Chiesa del Gesù - Roma, II Domenica di Avvento

II Domenica di Avvento (Anno C) 
Bar 5, 1-9. SAL. 125, 1-2ab. 2cd-3. 4-5- 6. Fil 1, 4-6. 8-11. Lc 3, 1-6.
Il ritornello del salmo responsoriale ci suggerisce di contemplare con gioia, in questa seconda domenica di Avvento, le grandi opere che ha fatto il Signore per noi.

Il motivo è dato dal fatto che l’amore del Signore ha ricostituito Gerusalemme come la città verso cui ritorna il popolo esiliato per vivere nella pace.

Questa speranza, si tramuta in allegrezza, ed è già presente nella profezia di Baruc.

Siamo invitati a deporre l’abito da lutto, per lasciarci rivestire della gloria che viene dal Signore.

Sarà Dio a donare dall’alto quello che l’uomo nella sua insipienza voleva rubare dal basso, presumendo così di essere lui il principio della creazione.

Gerusalemme, a differenza delle altre città, non dovrà tentare di farsi un nome da sola, ma da Dio riceverà quel nome che la renderà garanzia di giustizia e di pace.

Ogni volta che l’uomo tenta con le sue mani di costruirsi la salvezza, fallisce miseramente.

Per accorgersi che la liberazione è ormai vicina, l’uomo deve alzare lo sguardo da se stesso e contemplare il dono che viene da Colui che è il solo Santo.

Unicamente confidando in Dio e nella sua Parola, Israele potrà vedere i suoi figli partiti per l’esilio spogliati di ogni bene, ritornare rivestiti dal Signore di gloria e di onore.

Baruc, come poi Giovanni Battista e Paolo sono i mediatori chiamati a risvegliare nel popolo la coscienza della salvezza che Dio sta operando nella storia; e inviati a disporlo ad accoglierla.

Per vedere la salvezza di Dio occorre però che siano spianate le alture e colmate le valli che separano la terra della deportazione dalla terra della promessa.

Bisogna che siano abbassate le montagne dell’orgoglio e colmate le valli della disperazione in un vero movimento di conversione.

Occorre mettere in atto il discernimento che conduce a una equilibrata visione di sé di fronte al Signore che viene.

Dobbiamo essere capaci di fare la verità di noi stessi davanti a Dio, senza paura e con trasparenza!

Il vangelo ci indica che la speranza viene dal deserto.

La storia di salvezza conosce i suoi re-inizi nei luoghi marginali, periferici, desertici, dove la parola di Dio può trovare un uomo non distratto che lascia dispiegare su di sé la sua potenza.

La purificazione della vita del popolo inizia non da strategie innovative, ma da un uomo che osa lasciarsi purificare, plasmare, dare forma nuova dalla parola di Dio.

Il vangelo con pregnanza afferma che «La parola di Dio fu su Giovanni».

La vicenda personalissima di un uomo che osa mettere il proprio cuore alla dura scuola del deserto viene fatta emergere accanto alla esteriorità eclatante della macrostoria e agli intrighi dei potenti.

Giovanni nel deserto si dispone ad accogliere la parola di Dio e vivere la propria conversione.

Questo evento – apparentemente semplice – è collocato da Luca non solo all’interno della storia ebraica, ma anche all’interno della storia universale.

L’arrivo della Parola di Dio comporta sempre svolte radicali.

Ma è anche vero che i risvolti della Parola di Dio sono sempre all’inizio visibili soltanto alla fede: il mondo non se ne accorge neppure.

Infatti, la parola della predicazione di Giovanni sarà a lungo un far risuonare la sua voce nel deserto, nel nascondimento, nella marginalità, ma il lavoro operato dalla parola di Dio su di lui lo renderà capace di chiedere poi conversione e di indicare ad altri la via per arrivare a vedere la salvezza di Dio.

La Parola di Dio va riconosciuta, e occorre saperla accogliere, e per questo occorrono delle condizioni e un discernimento, come ci suggerisce Paolo.

Dobbiamo riconoscere che le condizioni che ostacolano la visione della salvezza del Signore, non si situano solo fuori di noi, ma sono anzitutto in noi.

Montagne da abbassare e burroni da riempire hanno una valenza simbolica e ci ricordano che il troppo alto e il troppo basso, cioè l’orgoglio e una falsa umiltà, sono condizioni di accecamento.

Entrambe, infatti, sono il frutto dei nostri sforzi che non intravedono quella novità che solo Dio sa creare nel deserto.


L’invito allora è di preparare nel proprio cuore una strada al Signore: lasciando che sia la sua rettitudine e la sua giustizia a imprimere il nostro cuore, permettendoci così di vedere e di gioire per la sua salvezza.

La conversione è l’unico atteggiamento che l’uomo deve assumere nei confronti della Parola di Dio che lo raggiunge.

La conversione non indica un cambiamento parziale, ma un cambiamento totale, sia nella mentalità che nel comportamento pratico.

La conversione appare anche come la responsabilità che il credente ha nei confronti della parola di Dio ma anche di ogni uomo.

Infatti, la mia non-conversione ostacola anche l’altro a vedere la salvezza del Signore, mentre la mia conversione è già narrazione della redenzione che il Dio opera.

Questa è la mediazione chiesta a ciascuno di noi.

Se la conversione è il mio “sì” al “sì” di Dio che mi precede e dura in eterno, non dobbiamo però dimenticare che la salvezza proviene dal Signore gratuitamente e che noi non possiamo fabbricarcela con le nostre mani, ma solo accoglierla come dono.

È il Signore che riconduce con gioia e nella misericordia i figli dispersi e li raduna nella Santa Città che scende dal cielo, cioè da Dio, come ci ricorda il libro dell’Apocalisse.

Signore opera in noi la tua salvezza perché possiamo sperimentare la strada nuova che segni e apri nel deserto del nostro cuore per la nostra conversione al tuo amore di Padre.

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