Abbazia Santa Maria di Pulsano LECTIO DIVINA DOMENICA «DELLE NOZZE DI CANA»

DOMENICA «DELLE NOZZE DI CANA»
II del Tempo per l'Anno C
Giovanni 2,1-12; Isaia 62,1-5; Salmo 95; 1 Cor 12,4-11
Antifona d’Ingresso Sal 65,4
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:

inneggi al tuo nome, o Altissimo.
Nell’antifona d'ingresso, Sal 65,4, AGC, il Salmista canta al Signore la gioia riconoscente, perché Egli ha operato fatti potenti in favore del suo popolo, liberandolo dai nemici sia nell'esodo, sia nella patria. E sempre rispondendo alla preghiera dell'Orante. I vv. 1-4 pullulano di imperativi innici: acclamate, cantate, date gloria alla lode, parlate, anche i nemici si chinano davanti alla divina potenza. Al v. 4a lo iussivo innico (una forma imperativale della 3a persona) invita l'intera terra, e quindi tutti i suoi abitanti (21,28; 25,9), ad adorare il Signore prostrandosi a riconoscerlo. E la medesima terra è invitata a unirsi all'assemblea del popolo di Dio, Israele, per «recitare il Salmo», il canto innico tipico dei fedeli del Signore, acclamando il Nome divino indicibile (v. 4b). Si nota qui l'insistenza sul canto dei Salmi, presi come modello della fede che deve espandersi tra le nazioni pagane e si consideri la loro ripresa come canti nelle nostre assemblee. Il salmo responsoriale era cantato da Israele nel tempio, festeggiando Dio come Signore dell'universo. La nota dominante del salmo è la gioia: perché la regalità di Dio si manifesta come forza di salvezza. Quella rivelazione di Dio che ha fatto cantare così Israele nella prima ambientazione del salmo fa ancor più cantare noi nella gioia per una salvezza non più profezia ma salvezza ricevuta e vissuta.

Canto all’Evangelo 2Ts 2,14
Alleluia, alleluia.
Dio ci ha chiamati mediante l’Evangelo,
per entrare in possesso della gloria
del Signore nostro Gesù Cristo.
Alleluia.

L’alleluia all'Evangelo, 2 Tess 2,14 adattato, è grazia del tutto gratuita, dono dell'immensa Bontà divina, la vocazione dei fedeli prodotta, sollecitata e confortata dallo Spirito Santo con la Potenza dell'Evangelo di Dio. Il fine di questo è che gli uomini, facendosi discepoli fedeli del Signore attraverso l'Evangelo, acquistino la sua Gloria, da Lui manifestata una volta per sempre nella visibilità della sua carne, che è la sua Parola, la sua preghiera, le sue opere. Ora, la prima "manifestazione" di tutto questo per la contemplazione teologica dell'evangelista Giovanni sono le «Nozze di Cana», «l'inizio dei segni» potenti della Resurrezione, attraverso i quali si rivela la gloria del Signore e nasce la fede dei discepoli.
Le letture odierne che hanno richiamato le “nozze” di Dio con l’umanità ci portano a meditare sul tema dell’amore di Dio e del suo popolo. Dio si è legato all’umanità perchè l’ama e il suo amore è come quello di uno sposo, intimo, esclusivo, geloso (Cant. 8,6-7; Dt 4,24). All’amore di Dio l’umanità ha risposto spesso con tradimenti ed infedeltà; come una sposa adultera ha dimenticato tutto l’amore ricevuto. Ma Dio è fedele e conserva sempre il suo amore (Ger 31,3).
Il canto della I lettura va ambientato con ogni probabilità nel periodo dei primi ritorni dall'esilio di Babilonia: davanti agli occhi delusi degli ebrei tornati dall'esilio appare l'amata Gerusalemme non già vestita di gloria, come era nei loro sogni, bensì in una condizione pietosa di abbandono. Il profeta dichiara che non cesserà di annunziare la salvezza futura e la glorificazione di Gerusalemme ad opera di Dio. Fino a quando Dio ha taciuto, Sion è rimasta nella desolazione; ma ora Dio sta per parlare e pronunciare «la sua vendetta»: una nuova luce sta per illuminare Gerusalemme.
