p. Fabrizio Cristarella Orestano "APPARTENERE A DIO"

MONASTERO DI RUVIANO,
Santa Famiglia (Anno C) – Vita donata
  24 dicembre 2015  APPARTENERE A DIO
1Sam 1, 20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 1-2. 21-24; Lc 2,41-52
Il mistero del Natale si apre ad una vita tutta donata; la sapienza della Chiesa ce lo fa capire ponendo
nel giorno successivo al Natale la festa di Santo Stefano, il Primo Martire; la vita di quel Bambino che abbiamo contemplato nella mangiatoia di Betlemme sarà vita pienamente umana, e tutta la rivelazione cristiana ci grida che si è veri uomini solo se si ama fino all’estremo, perdendosi per amore (cfr Mt 10, 39). Tale fu la vita di Gesù, e così deve essere la vita del discepolo di cui Stefano subito è stato “icona”. Vita donata giorno per giorno, vita spesa per Dio e per gli uomini ma nella gioia… Vita che, per Gesù, culminerà nel dono pasquale fatto sulla croce, ma che è vita spesa amando giorno dopo giorno, e trovando in quell’amore la bellezza, la bontà ed il senso…
Se il Natale è il culmine dell’Avvento, rassicurandoci sulla fedeltà di Dio che mantiene le sue promesse e che quindi tornerà a compiere la storia, i misteri cristiani ci mostrano con tutte le loro infinite sfaccettature, come vivere l’attesa, che è il sapore più vero del tempo della Chiesa. Si attende la sua venuta dando la vita, come Stefano … non c’è altro modo per essere un vivente “maranathà”
Questa domenica, detta della Santa Famiglia (una festa che direi “pastorale” in quanto creata di recente per avere un’occasione appunto “pastorale”, e parlare così della “famiglia cristiana”), oggi ci dà l’agio di fare un discorso più ampio su ciò che consegue al mistero dell’Incarnazione di Dio. Un discorso che, se fatto seriamente, ci indica ancora sentieri per essere pronti davvero alla venuta del Figlio dell’Uomo.
Non farei allora oggi il solito discorso “trito” sulla famiglia quale “primo nucleo della società”, sulla sua “sacralità” naturale e cristiana… Non lo farei anche perché – diciamocelo francamente – mai come in questi ultimi decenni noi Chiesa abbiamo parlato di “famiglia”, e mai come in questi ultimi decenni la “famiglia” patisce di lacerazioni e disfunzioni! Il problema, a mio umile parere, non è parlare della famiglia ma è annunziare l’Evangelo: quando si fa seriamente questo si evangelizza tutto l’uomo in tutti i suoi ambiti di vita, e quindi anche in quel primo ambito che è la famiglia.
E’ allora necessario che noi annunziamo con coraggio, con profondità, senza edulcorazioni e diminuzioni il mistero di Cristo; è necessario che noi credenti in Lui facciamo innamorare gli uomini di Cristo perché lo cerchino giorno per giorno, e siano uomini in attesa di Lui, impegnati davvero nella storia ma con la coscienza d’essere “stranieri e pellegrini” (cfr Eb 11, 13; 1Pt 2, 11).
 Oggi la liturgia ci dà l’occasione di fare una lettura globale di questo mistero di Cristo e ci invita ad una ricerca appassionata di Lui che è venuto a cercarci prendendo la nostra carne.
L’esito, come scrive Giovanni nel tratto della sua Prima lettera, che ascoltiamo quale seconda lettura, sarà il vivere da figli.
Il racconto di Luca che la Chiesa oggi propone è la conclusione dell’Evangelo dell’infanzia lucano; è un passo direi “unico”…unico perché pare “fuori schema” rispetto a tutto il racconto dell’infanzia; unico perché è l’unico squarcio che gli Evangeli ci aprono sulla vita di Gesù prima del Battesimo al Giordano…e questa “unicità” ci conduce certo ad una sua funzione specifica. Il testo, insomma, non va letto ingenuamente.
Uno smarrimento, quello del ragazzo Gesù, che avviene in un contesto preciso: la Pasqua; ed avviene all’interno di una vera fedeltà di Maria e Giuseppe alla Legge del popolo santo di Dio («si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua»). Un episodio che, al di là del racconto banale della “scappatella” di un adolescente intelligente, contiene un mistero di Dio ed un appello per noi a cui è consegnato l’Evangelo.
Il protagonista del racconto è Gesù. Finalmente! Sì, finalmente, perché fino a questo momento nel racconto di Luca si era parlato di Lui, ma non come di uno che agisce direttamente; fino ad ora il racconto l’aveva mostrato “infante”, cioè “senza parole”; ce lo aveva mostrato passare dalle braccia di Maria a quelle di Simeone, e – ancor prima – avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia quale segno per i pastori …
Ora no, ora per la prima volta Gesù parla.
Il contesto pasquale ci rimanda alla fine dell’Evangelo, quando in un’altra Pasqua Gesù verrà ugualmente smarrito per tre giorni ed al terzo giorno ritrovato dopo un’angoscia grande. In quel ritrovamento ci sarà la definitiva rivelazione della figliolanza divina.
Per Luca, infatti, il Gesù pasquale rivela il Padre, sia sulla croce («Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» cfr Lc 23, 46), sia nel giorno della risurrezione («io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» cfr Lc 24, 49) … e anche questo Gesù dodicenne rivela la sua figliolanza dichiarando che deve essere nelle cose del Padre suo. Dobbiamo far caso che le prime e le ultime parole di Gesù nell’Evangelo di Luca sono un rinvio al Padre!
Gesù rivela dunque di essere Figlio, e di appartenere tutto al Padre; nella prima lettura si è detto che Samuele è ceduto per tutti i giorni della sua vita al Signore; così è Gesù! E’ del Padre, ed in Lui la carne dell’uomo deve fare questo passaggio: scegliere di essere di Dio! E senza mezze misure!
La vocazione ultima e prima del cristiano è offrire la propria carne all’Incarnazione di Dio; è mostrare che si può essere nelle “cose del Padre” fino in fondo; è dare alla storia il “respiro” di Dio; è permettere a Dio di piantare ancora la sua tenda in mezzo agli uomini (cfr Gv 1, 14).
Gesù giovinetto, smarrito per tre giorni ed al terzo ritrovato, è allora narrazione di una “Pasqua annunziata” che si compie in Gesù perché in Lui, l’“esodo” è iniziato, e il Natale già ce lo diceva.
Il “vecchio uomo” in Lui si è mosso verso il “nuovo”; il “vecchio uomo” ormai si è iniziato a versare irreversibilmente nel “nuovo”!
Tutto sarà costoso, ma la novità di Cristo già oggi si può insinuare in tutte le realtà umane, in tutte le strutture umane.
Spetta a noi permettere all’uomo che siamo di incamminarsi verso quell’essere nelle cose del Padre; sempre più in pienezza.
Il mistero della figliolanza sarà così visibile e palpabile nelle nostre vite! E sarà annunzio di speranza!
p. Fabrizio Cristarella Orestano

Commenti

Post più popolari