P. Ermanno Rossi O.P."La fine del mondo"

XXXIII Domenica Ordinaria – Anno B
(Mc 13, 24-32)
La fine del mondo
Questo brano del Vangelo di Marco, fa parte di un discorso più ampio, il cosiddetto discorso escatologico: riguarda, in altre parole, le realtà
ultime e definitive. È indubbiamente un discorso difficile.
Cogliendo occasione dall’ammirazione dei discepoli per il tempio, Gesù getta uno sguardo sul futuro. Il suo intento non è, certamente, quello di assecondare la nostra curiosità. Egli vuol darci il modo di prepararci all’evento finale: è in questo presente che si gioca il nostro futuro. L’atteggiamento che assumiamo oggi di fronte al suo annuncio sarà decisivo per ciò che avverrà nell’ultimo giorno.
Questo – in estrema sintesi – il messaggio di Gesù: la storia cammina, sotto la guida di Dio, verso un termine ultimo, verso una salvezza indistruttibile.
L’uomo, dunque, non è l’unico protagonista della storia. Essa è condotta da Dio verso una salvezza definitiva; però, non tutte le scelte che noi facciamo nella vita conducono alla salvezza, ma solo quelle che avvengono in obbedienza al disegno di Dio. La storia è soggetta ad un giudizio definitivo, che è quello di Dio.
Nel racconto di Marco c'è il richiamo alla fedeltà: «Badate che nessuno v’inganni. Molti verranno in nome mio dicendo: sono io! e inganneranno molti» (13, 5-6).
Noi – che viviamo in un paese cristiano – potremmo forse illuderci d’essere esenti da questa lotta e invece vi siamo immersi. Ogni giorno siamo tentati da mille situazioni che ci spingono al male. Non di rado anche le leggi dello Stato sono contro Dio e contro la vita.
Nelle parole di Gesù c'è, inoltre, il richiamo al coraggio nella persecuzione. Essa non è in alcun modo la smentita del Regno, ma semplicemente un luogo di testimonianza; anzi, una situazione in cui affiora un dramma ben più grande: la lotta fra il bene e il male, tra Dio e Satana.
La parusia - vale a dire la venuta di Gesù alla fine dei tempi - è imprevedibile: il Signore può giungere anche oggi; pertanto l'unico atteggiamento saggio è la vigilanza. Occorre essere sempre pronti ad accoglierlo, a qualsiasi ora arrivi.
Il richiamo alla vigilanza ricorre - in questo brano - sei volte, come un ritornello (vs. 5, 9, 23, 33, 35, 37). È una vigilanza duplice: contro le idee degli esaltati e le speculazioni dei falsi profeti, da una parte; contro il rilassamento di chi si adegua al mondo, dall'altra.
Marco sembra scorgere un duplice pericolo: da una parte, infatti, sembra rivolgersi a persone che, avendo rallentata la vigilanza, non vivevano più nella prospettiva escatologica e forse si adattavano troppo bene a questo mondo; dall'altra, si oppone a chi pareva credere che la fine del mondo fosse imminente. Ai primi dice: “State attenti, vigilate! Fatti e comportamenti dei nostri tempi indicano che stanno già per accadere gli sconvolgimenti escatologici”. Agli altri, invece: “Non è ancora la fine. Neppure il Figlio dell'uomo ne conosce la data”.
Io sono convinto che non vedrò la fine del mondo. Allora, il discorso di Gesù non mi riguarda?
Sì; riguarda anche me.
In effetti, la fine della vita - la mia morte - è per me come la fine del mondo: essa segna il momento in cui mi si presenterà il Signore Gesù. In quel momento l'incontrerò: come sarà l'incontro? Esso sarà condizionato dalla mia vita.
Che cosa, dunque, devo fare? Essere vigilante.
Vigilare significa essere costantemente in allerta, svegli, nell’attesa.
Significa, inoltre, vivere in atteggiamento di servizio. Ricordiamo la parabola dei servi che vigilano nell’attesa del ritorno del padrone: essi sono impegnati nel servizio loro richiesto. Vigilare implica lotta, fatica, rinuncia. Non è in alcun modo disimpegno o indifferenza.
Chi sarà vigilante entrerà, al seguito del suo Signore, alle nozze della vita eterna.
Quell’avvenimento sarà una meraviglia!

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