L'immagine della «corona nella mano del Signore» (v. 3) e la metafora tratta dalla vita matrimoniale (vv. 4-5) esprimono l'amore e la compiacenza di Dio per Gerusalemme; ed è l'amore di Dio che restituirà all'adultera Israele la gioiosa freschezza del tempo ormai lontano quando Israele era la vergine sposa di Dio (vv. 4-5).
Anche questa Domenica la Chiesa Sposa celebra lo Sposo Risorto battezzato dal Padre con lo Spirito Santo in un episodio della Vita sua tra gli uomini per la Divina Liturgia (= opera per il popolo) che consiste nell'annuncio dell'Evangelo, nelle opere di Carità del Regno e nel culto al Padre. Le Nozze di Cana sono una straordinaria «opera della Carità del Regno», un incomparabile prodigio di divina carità per i poveri.
Nella seconda Domenica del tempo ordinario, la proclamazione dell'evangelo, in tutti i tre cicli liturgici, non è presa (come ci aspetteremmo) dai tre sinottici, ma sempre dal 4° evangelo (ciclo A: Gv 1,29-34; ciclo B: Gv 1,35-42).
L'Evangelo di Giovanni è un «evangelo spirituale», che si distingue per l’originalità e per i ricchi riferimenti di teologia simbolica; come dicevano già gli antichi: l’evangelo di Giovanni è di una profondità quasi inesauribile. Chi lo legge con attenzione è portato verso una più profonda e organica comprensione di Gesù. Giovanni, infatti, nell’iconografia ufficiale è accompagnato sempre dalla figura di un'aquila, perché il suo evangelo si apre con quel prologo meraviglioso, nel quale, al dire del Santo Dottore Girolamo: «...come aquila sopra gli altri vola, risalendo fino alla vita del Verbo nel seno del Padre».
Forse i riformatori liturgici proprio per una più profonda e ordinata comprensione di Gesù e del suo evangelo, premettono Giovanni alla lettura dei tre sinottici. Fedele a questa causa Giovanni, nel suo evangelo, raduna simbolicamente 7 «segni», o miracoli del Signore. I «segni» (semeia), gesti concreti, efficaci, storici, che rivelano il l'identità di Gesù, sono scelti secondo la «teologia simbolica», e per questo simbolicamente limitati a 7, quale prefigurazione del massimo «Segno» dell'evangelo di Giovanni: l'8°, la Resurrezione del Crocifisso. Nell'ordine essi sono:
1. Cana: 2,1-12;
2. la guarigione del figlio dell'ufficiale regio: 4,46-54;
3. la guarigione del paralitico alla piscina di Betzaetà: 5,1-9
4. la moltiplicazione dei pani e dei pesci: 6,1-15;
5. il cammino sulle acque: 6,16-21;
6. la guarigione del cieco nato: 9,1-41;
7. la resurrezione di Lazzaro: 11,1-45
Si nota a colpo d'occhio che solo due sono in comune con i sinottici:
a. la moltiplicazione dei pani e dei pesci;
b. il cammino sulle acque.
Altri 4 sono molto simili ad altri narrati dai sinottici (guarigione del figlio del funzionario; del paralitico; del cieco e la resurrezione di Lazzaro).
Il miracolo dell'acqua mutata in vino non ha niente che gli somigli nei sinottici.
Nel corso triennale del Lezionario, questo mirabile episodio della Vita del Signore, che va sotto il nome celebre delle «Nozze di Cana», si legge di tutte le Domeniche e feste, solo adesso.
