Abbazia Santa Maria di Pulsano, LECTIO DIVINA DOMENICA «DELLA VISITAZIONE DI MARIA AD ELISABETTA»

DOMENICA «DELLA VISITAZIONE DI MARIA AD ELISABETTA»
IV di Avvento C
Luca 1,39-45; Michea 5,l-4a; Salmo 79; Ebrei 10,5-10

La Domenica è sempre il «Giorno del Signore Risorto», e quindi
invariabilmente anche oggi che è contemplato come Colui che venne nella carne e conclude degnamente il breve ciclo delle Domeniche d'Avvento. E così a causa ed a partire dalla Resurrezione e dall'ultima Venuta del Signore nella Gloria, e in vista della Resurrezione, il Signore adesso è contemplato mentre nasce nella carne. La pienezza della Redenzione, la Resurrezione del Crocifisso con lo Spirito Santo, motiva ed esplicita 1'«inizio della Redenzione», come i Padri chiamavano il complesso che dall'Avvento al Natale all'Epifania al Battesimo e a Cana è la premessa dell'adempimento finale.
Da adesso il Disegno divino sta per manifestarsi e sta per operare quanto ha decretato immutabilmente.
«Colui che viene» tuttavia venne dal Cielo, da Dio, come «nostra Giustizia». E poiché il Cielo si unì con la terra, venne anche dalla «Terra vergine», Maria, dalla cui inviolata verginità, dono divino, il Signore stesso si plasmò la carne del Figlio, come in antico aveva plasmato dalla terra vergine, infondendo all'argilla il suo Soffio divino (Gen 2,7). Questo linguaggio inaudito è significante in modo straordinario. È una sintesi mirabile di «teologia della storia», sulla rigorosa base della Bibbia, che i Padri (da S. Ireneo in poi) hanno splendidamente esposto e codificato.
Anche l’invito liturgico dell’antif. d’ingresso và urgentemente recuperato:

Antifona d'Ingresso Is 45,8
Stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada
e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.

