Michele Antonio Corona"Cristo Re"

 Commento su Giovanni 18,33-37
Michele Antonio Corona
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) - Cristo Re (22/11/2015)
Vangelo: Gv 18,33-37
La prima lettura tratta da Daniele presenta la celebre ed enigmatica figura del Figlio dell'uomo. Essa si contrappone in modo netto alla presentazione delle precedenti quattro bestie, le quali rappresentano il
potere prepotente e bruto della politica del tempo.
I re di ogni angolo della terra si comportano come le quattro bestie (leone, orso, leopardo, spaventosa), che cercano di avvinghiare ogni suddito e stritolarlo. Il potere regale si istaura con la forza e lo si detiene con arroganza. La tendenza fondamentale è quella di identificare il dominio e la capacità di assoggettare con se stessi e con la propria regalità. La critica è serrata contro una modalità dispotica e lacerante.
Il Figlio dell'uomo che viene sulle nubi, riceve il regno dal Vecchio di giorni (Dio) come un dono intramontabile. Non si tratta di un'autorità irenica, ma libera dalla bramosia del potere scarnificante. Questo regno non può essere distrutto, perché non nasce da ulteriore distruzione.
Nel brano dell'Apocalisse il Cristo, che viene sulle nubi, instaura un regno di sacerdoti (credenti/salvati) attraverso l'amore e la liberazione dai peccati per mezzo del suo sangue. Un potere che non si esercita a partire dalla sopraffazione o dalla mostra di sé, ma dal dono completo di se stessi per gli altri.
Inoltre, è re non perché gestisce soldati o li comanda a suo favore, ma perché il regno gli è dato per la sua testimonianza fedele, essendo divenuto primogenito dei morti e principe dei re della terra.
Il brano evangelico di Giovanni va quindi letto alla luce dell'identità di Gesù di Nazareth. Inserire il breve brano all'interno del contesto più ampio offre una suggestione importante tenendo conto dei personaggi che lo abitano: Gesù, Pietro, Pilato, Caifa. La domanda/risposta che li accomuna è "Chi sei?". Nella nostra pericope è Pilato a chiederlo a Gesù, ottenendone la risposta "Io sono re". Il Maestro di Nazareth era fuggito (Gv 6,15) all'investitura popolare, motivata dall'aver visto il segno dei pani. Quel modo di essere re non era confacente a Gesù; anzi, era il modo tipico dei re della terra che donano per ottenere, che promettono per essere innalzati, che elemosinano per ottenere il controllo totale e autoincensante.
Quanto rappresenta un pericolo ancora attuale? Quante volte anche nelle nostre comunità si vive questo rischio a svariati livelli?
Caifa anziché "servire l'altro, si serve dell'altro": si serve di Gesù per ribadire la propria autorità; accusa e condanna per evitare che il suo potere sia intaccato.
La morte è decretata perché ha detto "Sono Figlio di Dio" (8,36), sebbene lo si accusi di aver detto "Io sono il re dei Giudei" (19,21).
Un secondo personaggio gioca la sua esistenza su questa domanda: "Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?" (19,17.25). Pietro ha la possibilità di proclamare finalmente la propria identità e divenire testimone fedele; invece, si comporta all'opposto del Maestro. Questi aveva rifiutato la regalità al momento del successo e la richiama al momento della prova. Pietro, al contrario, rifiuta di far parte di un regno della verità: "Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Caifa e Pilato, invece, detentori del potere bestiale che scarnifica e si basa sulla morte inferta, pongono domande sull'identità altrui e non rispondono alla questione esistenziale di chi sono loro.
Gesù risponde non solo per spiegare chi sia, ma soprattutto per generare nell'interlocutore la domanda di vita: non chi sono io, ma chi sono per te! Pilato non si schiera e si rivolge a Gesù senza farsi coinvolgere dalla sua regalità. Essa si declina attraverso la croce e la spogliazione.
La gloria del Re/Maestro non è, caratterizzata da schiere di militari, né di angeli combattenti, poiché questa è la logica del potere mondano. È un re diverso, un re che ha ricevuto dal Padre la regalità, un re che governa a partire dalla gloria della Croce. Infatti, Giovanni costruisce l'interrogatorio di Pilato con drammatica ironia: il governatore romano siede sul trono (19,13) per giudicare Gesù e condannarlo. In verità, l'unico giudice è il Cristo che sta in piedi, come in croce, e regna a partire attraverso la testimonianza della verità.

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