Il segno di Cana, efficace nella sua brevità, è descritto da Giovanni in forma dialogica ed è divisibile in tre parti, ben bilanciate, con una introduzione (vv. 1-2) ed una conclusione di fondamentale importanza teologica (v. 11). Nelle prime battute di questo dialogo, che tripartisce il brano, domina la figura della madre di Gesù (vv. 3-5); alla fine abbiamo l'elogio del maestro di tavola (vv. 9-10) e al centro occupa il primo posto Gesù, il quale ordina ai servitori di riempire le giare d'acqua e di attingere da esse (vv. 6-8). Abbiamo fin qui individuato, molto facilmente, la composizione della pericope e i protagonisti della scena; resta da notare fra gli elementi letterari, le inclusioni tra il passo iniziale e quello finale.
All'inizio e alla fine del brano si parla di Gesù, di sua madre e dei suoi discepoli:
"Fu invitato Gesù... con i suoi discepoli" (v. 2),
"Egli discese a Cafarnao... con i suoi discepoli" (v. 12)
"c'era la madre di Gesù" (v. 1)
"egli discese... con sua madre" (v. 12).
La seconda inclusione pone in particolare evidenza l'importanza della figura di Maria nel primo segno operato da Gesù; Maria occupa infatti un posto di primo piano. Un'altra inclusione si trova tra il versetto iniziale e il passo finale costituita dalla menzione del luogo dove avvenne il segno: "in Cana di Galilea" (vv. 1.11.).
Esaminiamo il brano

v. 1- «Tre giorni dopo»: Questa espressione temporale unisce la pericope a quanto precede; molto probabilmente all'evento narrato in l,43ss.
In questa indicazione iniziale, come fu già rilevato dai Padri, abbiamo una nota simbolica e diversi autori vi hanno cercato un senso:
1. chi comincia a contare da 1,19, vede concludersi in 2,1-12 la prima settimana del ministero di Gesù (Cfr. 1,29.35.43), corrispondente alla settimana della creazione di Gen l-2,4a: alla prima creazione corrisponde la nuova creazione (unico vero argomento a favore è Gv 1,1.3.5);
2. altri ad un livello teologico, più profondo del livello puramente cronologico, suppongono un riferimento implicito al mistero della resurrezione di Gesù.
Nell'episodio immediatamente seguente Gesù dichiara di poter far risorgere in tre giorni il suo corpo distrutto (2,19). Inoltre nell'antica tradizione cristiana la locuzione "il terzo giorno" spesso è riferita alla resurrezione di Gesù (Cfr. 1 Cor 15,4; At 10,40; Mt 16,21; 17,23; 20,19; Lc 9,22; 18,33; 24,7.46).
«ci fu uno sposalizio»: Presso il popolo ebraico le nozze erano celebrate con solennità; in genere la festa durava una settimana. In occasione del matrimonio di Giacobbe si parla della settimana nuziale (Gen 29,27; Cfr. anche Gdc 14,12.17), mentre per il matrimonio di Tobia si fece festa per due settimane (Tb 8,20; 10,8).
«Cana di Galilea»: è un paesino non molto distante da Nazaret che viene identificato con Fattuale Khirbet Qana, 14 Km a nord di Nazaret, o con Kefr Kenna, 4 Km a nord-est della cittadina di Gesù.
Natanaele, uno dei primi discepoli di Gesù, era appunto di Cana (Gv 21,2) e forse fu lui a invitare il Maestro, preceduto dalla madre, che, secondo quanto ci informano gli apocrifi, era la zia dello sposo.
Nel N.T. Cana è ricordata solo dal 4° evangelista (Gv 2,1.11; 4,46; 21,2); che sceglie questo paesino come quadro geografico dei primi due segni di Gesù (Gv 2,1-11 e 4,46ss guarigione del figlio di un funzionario del re). Il paesino di Cana forma così un'autentica inclusione della prima solenne rivelazione di Gesù.