L’antifona d'ingresso tratta da Is 45,8 nel contesto della composizione che va sotto il nome di «Secondo Isaia» (Is 40-55), descrive con toni di violenta polemica lo scontro del Signore Unico, l'Unico Vivente, con la rovinosa idololatria del tempo (sec. 6° a. C). Il Signore è l'Unico Sovrano universale, il Creatore onnipotente e Onnireggente. Sotto la sua sovranità benefica sta soggetto tutto quello che Egli chiamò all'esistenza, cosmo, popoli, storia, non il solo Israele. Tutto avviene per gli uomini secondo il suo Disegno sapienziale imperscrutabile. Così Egli affida la sua missione salvifica, finalizzata anzitutto al suo popolo adesso in esilio, ma poi a tutte le nazioni, nelle mani di un pagano della steppa, di tribù barbare, Ciro re dei Persiani, il futuro rovesciatore della potenza immane di Babilonia, che era l'oppressione del mondo. Così fa anche risaltare mirabilmente il suo Disegno di «Dio Nascosto, il Dio d'Israele, il Salvatore» (v. 15). E fa risaltare coestensivamente la sua trascendenza e indicibilità, e la sua onnipresente Potenza che dirige la storia degli uomini. Perciò solo Lui può ordinare sovranamente la nuova creazione: nei cieli, che dalle loro nubi «distillino la Giustizia» misericordiosa e salvifica, e sulla terra, così che questa produca «la Salvezza». Nella teologia dell'autore si tratta di due personificazioni per indicare «Colui che viene» subito perché è il Promesso, l'Inviato unico del Signore «che crea tutte le realtà» (cfr T. Federici, Cristo Signore Risorto Amato e Celebrato. Commento al lezionario domenicale. Ed. Eparchia di Piana degli Albanesi: Palermo 2001).
La preoccupazione principale della liturgia non è certo quella cronologica, ma quella di introdurci nella contemplazione del mistero; in questa domenica, l'ultima prima del Santo Natale, la nostra attenzione è attirata sui tre messaggi che annunziano che il Figlio di Dio assume la nostra carne nel seno d'una vergine (Cfr Tabella lezionario delle Dom. di Avvento1):
1) l'angelo mandato a Giuseppe ci fa sapere che il bambino, il quale riceverà i nomi simbolici di Gesù ed Emmanuel («Dio salva» e «Dio con noi») è stato concepito per opera dello Spirito Santo (Evangelo anno A ).
2) l'angelo che saluta Maria da parte di Dio riceve il suo assenso a cominciare l’opera della redenzione (Evangelo anno B);
3) infine, Elisabetta, piena di Spirito Santo, annunzia la presenza del Signore nel seno di Maria (Evangelo anno C). Il mistero è immenso: «Taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio» (Cfr. Rm 16,25-27, II lett. anno B).
Ecco perché la liturgia ci propone anche una riflessione sulla profezia di Isaia sulla Vergine che dà alla luce l’Emmanuele (I lett. anno A); di Natan a Davide sulla durata eterna del suo regno (I lett. anno B); e ancora quella di Michea che annunzia dove nascerà il Signore (I lett. anno C).
La riflessione apostolica completa la meditazione del mistero occupandosi non solo delle origini storiche di Gesù, Figlio di Davide e Figlio di Dio (II lett. anno A), ma anche del messaggio di salvezza che questo mistero comporta (II lett. anno B). «Entrando nel mondo, Cristo dice... un corpo mi hai preparato... per fare la tua volontà… ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo...» (II lett. anno C).
Tutto questo la liturgia lo riassume nella preghiera II di colletta,
O Dio, che hai scelto l'umile figlia di Israele
per farne la tua dimora,
dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere,
perché imitando l’obbedienza del verbo,
venuto nel mondo per servire,
esulti con Maria per la tua salvezza
e si offra a te in perenne cantico di lode.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
ma non basta; la Chiesa non ci fa meditare solo sul mistero dell’Incarnazione, ma ci introduce in essa in modo sacramentale grazie all'azione dello Spirito Santo nell'Eucarestia. Fra l'Incarnazione e il mistero eucaristico esiste un meraviglioso parallelismo, che non è sfuggito all'ispirazione della preghiera liturgica.
