MONASTERO MARANGO "Portiamo in grembo una Parola che deve essere comunicata"

4° Domenica di Avvento (anno C)
Letture: Mic 5,1-4a; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
Don Giorgio Scatto  
Portiamo in grembo una Parola che deve essere comunicata
1Gesù è il «Messia» nel quale tutta
la storia di Israele trova il suo compimento. Soltanto lui merita di essere presentato con i titoli messianici della tradizione giudaica: Figlio di Davide, Messia, Figlio dell’Uomo.
Per accreditare tutto questo l’evangelista Matteo presenterà l’identità messianica di Gesù adattandosi alla mentalità dei suoi lettori giudei: Gesù appartiene alla famiglia di Davide; è nato a Betlemme, luogo in cui, secondo le Scritture, il Messia doveva nascere; tutta la sua vita è l’inveramento delle profezie antiche custodite nella storia di Israele.
Luca presenta Gesù soprattutto come «Salvatore». Così un angelo annuncerà la sua nascita: «Oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Gesù è la «salvezza di Dio»; in lui possiamo vedere, toccare, palpare la salvezza che Dio ci offre.
Tale «salvezza di Dio» introduce nel mondo la «gioia». Già prima di nascere, la sua presenza fa «sussultare di gioia» Giovanni nel seno della madre; annunciando la sua nascita l’angelo esclama: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo».
Luca insiste su un altro aspetto, molto importante, della sua teologia: Gesù è l’«oggi della salvezza».
«Oggi è nato per voi un Salvatore» dice l’angelo ai pastori.
«Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua». «Oggi per questa casa è venuta la salvezza».
«Oggi con me sarai nel paradiso».
Anche per noi, che celebriamo i santi misteri del Signore, c’è un oggi, ed è adesso, nel quale ci viene offerta l’abbondanza della sua misericordia.

Faccio ora alcune sottolineature, molto povere in confronto alla ricchezza dei testi proposti.
Briciole, appunto.
«E tu, Betlemme di Efrata».
Non c’è storia di salvezza che non incontri una geografia che la renda possibile e reale. Il cammino della fede inizia da Ur di Caldea, percorre le vaste pianure della Mesopotamia, scende lungo la via del mare, attraversa i deserti del Negheb, patisce la desolante esperienza dell’Egitto, si purifica in terre inospitali e ostili, incontra la Terra promessa, prende il suo volto maturo a Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme.
Non si può fare educazione alla fede senza aiutare le persone, soprattutto i giovani, a interpretare i luoghi dove esse vivono: ogni storia ha bisogno del suo terreno, altrimenti è solo ideologia, pura fantasia. Ho l’impressione che stia invece crescendo una religiosità ‘virtuale’, priva dei volti, dei paesaggi, degli odori, delle storie concrete degli uomini e delle donne del nostro tempo, con i loro drammi, le loro paure, le loro attese. Sono molto deluso di certe ‘scuole di preghiera’ proposte ai nostri giovani, dove si sperimenta solo passività, una religiosità di maniera offerta senza impegno creativo, dove il terreno, spesso problematico, della storia umana, non viene arato in profondità con le lacrime e la supplica ardente e non viene fecondato con il buon seme della Parola.

«Tu non hai voluto né sacrifici né offerta, un corpo invece mi hai preparato».
Papa Francesco, nel suo discorso ai rappresentanti del V convegno nazionale della Chiesa italiana (Firenze, 10 novembre 2015) ha messo in guardia le nostre comunità cristiane da due tentazioni.
La prima è quella pelagiana (Pelagio è un monaco : 354 – 420 d.C.) che spinge la Chiesa ad «avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte». Spesso tale tentazione porta «ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività».
La seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo (gnosi: conoscenza superiore). «Porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il soggetto rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti».
Quale il rimedio? Lo indica ancora papa Francesco: «Innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito: la Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa».
E ancora: «Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto».

«Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda».
Occorre alzarsi, risorgere, decidersi di andare, di uscire. Non c’è più tempo per aspettare ancora. Portiamo in grembo una Parola che deve essere comunicata. In fretta. Maria ha fatto sue le parole del profeta Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, esulta ed acclama con tutto il cuore! Il Signore è in mezzo a te come salvatore potente». Parola del messaggero di Dio, profumo di eternità che introduce ad una danza senza fine. Maria corre, saltellando tra i monti; Giovanni danza nel ventre di sua madre; Elisabetta viene riempita della santa ebbrezza dello Spirito. Tutta la casa di Zaccaria viene illuminata dalla gioia di questo incontro: l’antica speranza di Israele abbraccia la tenerezza di un Dio bambino, portato nel ventre di una giovane donna.

«Beati coloro che credono nell’adempimento di ciò che il Signore ha detto».

Giorgio Scatto

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