«la madre di Gesù»: è un titolo di onore, ancora oggi infatti, presso gli orientali palestinesi, è segno di rispetto chiamare una donna non con il nome personale, ma dicendola madre di un figlio: la maternità è un segno della benevolenza divina. Non dimentichiamo inoltre che l'episodio narrato proviene da un ambiente che già venerava Maria, madre di Gesù. È altrettanto importante rilevare che la madre di Gesù nel 4° vangelo compare sulla scena solo all'inizio della rivelazione anticipata della gloria di Gesù nel segno di Cana e nella manifestazione piena della gloria del Figlio di Dio sul trono regale della croce (Gv 19,25-27). La rivelazione iniziale e finale del Figlio di Dio avviene quindi sotto lo sguardo materno di Maria.
v. 2 - «Fu invitato ...Gesù con ì suoi discepoli»: il motivo dell'invito alle nozze è taciuto ma è da notare che per la prima volta vengono nominati «i discepoli di Gesù» come gruppo già costituito.
v. 3 - «non hanno più vino»: l'accento messo sulle persone "essi non hanno più vino e non già "non c'è più vino" è più che una sfumatura; mostra l'attenzione di Maria verso gli sposi che stanno per essere umiliati.
L'evangelista Giovanni in questo modo rivela non solo il dono di osservazione della madre di Gesù, la sua attenzione ai dettagli materiali, ma soprattutto la delicatezza del suo cuore e la sua innata compassione.
La madre non chiede a Gesù un miracolo; gli presenta semplicemente la situazione di necessità. È chiaro però che questo suo intervento è l'occasione che provoca il compimento del segno da parte di Gesù. Le sorelle di Lazzaro si comportarono in modo analogo: notificarono la situazione disperata del fratello, senza chiedere nulla (Gv 11,3).
v. 4 - «Che ho da fare con te, o donna?»: Questa espressione semitica, che nel nostro linguaggio suona come una frase imbarazzante poiché le prime parole sembrano dure e scostanti, si trova abbondantemente nell'AT (Cfr. Gdc 11,12; 2 Sam 16,10; 19,23; 1 Re 17,18; 2 Re 3,13; 2 Cron 35,21), nel N.T. (Mc 1,24; 5,7; Mt 8,29; Lc 4,34; 8,28) ed anche nella letteratura rabbinica ed ellenistica.
A questo proposito dobbiamo annotare qualche considerazione:
1. la frase, nella realtà, acquista sensi diversi secondo la tonalità con cui viene pronunciata: può esprimere ostilità, senso di molestia ma anche semplicemente, secondo ì canoni della cortesia orientale, il disimpegno nei confronti di un'azione proposta.
2. la frase, che letteralmente suona "che cosa a me e a te, o donna?", in buon semitico significa semplicemente: «È esistito mai alcunché di contrasto tra me e te?».
La risposta ovvia è: no.
«o donna»: Gesù la chiama con il titolo nobile di Gynai, Donna, Signora, e questo rimanda subito alla Croce, dove ancora una volta risuona il Gynai (Gv 19,26).
In questo modo di rivolgersi alla madre (da considerarsi tuttavia normale e gentile per il resto del genere femminile) alcuni autori vi vedono un motivo teologico, che rimanda a Gen 3,15 e che quindi Giovanni voglia presentare Maria come la nuova Eva, la madre dei viventi.
Altri autori suggeriscono che Giovanni voglia identificare Maria con la comunità d'Israele, perché mette sulle sue labbra la stessa professione di fede emessa dal popolo sul Sinai (Cfr. Es 19,8; 24,3.7).
Nel linguaggio biblico-giudaico inoltre il popolo eletto è raffigurato sovente sotto l'immagine di una "donna", si può capire perché mai Gesù, rivolgendosi alla Madre in quel momento, usi il termine "donna" (Cfr. I lett).
«la mia ora»: ricorre 26 volte in Giovanni ed ha spesso un senso qualitativo, indica cioè un tempo ben determinato ed importante nella vita di Gesù.
L'ora di Gesù è quella del suo ritorno al Padre, della sua morte, identificata da Giovanni con la sua glorificazione (la hora è il termine con cui Giovanni indica il kairòs).
