Don Umberto DE VANNA sdb" La luce di un faro"

3 gennaio 2016 | 2a Domenica di Natale - Anno C | Omelia
Per cominciare
La liturgia offre ai fedeli l'occasione per riflettere ancora una volta sul Natale del Signore, sul significato teologico della sua incarnazione. C'è ancora tanto profumo di Natale in giro e il brano di vangelo che viene riproposto quest'oggi è ancora quello della messa del giorno di Natale. Le profondità espresse dal discepolo Giovanni ci offrono ancora una volta l'opportunità di meravigliarci e di adorare.

La parola di Dio
Siracide 24,1-4.8-12. Il Siracide, in questo passo che è tra i più importanti di tutto il libro e che assume qui un tono profetico, immagina che la Sapienza - "creata prima dei secoli, fin da principio" - entri nella storia e prenda dimora nel popolo eletto. L'immagine ardita potrebbe apparire soltanto poetica o simbolica, in realtà si avvera pienamente in Gesù, Parola di Dio e Sapienza di Dio fatta carne, che prende dimora nell'umanità.
Efesini 1,3-6.15-18. Nel brano di Paolo agli Efesini, l'apostolo rivela i disegni di amore di Dio, che ci ha scelti "prima della creazione del mondo", per renderci suoi figli in Gesù. Paolo si congratula perché i cristiani di Efeso vivono già di questa fede, ma chiede per loro un spirito di sapienza più profondo per vivere con maggior speranza questa chiamata e questo destino di gloria.
Giovanni 1,1-18. È l'inizio del vangelo di Giovanni che abbiamo letto già nella terza messa del giorno di Natale, e che viene proposto anche nella feria del 31 dicembre. Gesù è la Parola che viene da Dio e scende sulla terra per illuminare l'umanità della sua luce. Gli uomini hanno preferito le
tenebre alla luce e non lo hanno accolto. Ma a chi l'ha accolto ha dato potere di diventare figli di Dio.

Riflettere

La prima lettura presenta il capitolo 24 del Siracide, dove la Sapienza in prima persona tesse le proprie lodi. La Sapienza ha attraversato i cieli ed è venuta ad abitare in Israele, piantando la sua tenda in Gerusalemme. Essa preesisteva presso Dio, ma si è messa in movimento cercando un luogo per dimorare fra gli uomini, finché non si è stabilita in Giacobbe. L'essersi incarnata in un popolo e in particolare nella legge di Mosè, non fa diminuire la sua trascendenza. La Sapienza viene presentata qui evidentemente come figura di Gesù, Parola di Dio fatta carne.
Nella lettera agli Efesini, Paolo, dopo essersi presentato con il suo nome e dopo aver salutato i cristiani della città, si lancia in un grandioso inno che squarcia davanti a noi il mondo di Dio e i suoi progetti. Si tratta quasi sicuramente di un inno in uso nelle prime comunità cristiane.
Sin dai primi versi, ha scritto qualcuno, "si provano le vertigini". Infatti Paolo annuncia il grande disegno di Dio, il suo amore senza misura, che è la chiamata di tutti a "essere santi e immacolati di fronte a lui". Non solo, Dio ci ha scelti per predestinarci a diventare eredi della sua gloria, cioè a partecipare della sua vita e della sua beatitudine. Tutto questo per mezzo del suo amatissimo figlio Gesù, grazie al quale siamo stati conquistati, gratificati.
Voi, Efesini, dice Paolo, già avete sperato nel Cristo, ma ora crescete nell'ascolto della parola della verità, nel vangelo della salvezza, e in esso credete, "sapendo che è caparra della nostra eredità" (Ef 1,13-14).
Davanti a questi grandiosi progetti, Paolo chiede i cristiani di Efeso lo spirito della sapienza e li invita a comprendere sempre meglio "a quale speranza sono stati chiamati". Li esorta a non rimanere indifferenti, ma a lasciarsi affascinare e a decidere di rispondere al suo amore, senza lasciarsi condizionare dalla stanchezza o dai dubbi. Dio ha rivelato a tutti la nostra vocazione primordiale, alla quale siamo chiamati a rispondere.
La terza lettura ci propone il prologo del vangelo di Giovanni. Si tratta di un testo semplicemente sublime, che, come dice sant'Agostino, andrebbe scritto a caratteri d'oro all'ingresso di ogni chiesa.
Comincia presentando la preesistenza di Gesù (v. 1-5), Verbo di Dio; preesistenza reale e personale, esistenza in piena comunione con il Padre. È il mistero di Gesù, sono le sue credenziali essenziali. È ciò che qualifica in modo unico la Parola di Gesù, destinata a illuminare ogni uomo.
Tutto è stato creato per mezzo di questa Parola. "Tutto è stato fatto per mezzo di lui", dice Giovanni. È Gesù il modello di tutto ciò che è uscito dalle mani del Creatore. L'uomo in particolare è stato creato a immagine e somiglianza di Gesù.
La luce viene nel mondo, dice Giovanni. Dio supera le barriere, si rivela all'uomo. È una luce destinata a illuminare gli uomini. Ne è banditore la parola di Giovanni Battista, che si qualifica come testimone di questa luce, destinata a rivelare il vero volto di Dio e i suoi progetti: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è Dio e che è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato".
Si tratta di una luce autoritativa: proviene da Dio ed è in grado di presentarsi davvero come risposta all'uomo. È destinata a suscitare la fede, a separare gli uomini in credenti e non credenti, tra chi si lascia illuminare e chi preferisce le tenebre. Ma chi la accoglie diventa figlio di Dio.
Ebbene, il Verbo di Dio si è fatto carne, uomo, persona umana come noi. L'infinito si è fatto finito, l'invisibile si è fatto sensibile. Il Logos è entrato nella storia umana, è diventato soggetto di storia, parte attiva della storia dell'uomo.
Giovanni sceglie la parola "carne" (sarks) per indicare che Gesù incarnandosi ha scelto una modalità umile, dimessa per presentarsi all'umanità. Non ha tenuto conto della sua dignità divina, si è abbassato inserendosi pienamente nella nostra umanità.
Il Logos che si fa "carne" ricorda anche che questo è il termine che Giovanni usa per indicare l'eucaristia (6,51-52). La Parola si fa carne e noi potremo nutrirci di questa carne…
L'immagine della tenda ("Ha innalzato la sua tenda tra di noi", traduzione letterale del v. 14 ) fa riferimento al popolo ebraico, un popolo nomade, ed è riferimento alla sua storia, al tabernacolo innalzato da Mosè nel deserto. Ma parlando di Mosè, ne dichiara subito la distanza, perché se Mosè ha dato agli ebrei la legge, Gesù ha inaugurato la nuova e definitiva alleanza.