Proprio in questa Domenica, nella quale la Chiesa si concentra sull'avvenimento che si compie in Maria per opera dello Spirito Santo, il sacerdote dice la seguente orazione sulle offerte:
Accogli, o Dio,
i doni che presentiamo al tuo altare,
e consacrali con il tuo Spirito,
che ha riempito con la sua potenza
il grembo della Vergine Maria.
L'azione santificatrice dello Spirito che realizzò l'Incarnazione e santifica i doni eucaristici, giunge, in questo modo, a coloro che si comunicano col Verbo incarnato fattosi cibo.
Coloro che celebrano l'incarnazione del Figlio di Dio divengono anch'essi portatori di Cristo, quando completano la loro partecipazione liturgica al mistero ricevendo la comunione eucaristica.
La parte dell'Evangelo relativa ai primissimi eventi della vita di Cristo gode, come si sa, di un trattamento di favore in Luca come in Matteo gli unici due dei quattro evangelisti attenti a quel periodo.
Senza pregiudicarne la storicità e la fedele trasmissione, i fatti dei primi anni di Cristo furono presentati con una particolare ricchezza di motivi soprattutto biblici, che riflettono la più profonda intelligenza che di tutto l’Evangelo gli apostoli ebbero dopo il dono dello Spirito Santo, al compimento del mistero pasquale di Cristo.
Nella trattazione parallela dell'infanzia di Giovanni Battista e di Gesù, 1’Evangelo si snoda in due dittici: un dittico delle annunciazioni (Cfr. 1,5-56) e un dittico delle natività (1,57-2,52). La visita di Maria ad Elisabetta è l'episodio complementare con cui termina il primo dittico, quello delle annunciazioni, che comprende:
1. L’annuncio della nascita di Giovanni il precursore (1,5-25)
2. e 1’annuncio della nascita di Gesù (1,26-38).
II racconto collega tra loro i due precedenti episodi; in effetti, oltre che Maria ed Elisabetta, sono Giovanni e Gesù che si incontrano per la prima volta. Attraverso la propria madre il profeta precursore saluta e rende testimonianza al Signore Messìa presente in Maria di Nazaret. Questo significato dell'incontro delle due madri è suggerito dalle discrete allusioni a episodi e personaggi dell'AT che si intravedono come in filigrana.
Nel loro incontro è l'abbraccio tra l'Antico e il Nuovo Testamento, tra la promessa e il compimento. Il N.T. fa visita all'AT che è segno e promessa, per capire la realtà che si sta compiendo. Per questo l’evangelista Luca introduce accuratamente il suo lettore di origine pagana nella lettura della storia di Israele, della quale offre nei primi capitoli un riassunto insieme simbolico e concreto. Al di fuori della promessa dell’AT è impossibile «riconoscere» il dono di Dio che è venuto a visitarci; solo il Battista è in grado di indicarlo.
L'intervento salvifico di Dio è inserito in un quadro che abbraccia il passato, il presente e il futuro e che contiene l'Antico e il Nuovo Testamento. In questo piano di salvezza Gesù occupa un posto tutto particolare: ecco il senso dell'oggi; con il motivo dell'oggi, Luca connette la dimensione dello spazio con quella del tempo. È molto significativo che, nella concezione della storia della salvezza lucana, noi dobbiamo in qualche modo coniugare insieme lo spazio e il tempo.
L'uomo è la creatura che conta i suoi giorni: non possiede l'eternità, né gli è data la totalità del tempo, ma solo dei frammenti. E Luca, che è consapevole di tutto ciò, periodizza la storia della salvezza. Con questa tensione ci insegna che l'oggi è un frammento visitato dalla charis; l'oggi diventa salvifico quando è visitato da Dio. L'oggi è il frammento del progetto e dell'impegno salvifico di Dio in Gesù.
Lo sguardo dell'uomo sul tempo e sullo spazio può essere solo diabolico, nel significato originario di diaballó: gettare fra, gettare in mezzo, dunque separare; uno sguardo frammentato. Per questo, il Salmo 90 ci fa pregare dicendo: insegnaci a contare i nostri giorni.
L'uomo deve imparare a contare i suoi giorni; a vivere il suo tempo, il suo frammento alla luce di una charis che supera ogni momento contingente. Questa è la prospettiva, il progetto sul viaggio: l'uomo deve imparare a leggere il suo oggi come oggi di salvezza.