Il gesto che Gesù compirà deve essere visto come una freccia puntata verso quella meta gloriosa. Gesù non vuole fare prodigi spettacolari, neppure per accontentare sua madre o venire incontro ad una difficoltà concreta quotidiana. Egli desidera nei suoi atti, anche potenti e straordinari, offrire solo rivelazioni del suo mistero divino.
v. 5 - «Fate quello che vi dirà»: Maria ha compreso il senso vero di quella risposta di Gesù apparentemente negativa e dice ai servì: «Fate quello che vi dirà».
In questo comando dato ai servi, la madre di Gesù esprime la completa disponibilità nel rimettersi pienamente alla volontà del Figlio, e quindi del Padre. Ha rinunciato ai legami di sangue e si rende disponibile per l'opera del Figlio.
Maria ripete le parole del faraone. Questi al popolo egiziano, quando dopo i sette anni di abbondanza ormai la carestia infieriva e chiedevano aiuto, dice: «Andate da Giuseppe fate quanto vi dirà» (Gen 41,55). Giuseppe l’Ebreo così è costituito come il salvatore del popolo egiziano, con la sua previdenza sapiente e la sua provvidenza generosa. La Madre esattamente dice: «Quanto dirà a voi, fate» (v. 5). Ecco la Regina Madre in azione. Consapevole o no, anticipa proprio quello che il Figlio dirà nella Cena, riassumibile in questa spiegazione: Tutto quello di cui parlai con voi, e quello per cui adesso ho pregato il Padre, fate questo se volete fare il memoriale di Me.
vv. 6-7 «Sei giare di pietra...»: tali giare sono attestate sia letterariamente che archeologicamente; il loro contenuto era di circa 39,39 litri.
In tutto contenevano sui 6 ettolitri, una quantità considerevole, intenzionalmente sottolineata anche da «fino all'orlo» del v. 7. Ciò vuol significare l'abbondanza e la bontà (vino eccellente) dei beni messianici, simbolicamente rappresentati in questo segno.
«per la purificazione dei giudei»: Un'antica tradizione obbligava tutti gli Ebrei fedeli a lavarsi le mani prima dei pasti, come segno di abbandono fuori della porta di ogni attività profana nel mondo, e anche come segno simbolico di purificazione anche interiore prima di procedere a un vero rito sacro che è il mangiare insieme dopo avere recitata la benedizione al Signore. La prescrizione resta ancora oggi.
L'uso del lavacro restò in ambito cristiano, sia con l'acqua che si porgeva all'ospite, ricevuto come Cristo, sia con le fontane poste davanti a tante chiese antiche, sia con l'innocente "acquasantiera" in ogni chiesa, sia con tipica fontana posta in ogni monastero d'Oriente e d'Occidente davanti al refettorio. L'abluzione sacra richiama così che si sta davanti alla Presenza.
Si comprende come a Cana questi ospiti e questi invitati, tutti buoni Ebrei osservanti, avessero a disposizione dei grandi recipienti per le abluzioni necessarie prima di entrare a mangiare. Certo, Gesù aveva polemizzato duramente contro quelli che si lavano la pelle di fuori, e non l'animo profondo davanti al Signore (Mt 15,1-20), tuttavia non aveva affatto "abolito" l'uso, in sé molto buono. Tanto, che il contenuto di quei recipienti era stato esaurito.
I recipienti vuotati sono pronti così ad accogliere la gioia messianica nuziale del Vino. Infatti adesso l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo li trasforma in contenitori di dell'abbondanza messianica nuziale. Questa osservazione insinua forse una finalità nell'intenzione dell'evangelista: contrapporre l’economia giudaica formalista preoccupata delle purificazioni rituali, alla nuova economia evangelica, prefigurata dal vino buono di Gesù.
Si confronti il passo di 2,6 con 4,6, dove nel dialogo con la samaritana il pozzo di Giacobbe è posto in parallelismo antitetico-progressivo con l'acqua viva donata da Gesù. La rivelazione di Gesù è contrapposta alla legge mosaica.