Attualizzare

Anche se la celebrazione della notte di Natale è di parecchi giorni fa, siamo in questa domenica sollecitati ancora da qualcosa che profuma di divino tra noi. "L'inno del vangelo di Giovanni è davvero come una straordinaria apertura di sinfonia. Il disegno di Dio è preciso: la Parola creatrice, Dio in persona, si fa carne, cioè tempo, spazio, presenza umana, in dialogo con noi" (mons. Luciano Pacomio).
La Parola, il Verbo di Dio, è all'origine di ogni cosa, dice Giovanni, anzi, tutto è stato creato con la forza di questa Parola. Gesù è la Parola che crea ("Tutto è stato fatto per mezzo di lui"); e nello stesso tempo è la Parola che ricrea l'uomo, rendendolo nuovo, che lo risana e lo riporta al progetto iniziale per cui è stato fatto.
Gesù, Parola di Dio fatta uomo, ci ha parlato con la sua voce, con la sua vita. Ha acceso la luce di ogni intelligenza, ci ha dato gli strumenti per raggiungere Dio, ha fondato la chiesa perché la sua parola giungesse fino agli estremi confini della terra e raggiungesse ogni uomo in ogni tempo.
Sono tante le parole nella nostra società. Tanti discorsi e tanti libri. Tanta radio e televisione, telefonini, internet, youtube. Per far circolare idee, per conquistare ascoltatori e nuovi clienti. È una realtà vivace e utile, che rende tutti cittadini del mondo più consapevoli e nello stesso tempo un po' più simili, informati allo stesso modo, ma più spesso di cose futili e inutili, di informazioni che spesso finiscono per confonderci.
Anche Gesù è venuto per parlarci. Anzi, Gesù è semplicemente "la Parola" (Logos, in greco, Verbum in latino). Una parola che viene da Dio, che ci parla del suo mondo, una parola di verità che cambia la vita, che rivela in profondità l'uomo all'uomo.
La parola di Dio si incarna nel mondo per salvarlo, per liberarlo. Non viene per mettersi in concorrenza con l'uomo, per distruggere ciò che esiste, ma per rendere ogni cosa più bella e più vera.
Dio viene a condividere la nostra vita e così ne rivela il senso e la salva. Fa conoscere a ogni uomo la propria "vocazione", li chiama e li mette a servizio del regno, così come ha fatto con Abramo, Mosè, con Pietro e gli altri.
Chi vuole può vivere della sua luce, può lasciarsi illuminare. C'è chi non ci sta, c'è chi resta diffidente e scettico. C'è chi più o meno coscientemente preferisce le tenebre e chiude gli occhi davanti alla luce.
A chi accusa Dio perché lontano e indifferente di fronte a ciò che accade nel mondo e nella nostra vita, risponde la parola di Dio fatta carne, che rivela l'amore infinito di Dio per le sue creature. Dio che è relazione, desidera appassionatamente (lo rivela tutta la Scrittura) vivere in comunione con l'umanità, con ciascuno dei suoi figli. Dobbiamo deciderci a spalancare le braccia, lasciarci coinvolgere: "Dio è come il mare, sorregge chi vi si abbandona" (Guido Morselli).
È questa la vita vissuta nella luce a cui la parola di Dio ci chiama. È questa la santità che è vista facilmente come qualcosa di datato e di superato. I santi sono invece quelli che hanno capito meglio il cuore di Dio e si sono fatti carico di renderlo presente nella loro vita. "Chi ha visto me, ha visto il Padre", dice Gesù a Filippo (Gv 14,9). I santi a loro volta prolungano in ogni epoca la presenza di Gesù nel mondo.

La luce di un faro

Al nord est dell'Uruguay c'è un vecchio faro costruito nel 1886, che si è meritato l'onore di essere stato dichiarato monumento storico. Vicino al faro, vivono un centinaio di abitanti, che non hanno la luce elettrica, ma il loro paesino è diventato una meta turistica ricercata. Quelli che la visitano ne sono meravigliati, dicono che ha qualcosa di incantevole, come se proprio lì fosse nato il mondo. Però si dà il caso che, quando arriva la notte, non potendo contare su altra luce oltre a quella del faro, gli abitanti hanno inventato una specie di rito popolare, frutto di fantasia, ma ricco di simboli. Nei pochi secondi in cui c'è luce, essi camminano velocissimi verso la loro meta; nei 12 secondi seguenti di oscurità si fermano o avanzano a passi lentissimi e corti. Essi hanno messo sul tetto delle case vicine uno specchio che riflette il raggio della luce del faro, così possono farsi strada con maggior facilità. Non è un fatto bello e pieno di significato?

Don Umberto DE VANNA sdb

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