don Marco Pedron"Il confine tra la possibilità e la realtà"

Il confine tra la possibilità e la realtà
don Marco Pedron
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Vangelo: Lc 4,21-30
Il vangelo di questa domenica è l'esatta continuazione di quello di domenica scorsa. Tanto è vero che la prima frase di oggi l'abbiamo letta anche domenica scorsa. Infatti è un unico episodio che andrebbe letto tutto insieme per essere capito bene.

Abbiamo lasciato Gesù che dice: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4,21). E quando dice così succede il putiferio e il finimondo.
Forse noi non ci rendiamo bene conto ma Gesù si definisce l'unto, il Messia tanto aspettato. "Quello che da secoli aspettavate... quello che da sempre avete pregato e invocato... il vostro desiderio più grande: eccomi qua, sono io. Io sono l'unto; io sono il Messia; io sono l'aspettato".
Se un vostro amico vi dice: "Io sono Gesù Cristo", qual è la prima cosa che fate? La prima è che vi mettete a ridere... la seconda, invece, è che vi preoccupate... e la terza che lo portate da uno psichiatra. E da uno bravo perché uno che dice così...!
E il problema più grande non era che si dichiarasse lui l'Unto (unto=masciah che, in ebraico=messia): che fosse l'Unto, il Messia, potevano accettarlo. Ma mai avrebbero potuto accettare che fosse così.
Essere l'Unto era il desiderio più grande di tutti. Perché il Messia era così aspettato che tutti lo avrebbero seguito: era la massima attesa di ogni ebreo. Erode fece (in senso reale) carte false per essere l'Unto del Signore.
Infatti come reagiscono i presenti. Una volta si leggeva che "tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca" (Lc 4,22).
Solo che non si riusciva a spiegare questa reazione positiva con le parole negative successive: "Ma non è il figlio di Giuseppe?" (Lc 4,22), come a dire: "Ma cosa dice? Lo conosciamo tutti! Ma chi pretende di essere?". E meno che meno si riusciva a collegarlo con ciò che poi tentano di fare: ucciderlo (Lc 4,29).
Questo perché i due verbi utilizzati sono positivi o negativi a seconda del contesto. Dipende!
Martireo=rendere testimonianza (Lc 4,22). Ma la testimonianza può essere favorevole o contraria, pro o contro (Mt 23,31; Lc 5,14; 9,5; 21,13).
Thaumazo=provare meraviglia, stupore, sorpresa o sbigottimento in senso positivo o negativo (Lc 1,21; 9,43; 11,38; 20,26).
E' chiaro però qui il senso di ciò che provano: sono fuori di sé, sbigottiti, increduli nel sentire ciò che sentono. Sono pieni di rabbia per "la bestemmia" che ritengono che Gesù dica. Si chiedono, infatti, come possa dire: "Io sono l'Unto, l'Aspettato, il Messia".
E iniziano a dirsi: "Ma questo non è figlio di Giuseppe?" (Lc 4,22). In greco manca l'articolo (cioè è: "Figlio di Giuseppe" e non "Il figlio di Giuseppe") e quando manca l'articolo per la figliolanza si vuole sottolineare più che la figliolanza biologica quella di somiglianza. Essere figlio di qualcuno, nel mondo ebraico, significa comportarsi secondo il padre.
Qui allora non viene messa in dubbio la paternità di Giuseppe, che nel vangelo di Luca non viene mai messa in dubbio, ma che Gesù non si comporta come il padre Giuseppe.
Non sappiamo di preciso, ma da questo testo possiamo ipotizzare che forse anche Giuseppe condividesse queste idee nazionalistiche. Questa frase vuol dire: "Ma come, non è come suo padre (che aspetta il Messia vendicatore)?". "No, Gesù no sarà come suo padre. Gesù non sarà come nessun altro. E proprio per questo sarà se stesso, il Figlio di Dio, il pienamente Uomo e il pienamente Dio".
Non sono tanto arrabbiati per la presunzione di Gesù nel dire: "Io sono il Messia", ma perché Gesù non è il Messia che loro vogliono e si aspettano. Gesù non è come l'immagine che hanno in testa. Per questo lo rifiutano. Isaia (Is 61,5) era stato chiaro: i pagani dovevano essere sottomessi e diventare schiavi di Israele. Il primo compito del Messia era quello di distruggere le nazioni che calpestavano la Santa Gerusalemme e punire tutti gli ingiusti. E come si permette un "nessuno" come Gesù di parlare d'amore e di anno di grazia? Nessuna grazia! Che Dio parli di amore per gli oppressi si può capire, ma che Dio, lo stesso Dio parli d'amore pure per gli oppressori, questo è troppo e tutta l'assemblea insorge contro Gesù.
E mentre mugugnano tra di loro, Gesù gli si rivolge direttamente. E che fa? Gesù non tenta affatto di calmare l'assemblea ma peggiora la situazione e dice: "Voi di certo mi citerete il proverbio: Medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria" (Lc 4,23).
Gesù a Cafarnao aveva scacciato un demonio dalla sinagoga (Mc 1,21-28), aveva guarito la suocera di Simone dalla febbre (Mc 1,29-31) e aveva compiuto tantissime guarigioni di malati e d'indemoniati (Mc 1,32-24). Sempre a Cafarnao aveva guarito il famoso paralitico (Mc 2,1-12): ora la fama di Gesù si diffonde tanto è vero che Gesù non può più neppure entrare pubblicamente in una città ed è costretto a starsene in disparte, nel deserto... ma anche là arrivano a lui da ogni parte (Mc 1,45). In Lc tutto ciò si ritrova proprio dopo questo vangelo (Lc 4,31-44). Per questo gli dicono: "Beh, quello che hai fatto in giro, a Cafarnao, fallo a maggior ragione da noi!".