Canto all’Evangelo Lc 1,38
Alleluia, alleluia.
Ecco la serva del Signore:
avvenga per me secondo la tua parola.
Alleluia.

L'Alleluia, che significa «Lodate il Signore», sta oggi sotto il titolo riconosciuto che questa comunità celebrante, fedele come Maria la Semprevergine Madre di Dio all'annuncio della divina Parola, oggi accetta che le avvenga tutto secondo il Disegno divino portato dalla Parola trasformante. E così essa, come Maria, si riconosce di essere l'umile «schiava del Signore». Servire il Signore però è essere liberati, e da liberi regnare con Lui.

La pericope odierna, ma ampliata fino ai vv. 46-56 per comprendere il Magnificat, è usata anche il 15 agosto per l'Assunzione della Madre di Dio e il 31 maggio per la festa della Visitazione.
In Avvento, sotto questa forma alquanto ridotta, essa trova una giustificazione molto antica. Le Chiese orientali almeno dal sec. 5°, nell'organizzare i primi Lezionari, all'inizio dell'Anno liturgico, il cosiddetto «Tempo dell'Annuncio, Subarà'», leggevano gli episodi evangelici che preparavano la vita del Signore, desunti dagli Evangeli dell'Infanzia. Così le Chiese della tradizione siriaca, sia orientale (Nestoriani o Caldei), sia occidentale (Antiocheni e Maroniti). Dopo il periodo della «Consacrazione o Rinnovamento della Chiesa», che chiude l'Anno liturgico (con 2 o 4 Domeniche), lo ricominciano con il fausto Annuncio. Tali episodi formavano un ordine mirabile e completo: l'annuncio a Zaccaria (Lc 1,5-25); l'annuncio a Maria Vergine (Lc 1,26-38); l'annuncio a Giuseppe (Mt 1,18-25); l'annuncio ad Elisabetta, o Visitazione; la nascita di Giovanni Battista (Lc 1,57-80). Si tratta di annunci diversi tra loro, e tuttavia facenti parte dell'unico Annuncio, il cui oggetto unico è il Signore Gesù che viene nella carne. Intanto viene a visitare Zaccaria, Maria e Giuseppe, Elisabetta, Giovanni il Battista, con la forma suprema della sua divina Mediazione, la Persona dello Spirito Santo, che è la Potenza divina che opera sempre, irrompendo letteralmente nella vita di questi santi personaggi, sconvolgendola e piegandola, in grazia della Pienezza che Egli dona, ai Disegni divini del Padre, che portano inevitabilmente al Figlio Monogenito.
E questo è il programma dell'Avvento, così ricco di pneumatologia:
lasciare che lo Spirito Santo irrompa nella vita dei fedeli, fattasi docile alla Parola divina che porta la Venuta del Signore. «Ecco la schiava del Signore» (Lc 1,38) vale oggi e sempre per tutti i fedeli. (cfr ancora T. Federici, Cristo Signore Risorto Amato e Celebrato. Commento al lezionario domenicale. Ed. Eparchia di Piana degli Albanesi: Palermo 2001).

