fr. Massimo Rossi, La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

II DOMENICA dopo NATALE – 03.01.2016
Sir 24,1-2.8-12; Sl 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
“Padre di eterna gloria, che nel tuo Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in Lui, sapienza increata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno.”
“…Affonda, o sapienza, le tue radici tra i miei eletti…”
“La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. (…) Il mondo è stato fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha riconosciuto.”

Eccoci ancora a misurarci con la pagina, forse, più difficile di tutto il Vangelo: il Prologo di
Giovanni ‘sostituisce’ i racconti della nascita tramandato da Matteo e da Luca.
Fin dalle prime battute emerge la differenza assoluta tra il quarto Evangelo e i tre sinottici:  per Giovanni, la narrazione della vicenda è del tutto secondaria, rispetto alla riflessione teologica sul mistero di Cristo.
Leggendo i primi versetti del capitolo 1, potremmo rimanere quasi delusi per l’apparente freddezza dell’esposizione, sublime, rarefatta, …fin troppo:  l’umanità di Gesù appare quasi insignificante, in confronto alla statura divina del Figlio di Dio, celebrato come Verbo incarnato, come luce che splende nelle tenebre e le mette in fuga… Gli echi della notte santa, i colori del Natale, la commozione dei personaggi che sfilano davanti alla mangiatoia, per rendere omaggio al Bambino, sembrano addirittura note di un altro racconto, tutt’un’altra storia.   Non è facile riconoscere nel Dio-uomo celebrato da Giovanni quel neonato avvolto in fasce che abbiamo adorato meno di dieci giorni fa…
Ma, ecco il colpo di scena: il Signore, del quale il quarto evangelista proclama non soltanto la divinità, ma anche la preesistenza, rispetto a tutto ciò che è, appare invece, al capitolo 2, come un ragazzo qualunque, spensierato e caciarone, invitato ad un banchetto di nozze, insieme con gli amici. L’aspetto ieratico e quasi inespressivo che affiorava dalla lettura dei primi versetti, lascia il posto ad un’umanità cordiale che entra immediatamente in empatia con i suoi interlocutori.
Potremmo chiamare Gesù l’uomo del convito: bella invenzione la tavola da pranzo!
A tavola, il Signore compie i gesti decisivi della sua opera e pronuncia le parole più importanti.
1. A Cana trasforma l’acqua in vino: un giorno mi capitò di sentire una suora dichiarare: “La Madonna di Medjugorie ha detto che bere vino è peccato”, o qualcosa di simile…  Francamente mi sembra del tutto in controtendenza, rispetto a ciò che Maria disse al Figlio, proprio in occasione delle nozze di Cana: “Non hanno più vino!”; Gesù salvò letteralmente la festa, offrendo agli sposi e ai loro commensali una quantità esagerata di vino e, per giunta, di qualità eccellente!
Questo miracolo, il primo, è chiaramente un miracolo eucaristico, che allude al gesto, ultimo, di consacrare il vino nel suo sangue…  Secondo la fede cristiana c’è una relazione sostanziale, indissolubile, tra il vino e la persona di Cristo.
Il vino è, per tradizione diffusa in molte parti del mondo, il segno della convivialità:  guai se manca il vino!  la festa è rovinata, finita!...
2. A Betania, durante una cena con gli amici, il Signore annuncia la sua sepoltura, accogliendo il gesto di Maria Maddalena che gli versa profumo sul capo.
3. A Gerusalemme, nel cenacolo, il Signore si congeda ufficialmente dai suoi con un brindisi, dal tono quantomeno singolare: un brindisi non può essere fatto in silenzio, ma è sempre accompagnato da una formula solenne, di augurio, di ringraziamento, di benedizione… “Prendete e bevetene tutti:  questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti, in remissione dei peccato. Fate questo in memoria di me.”;  sono convinto che i Dodici non capirono il senso di quelle parole pronunciate sul calice: un po’ perché costituivano una variante inaccettabile al rituale del ‘seder pasquale’, che Mosè aveva ricevuto da Dio in persona, mille anni prima e che si era mantenuto immutato fino a quella sera. E un po’ perché nessuno avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe accaduto di lì a poco; neppure Giuda, credo: è verosimile che l’apostolo pensasse che i Farisei intendessero incontrare il Maestro per interrogarlo; ma, tra un interrogatorio e l’arresto, ce ne passa!  L’unico che sapeva era Gesù; e pur sapendo, si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse i fianchi con un grembiale, versò acqua in un catino e si chinò a lavare i piedi agli apostoli, a tutti e Dodici, compreso Giuda…
4. Infine, ancora a tavola, Gesù incontrò gli Undici, la sera della sua risurrezione, entrando a porte chiuse.  La vicenda terrena del Figlio di Dio si era conclusa lì, nel cenacolo, e ora doveva iniziare da lì, la vicenda terrena della Chiesa.  E per iniziare, la Chiesa aveva bisogno della missio, del mandato da parte di Cristo.  E Cristo conferì agli apostoli il mandato di perdonare i peccati, il cosiddetto potere delle chiavi, che si aggiungeva alla consegna dell’Eucaristia – “Fate questo in memoria di me”.  E così, la missione apostolica era completa: essere nel mondo e per il mondo ambasciatori di misericordia e offrire a tutti gli uomini il corpo del Signore.
La Verità annunciata da Giovanni Evangelista nel prologo del suo Vangelo, e testimoniata da Giovanni Battista è tutta qui: l’amore di Dio è solo e sempre misericordia, per tutti e per ciascuno;  il sacramento dell’altare costituisce la chiave d’accesso alla persona di Cristo e il pegno della nostra salvezza, per tutti e per ciascuno.
Nulla può surrogare, né sostituire questi due sacramenti.  Sono costati la vita di Dio!
Questi due sacramenti costituiscono l’unica via per incontrare Dio, nel modo più pieno ed efficace possibile in questa vita.  È vero, si tratta ancora e sempre di un incontro ‘mediato’ da segni…
Ma, lo ripeto con tutta la forza di cui sono capace, fino a quando saremo pellegrini sulla terra, non ci è consentito di entrare in relazione immediata con Dio.   Lo ha voluto Dio stesso! dobbiamo farcene una ragione: la mattina della sua risurrezione, Gesù non permise più a Maria Maddalena – quella del profumo versato sul capo, tanto per intenderci – di  toccarlo!
Le ordinò invece di annunciare ai fratelli che Lui era vivo.
Ricapitolando, l’unico modo per avere parte alla comunione con Dio è questa: annunciare la Sua misericordia e condividere la Sua mensa.
E noi, avremo il coraggio di tacere, con le parole e con i fatti, la misericordia di Dio e disertare, per impegni o per pigrizia, il banchetto domenicale, per il quale Dio è morto?
La carità scaturisce da qui! Senza i sacramenti, tutto ciò che di bene possiamo dire e fare al prossimo e a noi stessi, non è autentica carità cristiana.
Conosciamo un modo solo di chiamare l’amore e di viverlo, insieme con la fede e la speranza…

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