Questa intenzione di Giovanni è suggerita velatamente anche dal numero 6, che a differenza del sette che indica la perfezione, nel linguaggio biblico significa imperfezione o incompletezza.
I medesimi recipienti quindi sono vuoti in modo non occasionale, l'acqua fu usata in negativo per le abluzioni sacre. Gesù li usa al positivo. Allora ordina: «Riempitele di acqua» (v. 7a). Così mostra che non vuole operare il miracolo della creazione del vino dal nulla. Vuole trasformare l'umile creatura acqua dal meno al massimo, che è il Vino messianico nuziale.
Eseguendo l’ordine docilmente, gli inservienti riempiono «fino sopra», fino all'orlo (v. 7b), dimostrando la loro obbedienza docile di fede prima di quella dei discepoli.
«Riempite»: l'imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un'azione nuova. I recipienti erano stati svuotati perché l'acqua era stata usata per le abluzioni sacre; tutti gli invitati avevano infatti osservato le regole di purità prima di prendere del cibo (cf Mt 15,1-20).
L'abluzione sacra aveva richiamato che si stava davanti alla Presenza; ora i medesimi recipienti sono riempiti dell'abbondanza messianica nuziale. Il vino è infatti segno della gioia messianica nuziale; i profeti avevano predetto che il popolo demoralizzato per i suoi peccati avrebbe «attinto con gioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3 è il salmo responsoriale usato nella notte di Pasqua dopo Is 55,1-11 il canto del banchetto della nuova alleanza). Quella Fonte è Egli stesso (7,37-39); il Signore a Cana è lo Sposo regale messianico che dona il Vino nuziale gioioso e buono; Egli è il Salvatore che porta l'Acqua della Vita per distruggere i peccati (Zc 13,1).
vv. 8-10 Con l'esecuzione dell'ordine di Gesù di attingere l'acqua e di portarla al maestro di tavola, si compie il prodigio.
«portatene al maestro di tavola»: l'imperativo presente positivo ordina di continuare un'azione già iniziata. I servi forse pensarono a uno di quegli scherzi che si facevano (e si fanno ancora) per tenere allegra la brigata.
«non sapeva»: solo i servi sapevano la provenienza di quel vino il maestro di tavolo no. Il versetto è ancora un'insistenza di Giovanni sull'origine prodigiosa del vino buono.
«Tutti presentano...»: «L'architriclino», il sovrintendente del convito è il terzo personaggio che in questo racconta parla e ciò che pronuncia questo maggiordomo senza nome sono sapienti parole di rivelazione. Non si trova nell' antichità nessuna norma come quella ricordata dal direttore di mensa allo sposo. L'osservazione umoristica vuole solo esaltare (parla due volte del vino buono) la bontà del vino procurato prodigiosamente da Gesù.
Resta da notare che lo sposo si distingue da tutti gli uomini, perché ha conservato il vino buono sino alla fine: lo sposo è Gesù, non solo perché nel N.T. lo sposo è Gesù (Cfr. Mc 2,19ss; Mt 9,15; Lc 5,34; Ap 19,7.9), ma anche perché è lui che ha dato il vino buono sino alla fine. Nell'iconografia delle Nozze di Cana sia lo Sposo (anonimo nel racconto di Giovanni) che il Signore Gesù hanno molte somiglianze.
v. 11 - Questo versetto è il commento teologico del redattore, che fa risaltare il carattere cristologico- dell'avveramento e che è l'inizio dei segni, la rivelazione della gloria, il motivo di fede dei discepoli. Le nozze di Cana sono realmente il capo di tutti e 7 i "segni" operati dal Signore, che vanno ricondotti al primo di essi e tutti insieme alla loro fonte inesauribile la Resurrezione al terzo giorno.
v. 12 - E' un sommario storico che fa da cerniera con l'episodio che segue.

II Colletta:
O Dio, che nell'ora della croce
hai chiamato l'umanità a unirsi in Cristo,
sposo e Signore,
fa' che in questo convito domenicale
la santa Chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore,
e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…


Abbazia Santa Maria di Pulsano

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