E che fa Gesù? Gesù alza ancor di più il tiro e la tensione. Invece di difendersi, Gesù, senza paura, attacca: "Nessun profeta è bene accetto in patria" (Lc 4,24).
Ci fu un altro profeta nell'A.T. i cui compaesani tentarono di assassinare, Geremia, a cui i suoi "amici" compaesani dissero: "Non profetare nel nome del Signore, se no morirai per mano nostra" (Ger 11,21).
E racconta, quindi, due episodi dell'A.T. indigesti per gli ebrei. Avete presente quelle cose che tutti sanno ma che nessuno dice perché sono delle accuse contro di sé? Bene Gesù mette il dito nella piaga e va a raccontare e a ricordare proprio quelle cose lì. Figuratevi la reazione.
Cos'era successo? Durante una carestia tremenda, senza pioggia da anni e con la peste della lebbra (conseguenze dell'allontanamento del cuore degli israeliti da Dio), il grande profeta Elia non andò ad aiutare e a soccorrere il suo popolo ma si recò proprio da quelli che gli ebrei tanto disprezzavano. Andò infatti da una vedova pagana di Zarepta di Sidone (1 Re 17,8-16). E a questo vedova guarirà il figlio morto (senza respiro; 1 Re 17,17-24).
E l'altro grande profeta dell'A.T. Eliseo, discepolo proprio di Elia, con tanti lebbrosi che c'erano in Israele, non guarì nessuno degli ebrei ma un militare pagano, Naaman il Siro (2 Re 5,1-14).
Cosa fa Gesù? Gesù mette i suoi ascoltatori di fronte a una terribile verità: "Secondo voi, come mai i vostri grandi profeti sono andati a soccorrere una vedova pagana con tutti i bisognosi che c'erano in Israele? E, secondo voi, come mai l'unico guarito dalla lebbra con tutti quelli che c'erano qui da noi, è stato un pagano straniero?". La risposta è chiara: "Perché non c'era fede qui! Vedete: i vostri grandi profeti, quelli che voi stimate e di cui parlate sempre, se ne sono andati altrove, come me, proprio perché qui non poterono operare nulla".
Quando Gesù dice così, succede il finimondo: tutti ribollenti d'ira scoppiano. Il verbo pimplemi vuol dire "furono pieni" (Lc 4,28): Gesù ha superato il confine, le "spara troppo grosse", bisogna fermarlo, bisogna fare qualcosa, perché non si può più lasciarlo agire indisturbato; non si può più accettare ciò che dice. Dev'essere eliminato.
Timos "sdegno" vuol dire collera: indica proprio il sentimento (da cui ad esempio il "timore di Dio", cioè l'emozione, il sentimento di percepire Dio). Più che un sentimento timos indica proprio un forte sentimento (a seconda della sfaccettatura).
E osserviamo: ci sarebbe la benedizione finale che dice "shabbat shalom", "pace e gioia per il sabato": ma sono così furibondi che non l'aspettano.
E così cosa fanno? Lo prendono per gettarlo giù dal precipizio (Lc 4,29). Lc fa un gioco meraviglioso. Infatti l'espressione "il monte sul quale la loro città era situata" (Lc 4,29) è uno dei termini tecnici con i quali si indica la città di Gerusalemme.
E chi aveva tentato di fare un attimo prima la stessa cosa? Il diavolo (Lc 4,9), che gli aveva detto: "Buttati giù da qui (dal pinnacolo del tempio) e gli angeli non ti lasceranno cadere". Lc sta dicendo: "Ecco qua chi è il vero diavolo: voi siete il diavolo! Voi che dovreste credere e che opponete ogni sorta di resistenza e di barriera per non convertirvi". Ciò che accade è nient'altro che un anteprima di ciò che succederà un po' di tempo più tardi a Gerusalemme.
Gesù viene trattato come un traditore del popolo e la legge comanda che i traditori debbano essere uccisi (Dt 13,10-11). E chi tenta di farlo sono quelli di casa sua, i suoi familiari, i suoi compaesani. Come a dire che i legami di sangue a volte sono proprio legami di sangue!, di morte e di odio.
Lc con questo episodio iniziale non fa altro che anticipare quello che sarà il destino di Gesù. Fin dall'inizio Gesù è stato rifiutato dalle persone religiose e pie. Questo perché Gesù è venuto a distruggere le basi stesse della religione, con le categorie del merito e delle virtù, dei buoni e de cattivi, del paradiso e dell'inferno, dei fedeli e degli infedeli. Gesù proclama un Dio che dimostra il suo amore a tutti quanti, perché non ha altra maniera di essere; essendo un Dio d'amore, ogni sua manifestazione sarà soltanto d'amore.
E questo suscita il risentimento da parte di tutti i religiosi.
Cosa può dire a noi questo vangelo? L'"oggi" (semeron) di questo vangelo in Lc ricorre 7 volte.
7 "oggi" come 7 i sacramenti o i 7 giorni della settimana. Lc vuol dire: "Dio lo devi sperimentare oggi, adesso, qui, nel tuo presente. Perché Dio è Vivo, è Vivente: Lui viene, Lui opera, Lui c'è, Lui ti incontra oggi".
Non si può credere in Dio se mai nell'"oggi" lo si incontra. Dio non è domani, Lui è prima di tutto oggi. Lui è Vivo adesso, ora, non solo quando andremo di Là.

Pensiero della Settimana
"O troveremo una vita o la costruiremo".
(Annibale)

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