Esaminiamo il brano

v. 39 - «In quei giorni»: La visita di Maria ad Elisabetta è collegata con l'annunzio dell'angelo Gabriele, il quale, in segno dell’onnipotenza di Dio manifesta nella incarnazione del Figlio, menzionò il concepimento dell'anziana parente della Vergine (1,16-37).
«in fretta»: Maria fa visita ad Elisabetta, ma non per sciogliere un dubbio o per verificare la verità delle parole dell’angelo; va "in fretta" non certo mossa da ansia o da incertezza, ma da gioia e premura. Non va per "curiosità", ma perché crede a ciò che le è stato detto e dato. Essa corre là dove il progetto di Dio comincia a realizzarsi, per riconoscere, adorare, cantare.
«una città di Giuda»: il luogo dell'incontro vagamente indicato come una città della Giudea montagnosa, è stato identificato dalla tradizione con il villaggio di Aìn Karìm, «la fontana generosa», a circa 6 Km a sud-ovest di Gerusalemme e a circa 150 Km da Nazaret. Il viaggio richiedeva preparativi e una scorta; occorrevano infatti ben quattro giorni di cammino.
v. 40 - «Entrata... salutò»: il saluto ebraico è shalom, pace! Maria non solo augura e promette, ma anche porta in quella casa la pace promessa ad Israele.
v. 41 - «sussultò»: alla presenza di Maria, sussultano le viscere dì Elisabetta; i due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur sì conoscevano bene. Il verbo greco usato dall'evangelista skirtáō indica che il movimento è scomposto, non è fatto con ritmo o misura (tripudiare). Lo ritroviamo in:
1. Gen 25,22 indica il movimento di Esaù e Giacobbe in grembo a Rebecca, movimento che, non essendo ritmico ma disordinato, viene interpretato in senso sfavorevole.
2. la danza di Davide davanti all'arca (2 Sam 6,13-22) proprio perché non si trattava di danza ma di movimenti disordinati, scomposti, viene rimproverata da Micol.
«fu piena di Spirito Santo»: la Parola Vivente, che Maria porta nel suo seno, come primo effetto comunica lo Spirito Santo ad Elisabetta, che nello Spirito riconosce in Maria la Madre del suo Signore.
v. 42 - «esclamò a gran voce»: in sostituzione dell'originale anaphōnéō che indica un urlo, un grido causato da una forte emozione, senza precisarne la natura. Luca ama le espressioni energiche nel rendere le emozioni aggiungendo l’aggettivo grande come qui.
«Benedetta tu... benedetto il frutto...»: nel linguaggio semitico siamo di fronte ad un superlativo: non benedetta dunque ma benedettissima. La formula superlativa con la quale Maria è esaltata come "benedetta fra le donne", cioè più d'ogni altra donna, è una eco degli elogi rivolti alle due celebri eroine del popolo di Dio Giaele (Cfr. Gdc 5,24) e Giuditta (Cfr. Gdt 13,18), ma assume un significato inedito perché unita alla benedizione del «frutto del grembo» di Maria.
v. 43 «A che debbo...»: Al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? Molti autori mettono in evidenza il parallelismo verbale che intercorre tra il racconto della visitazione e il trasporto dell’arca a Gerusalemme al tempo di Davide.
Mille anni prima dell'incontro di Ain Karim, il re Davide al culmine della sua potenza aveva voluto fare di Gerusalemme la nuova capitale della nazione santa riunita sotto il suo scettro e per prima cosa si preoccupò di trasportarvi l'Arca Santa, trono di Dio, che si trovava su una collina a circa 15 Km da Gerusalemme:
1. L'arca sale a Gerusalemme (2 Sam 6,2) Maria ad una città di Giudea (Lc 1,39);
2. grida di gioia ed acclamazioni accompagnano l'arca (2 Sam 6,15; 1 Cr 15,28), il grido festoso di Elisabetta accoglie Maria (Lc 1,42);
3. Davide saltava davanti all'arca (2 Sam 6,16), Giovanni salta nel grembo di Elisabetta (Lc 1,44);
4. infine Davide si chiede, dopo un tragico incidente, se fosse degno di accogliere il trono di Dio nella sua casa e la lasciò in casa di un pio filisteo per «tre mesi», durante i quali il Signore benedisse quella casa (2 Sam 6,9-11; Cfr. Lc 1,43.56).
Maria è ora l'arca che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo.
v. 44 - «appena la voce... il bambino ha esultato...»: Il sussulto (skirtáō) che permette il riconoscimento è narrato due volte: prima come fatto e poi come conoscenza del fatto. Non basta il fatto della visita del Signore, bisogna riconoscerla; lui infatti ci visita sempre anche se noi non ce ne accorgiamo, per questo non lo amiamo! I padri dicevano che il gigante dei peccati è l'oblio, e richiamavano continuamente all'ascolto attento del cuore.
v. 45 - «Ecco»: un avverbio usato più di 200 volte nel N.T., serve a Luca per attirare l'attenzione del lettore o sottolineare la grandezza di una cosa o l'importanza di un vaticinio. In ebraico era il modo con cui una persona si dichiarava pronta ad obbedire; nella narrazione vivace è usato per segnare, quasi a dito, una cosa presente o vicina.
«Beata colei che ha creduto...»: Elisabetta chiama makaría = beata Maria perché ha creduto nell'adempimento della parola del Signore che promette l'assolutamente impossibile. Questa è la prima beatitudine dell’evangelo e sarà su questa linea anche l'ultima di esso, in Gv 20,29: «beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno».
vv. 46-55 «Maria disse...»: è il canto con cui la Chiesa conclude ogni giorno la preghiera del vespro; è il canto dei salvati, di coloro che hanno sperimentato oggi la salvezza. È un cantico di lode, sul tipo di quello di Anna in 1 Sam 2, che vede la promessa ormai realizzata. È il canto di beatitudine di chi ha veduto e ha riconosciuto l’azione di Dio in suo favore. È il canto che prorompe dall'uomo che ha accolto il suo signore. È un canto personale ed insieme universale e cosmico.
Per l’evangelista Luca all'origine non c'è il peccato ma la benedizione, la charis di Dio. Originale non è il peccato, originale è la benedizione. L'autentica vita cristiana è alla luce di questa benedizione, di questa charis di Dio. La vita cristiana non è riparazione di una colpa originaria: non siamo qui per riparare le colpe. Luca ci dice che l'autentica vita cristiana è il bene, è la benedizione, è la gioia; per questo il tema è così ricorrente nel suo evangelo. La visione lucana non propone un cristianesimo che insiste sulle debolezze, sull'errore e sul limite naturale dell'essere umano, ma un cristianesimo che va al centro, che nutre e che parla all'uomo, alla sua positività, alla sua forza interiore.
Come Chiesa occorre riscoprire la Parola di Dio che non è, anzitutto, in relazione alla morte, alla colpa, ma alla vita, al bene e alla pienezza dell'uomo.
A conclusione eccovi una pagina di Bonhoeffer, che ha sempre insistito su questi aspetti con molta lucidità, presa da «Resistenza e Resa»:

