Don Giorgio Scatto "Una Parola che non si fa sequestrare da nessuno"



4° Domenica del Tempo Ordinario (anno C)
Letture: Ger 1,4-5.17-19; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Una Parola che non si fa sequestrare da nessuno
MONASTERO MARANGO
1)Il brano del Vangelo che ci viene proposto è in continuità con quello della settimana scorsa. Dopo
aver cercato nel rotolo del profeta Isaia il passo dove era scritto:«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio», Gesù incominciò a dire: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udito».
Gesù, mosso dallo Spirito che è in lui, sa di essere mandato soprattutto ai poveri, ai prigionieri, agli oppressi, a tutti coloro che non hanno la forza di cambiare la loro situazione sventurata, ma che hanno bisogno che altri si curvino con amorevolezza sulla loro miseria.
Il profeta di Nazareth non è venuto solo a predicare ma a «proclamare l’anno di grazia del Signore». Dovremmo tradurre: «l’anno grato, accetto, piacevole al Signore», l’anno della sua presenza portatrice di salvezza. Sono espressioni che rimandano al giubileo, l’anno del condono dei debiti, del rientro in possesso della terra, della liberazione degli schiavi (Lv 25). Luca usa per due volte la parola “libertà, liberazione” (gr. àphesis), che nel Nuovo Testamento sottolinea sempre il bisogno di una libertà e salvezza che va alla radice stessa del male: la liberazione dal peccato, che Dio offre a tutti per mezzo dell’offerta della vita di Gesù. Questa liberazione non è solo annunciata, ma avviene “ora” in Gesù Cristo, che diventa così il segno del compimento di tutte le promesse di Dio fatte al popolo di Israele e contenute nelle Scritture. In Gesù le Scritture si compiono.
«Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca».
L’espressione indica una iniziale disposizione favorevole degli ascoltatori. Ma è meno impegnativa del “rendergli testimonianza”. Questo è proprio del discepolo: «Avrete forza dallo Spirito Santo, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».

«Ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca».
Nella prova affrontata nel deserto Gesù aveva ricordato al tentatore che «l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni (altra) parola che esce dalla bocca di Dio». La Parola, nella quale risuona con abbondanza l’annuncio della misericordia di Dio, esce ora dalla bocca di Gesù. Tutta la Parola è in lui. Gesù è la bocca di Dio.

“Ma dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ho tradotto con un «ma» una «e» che c’è nel testo originale, per sottolineare una chiara opposizione a ciò che precede: «Sei il figlio di Giuseppe, chi pretendi di essere?». Numerosi commentatori pensano che il passaggio dall’entusiasmo alla reazione negativa debba essere spiegato con una certa “artificiosità” del testo: Luca avrebbe messo insieme, in modo sommario, elementi di varie visite di Gesù a Nazareth, non sempre connotate da una cordiale accoglienza. Rimane però un fatto: tra la sua gente Gesù ha sperimentato pregiudizi, diffidenze, contrasti, fino al rifiuto totale della sua persona e della sua missione. Scrive Giovanni: « Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto».

Che cosa fa problema agli abitanti di Nazareth?
Certamente non la semplice lettura del testo di Isaia, fatta da Gesù. Si può leggere la Scrittura senza esserne scalfiti, senza che essa provochi quella “compunzione”, quella trafittura del cuore che conduce al pentimento e alla conversione.
Fa problema piuttosto l’interpretazione di quelle pagine, compiuta da colui che è conosciuto come “il figlio di Giuseppe”. Contestano il suo nuovo ruolo, la sua libertà dai condizionamenti religiosi e culturali del suo paese, la sua apertura al mondo, la sua pretesa di essere addirittura colui che dà senso compiuto alle Scritture.
Il mio amico p.Bruno Secondin, il carmelitano che l’anno sorso ha predicato gli Esercizi  Spirituali al papa, commenta : «Gesù metteva in crisi tutto un equilibrio raggiunto, era come una minaccia per la loro mentalità e le loro abitudini. Per questo si ribellano, dopo un momento di attesa e di entusiasmo: perché li costringe a vedere in lui un altro personaggio, e perché li punge nella loro attesa orgogliosa. Li costringe a vedere la storia da un altro lato, a vedere Dio apportatore di libertà e liberazione, per tutti. Non una visione intimista, neppure una religiosità fatalista: ma l’inizio di una nuova storia, superando pregiudizi consolidati».
Si realizza quanto profetizzato dall’anziano Simeone: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione». Se sarà fedele al Vangelo, è anche il destino della Chiesa: una Chiesa fedele è una Chiesa di martiri.

Gesù legge la sua vocazione e il suo destino nella Parola di Dio, riconoscendosi nella vicenda di Elia e di Eliseo, profeti mandati oltre i confini della Terra Santa, in terra pagana. Anzi, di quella storia profetica, che travalica i confini  della religione ufficiale, orgogliosamente chiusa in sé stessa, Gesù ne è la piena realizzazione.
Egli è la Parola che rincorre gli uomini, per portarli fuori dai confini e dagli schemi che li rendono prigionieri e ciechi.
Egli è la Parola che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, vicini e lontani, per accoglierci tutti sotto le ali della sua misericordia.
Egli è la Parola che non si fa sequestrare da nessuno. Non appartiene ad una patria particolare, nemmeno ad un credo particolare, ad una religione, ad un movimento caratterizzato da particolari doni spirituali .
Il suo stile è itinerante, è sempre in cammino passando in mezzo a noi, sulle strade di tutti, nelle vicende spesso oscure e poco lineari delle vicende umane.
E’ una Parola che ci interpella nella nostra vita reale, nel nostro lavoro, nelle nostre abitudini religiose o sociali.
Quello che conta, infine, è accogliere Gesù , la novità della sua persona e la sua straordinaria testimonianza di vita, la sua misericordia e la speranza seminata con abbondanza nel vasto campo della nostra tribolata esistenza.

Giorgio Scatto

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