sconosciuto. Questo nostro mondo che non ha Dio come sua soluzione naturale, questa società in cui Dio non è il futuro e non vale la nostra sofferenza.
Questo è il messaggio che dovremmo proclamare con la nostra speranza, con la nostra attiva resistenza al male, noi, quelli che crediamo che Dio ha ancora un ruolo da protagonista, un luogo da occupare nel nostro mondo. Per rendere credibile la nostra testimonianza dovremmo essere i cristiani che con più dedizione, con meno sconforto, con maggior speranza e minor pessimismo affronteremo il compito di annunciare al nostro mondo che un mondo senza Dio è un mondo con una fine sicura.
Dirlo chiaramente oggi non ci rende profeti del malaugurio perché la nostra speranza non è ancorata qui ma in Dio, perché la nostra forza non sta nel fatto che tutto funzioni bene e secondo i nostri desideri ma nel fatto che Dio confida in noi che crediamo in lui. Una volta tanto dovremmo abbandonare i complessi di inferiorità con cui stiamo vivendo la nostra fede e recuperare il vigore dei primi cristiani che aspettavano un mondo nuovo e migliore. Dovremmo impedire la parola a chi la usa per costruire un mondo lontano da Dio, un mondo senza futuro per noi; non possiamo continuare a dare il nostro consenso a chi lo usa per negare la nostra fede.
Non è più possibile solo pregare, è necessario arrivare lì dove vengono prese le decisioni, dove questa nostra società in cui viviamo viene programmata, senza pretese ma anche senza complessi; senza dover chiedere perdono per testimoniare la nostra speranza, ma senza obbligare nessuno a pensarla come noi; accettando che altri perseguano altri scopi, ma non permettendo che ci siano persone più speranzose di noi in questo mondo: torniamo ad essere testimoni di Dio in un mondo che si avvicina alla sua fine, torniamo a chiedere rispetto per la vita, torniamo a coltivare la gratitudine e l'amore fraterno, torniamo ad essere chiesa pellegrina, torniamo a stare lì dove si rispetta l'uomo in carne ed ossa, il più bisognoso e ci sarà restituita l'allegria di vivere e torneremo ad abitare un mondo più umano, un mondo con Dio oggi e domani. Ricordiamoci che non siamo soli in questo compito: Gesù è il nostro sacerdote; continua a pregare per noi e si sacrificò per noi. Seduto insieme a Dio aspetta che tutto il male sia vinto, aspetta da noi che anticipiamo questa ora, questo momento; quindi è nelle nostre mani l'anticipare la fine di questo mondo di odio e di morte, di assenza di Dio e di irresponsabilità umana, un mondo senza futuro e senza Dio. Nel male che ci circonda, nel male che scopriamo nel nostro mondo e nel nostro cuore, il nostro "piccolo" mondo, dovremmo leggere, come fa il contadino con il fico, i segnali della nuova vita, di una primavera nuova: "sapete che Lui è vicino, alla porta". Se la sua vicinanza ci deve colmare, deve anche spingerci ad aspettarlo migliorando questo nostro mondo. Non c'è un altro modo, più evidente e degno di fede per dirgli che nonostante tutto non abbiamo perso la speranza in lui, perchè la nostra speranza è ancorata in Dio.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

Commenti

Post più popolari