L'uomo ha imparato oggi a cavarsela da solo in tutte le questioni importanti della vita senza ricorrere all'ipotesi di lavoro Dio. Il fatto è scontato ormai nelle questioni scientifiche, artistiche e anche etiche.
Ma da un centinaio di anni questo vale, e in misura sempre maggiore, anche per le questioni religiose. Si è visto che tutto va avanti anche senza Dio. La storiografia cattolica e quella protestante sono concordi nel vedere in questa evoluzione la grande secessione da Dio, da Cristo.
Quanto più ci si richiama a Dio e a Cristo contro questa evoluzione, tanto più questa evoluzione interpreta se stessa come anticristiana.
Il mondo, pervenuto alla consapevolezza di sé e delle proprie leggi, è a tal punto sicuro di sé che ne proviamo un penoso disagio. Sviluppi aberranti e insuccessi non trattengono il mondo dalla necessità di seguire questa sua strada e il suo sviluppo che vengono accettati con virile sicurezza.
L'apologetica allora è scesa in campo contro questa sicurezza di sempre in varie guise. Si tenta di convincere il mondo, diventato adulto, che non potrebbe vivere senza il tutore Dio. Pur avendo capitolato in tutte le questioni mondane, l'apologetica cristiana dice: guarda che rimangono le cosiddette questioni ultime: la morte, la colpa in cui solo Dio può dare la risposta. Noi viviamo insomma di queste cosiddette questioni ultime dell'uomo.
La domanda che si fa Bonhoeffer a questo punto è:
 e se un giorno tali questioni non dovessero essere ritenute più tali, se dovessero trovare una risposta anche senza Dio? A questo punto arrivano le filiazioni secolarizzate della teologia cristiana, la filosofia dell'esistenza e gli psicoterapisti che dimostrano al mondo sicuro e soddisfatto di sé, felice che in realtà è infelice e disperato perché non vuole ammettere di trovarsi in un vicolo cieco. Dove c'è salute, forza, sicurezza, semplicità essi rifiutano il dolce frutto cui attaccarsi per roderlo o deporvi le uova malefiche. Ce la mettono tutta insomma per portare l'uomo alla disperazione e il gioco è fatto. Questo è il metodismo secolarizzato.
Chi raggiunge? Un piccolo numero di intellettuali, di degenerati, di personaggi che ritengono se stessi come la cosa più importante del mondo e che, quindi, si occupano di se stessi con grande piacere.
L'uomo semplice, che passa i suoi giorni tra casa e lavoro, senza dubbio con ogni sorta di deviazioni non viene toccato. Non ha né tempo, né voglia di occuparsi della propria disperazione esistenziale e di prendere in considerazione la sua forse modesta felicità sotto l'aspetto di un vicolo cieco. Io ritengo gli attacchi della apologetica cristiana a un mondo diventato adulto primo assurdi, secondo scadenti, terzo non cristiani.
Assurdi perché mi sembrano il tentativo di ricondurre alla pubertà un individuo ormai uomo, cioè di riportarlo a dipendere da cose dalle quali egli si è reso indipendente, scadenti perché si tenta lo sfruttamento delle debolezze di un uomo a un fine che gli è estraneo e che non ha sottoscritto liberamente, non cristiani perché Cristo viene scambiato per un determinato grado della religiosità umana.

Mi sembra che Luca sia vicino a questa prospettiva, a questa sensibilità. L'evangelista ci ricorda che Dio si rivolge all'uomo adulto; non alla sua debolezza, ma alla sua forza; non alla vittima o alla colpa, ma al suo desiderio di vita e di pienezza. In questo modo Luca ci presenta, con uno sguardo prolettico, la storia di Gesù e la storia dell'uomo.
Anche noi, avendo conosciuto dall’evangelo come l’angelo annuncia l’Incarnazione del Cristo Figlio di Dio, accettando la Croce e l’assimilazione a Cristo che soffrì, possiamo giungere alla gloria comune della resurrezione. Così preghiamo infatti nella preghiera

I Colletta

Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre,
tu, che nell'annunzio dell'angelo
ci hai rivelato l'incarnazione del tuo Figlio,
per la sua passione e la sua croce
guidaci alla gloria della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


Abbazia Santa Maria di Pulsano

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