Carla Sprinzeles IV Domenica del Tempo Ordinario

Commento su Ger 1,4-5.17-19; Lc 4,21-30
Carla Sprinzeles  
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/01/2016)
Vangelo: Ger 1,4-5.17-19|Lc 4,21-30 
Oggi la liturgia ci propone il tema del rapporto del profeta con il suo paese e pone in relazione profezia e persecuzione.
Leggendo la storia della missione dalle origini ad oggi, vediamo che Colui che è stato profetizzato come "segno di contraddizione" ha continuato e continua ad esserlo delle diverse epoche storiche.
La proclamazione della "buona notizia" obbliga i cuori a venire allo scoperto: chi è alla ricerca del vero, si sintonizzerà come il portatore della Parola e accoglierà il suo messaggio. Ma se il cuore dell'interlocutore resterà chiuso all'annuncio perseguiterà i portatori della Parola.

GEREMIA 1, 4-5. 17-19
La prima lettura è tratta dal profeta Geremia. Il racconto della sua vocazione fa balenare la sensibilità, le incertezze, la timidezza di Geremia. Dio lo "afferra" per inviarlo, ma al tempo stesso lascia crescere in lui, pur nella sofferenza, una straordinaria libertà.
La seconda parte del passo allude alle condizioni difficili nelle quali il profeta dovrà esercitare la propria missione.
Geremia dovrà prepararsi alla lotta perché il rifiuto della parola del Signore da parte dei suoi destinatari coinvolgerà direttamente e fisicamente anche la sua persona.
Il Signore assicura a Geremia assistenza personale, saldezza e incorruttibilità per la missione profetica: egli lo ha destinato a essere bastione contro le falsità dei cortigiani, le convenzioni dei borghesi, l'ipocrisia degli opportunisti.
A Geremia sarà chiesto di convertire il popolo eletto dalla sua pesante follia contro Dio, ma non dovrà spaventarsi alla loro vista.
La sua missione poi assumerà anche una dimensione universale: posto a servizio di un Dio, che è Signore di tutti i popoli e di tutta la storia, la sua missione si estenderà oltre i confini di Israele.
"Prima di formarti nel seno materno, io ti ho conosciuto"..il suo ministero non si fonda su sue presunzioni, ma ha radici nella libera scelta operata "ab eterno" dal Signore perché annunciasse la sua Parola.
Geremia ricorderà più volte questa sua chiamata, quando si troverà di fronte alle sue debolezze, timidezze e fragilità.
Dapprima ignorato dai propri compaesani, poi deriso, isolato, perseguitato, minacciato, percosso, insultato, denunciato da parenti e amici, flagellato.
Tutto perché vorrebbero fargli dire ciò che loro desiderano udire.
Vorrebbero essere rassicurati dalla sua parola, invece Geremia non può, sono fuori strada, la storia cammina in un'altra direzione e loro non sanno coglierne il senso.
La sua profezia non nasce dal suo interno, viene da altrove.
I compaesani non riescono ad afferrare il dramma intimo di Geremia, a cogliere l'altrove di quella Parola. Si accaniscono crudelmente contro il profeta, colpevole di tradire i loro desideri e dissipare le loro illusioni.
Sovente anche noi vorremmo far dire alla Parola quello che pensiamo, ci facciamo un Dio a nostra misura. Essere attenti e aperti al nuovo della Parola non è facile, ma è un esercizio quotidiano che dobbiamo fare!
LUCA 4, 21-30
Oggi prosegue il brano di Luca che abbiamo letto domenica scorsa: Gesù è a Nazareth nella sinagoga e proclama il testo di Isaia dove viene descritto il Messia: "Oggi si è adempiuta questa scrittura".
Nei suoi concittadini sorge il pregiudizio: Non è il figlio di Giuseppe? Non è un artigiano? Cosa vuole insegnarci?
Gesù fa notare che potrebbero dirgli: "medico cura te stesso", visto che aveva operato prodigi a Cafarnao, a questo punto Gesù fa notare che "nessun profeta è accetto nella sua patria", difatti Elia ed Eliseo avevano aiutato una vedova e un lebbroso non appartenenti al popolo ebraico, perché chi vive accanto a questi profeti guardano l'aspetto umano, esteriore e hanno pregiudizi.
Il pregiudizio è la valutazione di una persona attraverso modelli che abbiamo del passato.
Molte volte anche noi accettiamo o rifiutiamo le persone in base a ciò che abbiamo vissuto, non incontriamo realmente le persone.
Un altro meccanismo è la gelosia, cioè il fatto che il bene degli altri, il successo degli altri, l'azione degli altri sottrae qualcosa a noi.
Se gli altri vengono stimati, vengono riconosciuti, applauditi, noi restiamo da parte.
Siccome noi cominciamo la vita con il bisogno di essere riconosciuti, di essere amati, se non impariamo a gestire questa reazione, se non siamo cresciuti, al punto da essere diventati noi stessi, continuiamo a lasciarci guidare dai nostri istinti, perché ci si sottrae qualcosa di quello che noi abbiamo bisogno. E allora interpretiamo l'azione degli altri in modo negativo, non riconosciamo il bene che gli altri fanno.
Per cui, se si è in un rapporto di fiducia la Parola si realizza, se non lo si è questa Parola non la si capisce, non c'è logica.
Gesù dice che dentro la storia c'è un'ambiguità. La familiarità non è data da un'appartenenza; non basta "stare lì", non basta dirsi "bravi cattolici", la familiarità è data dallo spazio possibile per le opere che liberano, che salvano, e da questo incontro con Lui.
Quindi attenzione! Non scegliamo troppo in fretta chi è buono e chi è cattivo, chi ha ragione e chi ha torto.
Una domanda per noi: quali segni cerchiamo? Quali sono le cose che ci confermano o che ci mettono dei dubbi sulla libertà che Dio ha portato?
Quello che i compaesani di Gesù non accettano è che lui si proclama Figlio del Padre: l'annuncio di questa ambiguità li fa molto arrabbiare e vogliono buttarlo giù da un monte, cioè vogliono negare il dovere di discernere nei segni, che invece viene messo loro nelle mani.
Credo che capiti anche a noi così, se qualcuno mi dice cosa devo fare, posso poi decidere se farlo o no, il fatto è che viene rimesso in mano a ciascuno di noi la nostra esistenza, che sarà la stessa cosa che il Risorto farà. Pensiamo all'incontro tra Gesù risorto e Maria, l'ha chiamata per nome, le ridà la sua vita. Gesù, quando ti incontra, ti rimette in mano la tua vita.
Tu puoi reagire in modi diversi...
Gli uditori di Gesù, secondo Luca si arrabbiano molto, vogliono buttarlo giù dal monte, ma Gesù, passando in mezzo a loro e se ne va.
Moltissime volte, nel Vangelo c'è questa espressione.
Gesù scatena la discussione e poi non vi partecipa.
E' come se dicesse che da quel punto in poi il problema è loro, non è più suo.
Lui ha fatto la sua parte: ha annunciato la libertà e poi loro reagiscono.
Gesù non condanna, se i compaesani avessero accettato il confronto, sarebbero venuti a contatto con la verità.
Interpretiamo la differenza come menomazione e non la accettiamo!
Occorre fare molta attenzione, perché le reazioni istintive dei compaesani di Gesù, sono anche le nostre: il pregiudizio e la gelosia, poniamo un occhio attento ai nostri atteggiamenti e guardiamo sinceramente da dove nascono! L'amicizia con Gesù, lo stare con Lui ci aiuta ad assomigliargli!

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