Carla Sprinzeles "Quando venne la pienezza dei tempi",

Commento su Giovanni 1,1-18
Carla Sprinzeles  
II Domenica dopo Natale (03/01/2016)
Vangelo: Gv 1,1-18
Siamo ancora in tempo di Natale, seguiamo il percorso dell'azione di Dio, nella creazione prima e nella storia degli uomini.
E' un percorso che sappiamo essere di miliardi di anni, da quando almeno il nostro universo esiste, ed è un percorso che ha consentito alla
Parola/azione di Dio di fiorire in forme nuove, di esprimersi in qualità di vita sempre ricca e complessa, fino alla specie umana, che è molto recente rispetto ai miliardi di anni della creazione.
E in Gesù la Parola di Dio, è giunta a esprimersi in forma umana, ma con promesse di compimenti non ancora realizzati.
Noi siamo tempo, non abbiamo la capacità di accogliere in un solo istante la perfezione che ci viene donata a piccoli frammenti, nella successione delle esperienze che compiamo.
Non siamo Dio, sembra scontato, ma è bene dircelo, siamo creature e sappiamo esprimerci in modo limitato.
Il compimento non sappiamo in che cosa consista, san Paolo direbbe che è il diventare "figli", che vuol dire vivere autenticamente la nostra vita: incontrare i fratelli, portare i difetti nostri e degli altri, affrontare la sofferenza, vivere la gioia.
SIRACIDE 24, 1-4. 12-16
La prima lettura è tratta dal Siracide: la Sapienza pronuncia il suo discorso nel tempio di Gerusalemme, là dove Israele celebra il culto liturgico.
Il popolo di Dio viene dichiarato, proprio a causa della presenza della Sapienza "santa assemblea", i "benedetti". E' a questo popolo che si rivolge come se fosse una signora che proclama la propria dignità regale collegata all'origine divina.
La Sapienza cerca dimora non soltanto in cielo, ma anche in mezzo all'umanità, e in particolare in Israele, perché questo è l'ordine che riceve dal Creatore.
La Sapienza, secondo il Siracide, appare come un'entità vicina a Dio, che è stata creata "prima dei secoli, fin dal principio".
In questo senso essa trascende il tempo, non di meno entra nella storia e perciò non verrà mai meno, sarà eterna.
Ma sebbene essa sia oltre il tempo, non di meno entra nella storia unendosi al popolo di elezione e ponendo la sua abitazione nel centro ideale, nel tempio di Gerusalemme.
Questa sua misteriosa presenza in mezzo al popolo di Dio le conferisce una funzione sacerdotale.
La Sapienza non è una realtà statica, ma dinamica e vitale.
E' presentata come un albero che cresce in mezzo al popolo di Dio, è assimilata all'albero della vita, nel giardino dell'Eden, il cui territorio viene a coincidere con quello della terra promessa, data ad Israele.
L'interesse di questo brano sta nel fatto che esso presenta una Sapienza che esce dalla bocca dell'Altissimo e che si inserisce in una vicenda terrena, nella storia di Israele, quale compimento delle promesse.
La manifestazione della Sapienza che entra nella storia del popolo di Dio coincide poi esplicitamente con la rivelazione divina, con il dono della Legge.
Questo grande testo offre un retroterra significativo per intendere il brano del vangelo secondo Giovanni che leggeremo oggi.
Stabilisce unità tra la rivelazione nella storia e quella della creazione.
GIOVANNI 1, 1-18
Oggi si legge l'inizio del vangelo secondo Giovanni, si parla di "Verbo".. cosa significa questo termine? Significa "pensiero..parola..intenzione..azione", il senso pieno è "l'azione potente di Dio nella storia".
E' la Parola che crea e fa le cose. E' la Parola che illumina i profeti. E' la Parola che convoca il popolo e "si fece carne" ossia esprime la sua potenza in forma umana, prende il limite della creatura.
Non si può vedere Dio senza morire, dice la Bibbia, ma Giovanni conclude il prologo del suo vangelo dicendo: "Dio nessuno l'ha mai visto; il Figlio unigenito, lui lo ha rivelato".
Dio infatti non fa parte del creato che si tocca, che si vede. Eppure un bambino è nato, la cui missione sarà di manifestare il Padre nella filigrana della sua persona.
Diventato adulto, alla vigilia della sua morte, potrà affermare a uno dei suoi: "Chi ha visto me ha visto il Padre".
Come ogni opera rimanda all'artista, come i figli assomigliano ai genitori, così Dio si rivela nel creato e, in modo particolare, nell'essere umano.
Tuttavia la sua immagine è deformata dalle differenze dell'uomo che non riesce a credere nell'amore, dalla sua miopia che lo porta a illudersi di trovare la propria felicità senza guardare a quella altrui.
Gesù invece è nato per mostrare il Padre attraverso i suoi gesti di guarigione, di perdono, di amicizia, di attenzione ai poveri, ai disprezzati, ai lontani.
Facilmente l'essere umano identifica Dio con chi l'ha cresciuto.
Genitori severi, esigenti, che usavano del loro potere per ottenere dai figli l'atteggiamento che desideravano, hanno tramandato l'immagine di un Dio pericoloso, difficile o impossibile da accontentare, insieme imprevedibile, sconcertante e seduttore.
Chi ha avuto la fortuna di trovare all'inizio della propria vita una relazione fiduciosa, che dava spazio alla sua originalità e cercava il suo vero bene, fa certamente meno fatica a credere in un Dio buono.
"Quando venne la pienezza dei tempi", quando cioè l'uomo ebbe acquisito, grazie alla pedagogia della legge divina, la capacità di accogliere Dio come fonte del bene, del perdono, come autore di una salvezza gratuita, nacque Gesù, il primogenito di tutti noi.
Venne per aprire la strada che può condurre tutti a diventare figli del Padre, come lui lo era.
Con la sua vita ha insegnato a relazionarsi con Dio e con gli uomini e trovare così la felicità.
"Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto".
Un bambino è nato, inerme, ignoto, che offre a tutti la pienezza della felicità, ma non come la immaginiamo, brillante e fragile, appagante ma precaria.
A chi accoglie il suo modo di guardare l'uomo, a chi crede nel suo modo di comportarsi, è assicurata la felicità che nessuno può togliere, la felicità che sgorga dall'amore.
Corriamo due rischi nel celebrare queste feste di Natale: il primo è di ricorrere alle memorie emotive, alle esperienze compiute nel passato, il secondo è di considerare le simbologie del Natale, per esempio il presepio, come la struttura unificante della fede.
Occorre invece ricordare che abbiamo bisogno di salvezza e Natale ci ricorda l'ingresso nella storia della potenza e dell'azione di Dio, a noi spetta di accoglierla ogni giorno.
AmiciI, la gioia che ci auguriamo a Natale non proviene dal successo, dalla ricchezza, dal riconoscimento da parte degli altri di ciò che facciamo, è la gioia che proviene dalla presenza di Dio nella nostra vita, da quella forza di vita per cui la sua Parola può diventare per noi carne, cioè pensiero, decisione, fraternità. Cresciamo come figli suoi!

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