FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA "Battesimo del Signore"

Battesimo del Signore
Antifona d'ingresso
Dopo il battesimo di Gesù si aprirono i cieli,

e come colomba
lo Spirito di Dio si fermò su di lui,
e la voce del Padre disse:
“Questo è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto”. (cf. Mt 3,16-17)

Colletta
Padre onnipotente ed eterno,
che dopo il battesimo nel fiume Giordano
proclamasti il Cristo tuo diletto Figlio,
mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo,
concedi ai tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito,
di vivere sempre nel tuo amore.

Oppure:
O Padre, il tuo unico Figlio
si è manifestato nella nostra carne mortale,
concedi a noi,
che lo abbiamo conosciuto come vero uomo,
di essere interiormente rinnovati a sua immagine.

Oppure:
Padre d’immensa gloria,
tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo
il tuo Verbo fatto uomo,
e lo hai stabilito luce del mondo
e alleanza di pace per tutti i popoli;
concedi a noi che oggi celebriamo
il mistero del suo battesimo nel Giordano,
di vivere come fedeli imitatori
del tuo Figlio prediletto,
in cui il tuo amore si compiace.

PRIMA LETTURA (Is 40,1-5.9-11)
Si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini la vedranno.
Dal libro del profeta Isaìa

«Consolate, consolate il mio popolo –
dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua tribolazione è compiuta
la sua colpa è scontata,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
il doppio per tutti i suoi peccati».
Una voce grida:
«Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore
e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato».
Sali su un alto monte,
tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza,
tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!
Ecco, il Signore Dio viene con potenza,
il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul petto
e conduce dolcemente le pecore madri».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 103)
Rit: Benedici il Signore, anima mia.

Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda. Rit:

Costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,
fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri. Rit:

Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi. Rit:

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni. Rit:

Nascondi il tuo volto: li assale il terrore;
togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. Rit:

SECONDA LETTURA (Tt 2,11-14;3,4-7)
Il Signore ci ha salvato con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Canto al Vangelo (Lc 3,16) 
Alleluia, alleluia.
Viene colui che è più forte di me, disse Giovanni;
egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Alleluia.

VANGELO (Lc 3,15-16.21-22) 
Mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Preghiera sulle offerte
Ricevi, o Padre, i doni che la Chiesa ti offre,
celebrando la manifestazione del Cristo
tuo diletto Figlio,
e trasformali per noi nel sacrificio perfetto,
che ha lavato il mondo da ogni colpa.

PREFAZIO 
Consacrazione e missione di Gesù.

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Nel battesimo di Cristo al Giordano
tu hai operato segni prodigiosi
per manifestare il mistero del nuovo lavacro:
dal cielo hai fatto udire la tua voce,
perché il mondo credesse
che il tuo Verbo era in mezzo a noi;
con lo Spirito che si posava su di lui come colomba
hai consacrato il tuo Servo
con unzione sacerdotale, profetica e regale,
perché gli uomini riconoscessero in lui il Messia,
inviato a portare ai poveri il lieto annunzio.
E noi, uniti alle potenze dei cieli,
con voce incessante proclamiamo la tua lode: Santo...

Antifona di comunione
Questa è la testimonianza di Giovanni:
“Io l’ho visto, e ho attestato
che egli è il Figlio di Dio”. (Gv 1,32.34)

Oppure:
Giovanni disse: “Io ho bisogno d’essere battezzato
da te e tu vieni da me?”. “Lascia fare per ora”
gli rispose Gesù,
“poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. (Mt 3,14-15)

Preghiera dopo la comunione
Dio misericordioso, che ci hai nutriti alla tua mensa,
concedi a noi tuoi fedeli
di ascoltare come discepoli il tuo Cristo,
per chiamarci ed essere realmente tuoi figli.





Lectio
Con la liturgia di questa domenica che contempla l’evento profondo e significativo del Battesimo di Gesù, si chiude il tempo natalizio e inizia il tempo ordinario.
In questo testo evangelico siamo sollecitati a riflettere sul senso della nostra immersione nello Spirito che ha il suo momento privilegiato nel giorno del nostro Battesimo.
Il brano di Luca contempla due eventi principali: la dichiarazione del precursore e il Battesimo di Gesù.
La voce di Dio è un momento centrale del brano perché dischiude il nostro cuore e la nostra intelligenza al nucleo vero e profondo della nostra vita: di chi siamo? A chi apparteniamo? Siamo amati? Domande fondamentali e costitutive di ogni essere umano, che non possono essere eluse.

Ma passiamo a leggere il testo in alcuni suoi passaggi basilari.
L’icona evangelica di Luca si apre nei primi versetti con l’atteggiamento di attesa e di domanda da parte del popolo: è Giovanni Battista il Messia promesso? L’interrogativo indica un movimento interiore di ricerca in ordine alla vita e alla salvezza: ”poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro riguardo a Giovanni se non fosse lui il Cristo”, Giovanni risponde mosso da un’intuizione interiore profonda dicendo che Colui che verrà è “più forte” perché non battezzerà solo con acqua, ma con “Spirito e fuoco”.
Giovanni ci indica il dono per eccellenza che è il Cristo; Egli è cosciente di trasmettere una Verità più grande di Lui.
Il dono è sempre più grande di colui che ce lo porge perché viene da molto più lontano. Così è per Giovanni e così è per ciascuno di noi.
Nella nostra storia personale ci sono state situazioni eccezionali in cui abbiamo ricevuto lo Spirito, come il giorno del nostro Battesimo, ma lo “Spirito e il fuoco” non si limitano solo ad un giorno e ad un’ora  perché tutte le situazioni dell’esistenza ci consentono di crescere come persone e come figli in quanto la Vita ci precede e si dona continuamente a noi come luogo dello Spirito, in cui Egli è all’opera.
La domanda che emerge da queste prime righe del Vangelo è:
Quali circostanze della nostra vita non siamo in grado di riconoscere come luoghi dello Spirito all’opera e, di conseguenza, non siamo in grado di avvalercene per la nostra crescita personale? In quali situazioni non siamo capaci di accogliere il dono che ci viene offerto?
Al v.21 troviamo che: “mentre Gesù stava in preghiera” accade qualcosa.
Il motivo della preghiera nell’evangelista Luca è un motivo ricorrente, infatti al cap.5, 16 si legge: “Gesù era solito ritirarsi in luoghi solitari a pregare”.
È interessante cogliere in questa breve pericope il fatto che il Figlio di Dio è dentro un contesto di preghiera e di solidarietà, cioè Egli viene descritto come un orante che entra in empatia con il popolo e partecipa alla sua condizione di peccato, pur rimanendo senza peccato. Gesù è immerso dentro la nostra umanità, come ci suggerisce la genealogia nei versetti successivi che lo definiscono “Figlio di Adamo” (3, 38).
La preghiera e la solidarietà non sono un dilemma, cioè, non c’è un conflitto tra essere con l’uomo e essere con Dio, ma ambedue sono realtà imprescindibili dell’esperienza autenticamente cristiana, nella verità di Cristo.
Mentre prega …. “il cielo si aprì”: Dio si rivela, si fa vicino, esce dal suo silenzio per farsi Presenza che dona e che parla. In questi versetti fa eco Is 63,19: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi” infatti la sua Presenza è in noi più forte e più chiara di qualsiasi altra realtà visibile. Gesù ode la voce del Padre e avverte la chiamata: Egli è “il Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto”.
La preghiera non serve per far conoscere a Dio i nostri desideri e neppure per fargli cambiare opinione. La preghiera serve a noi per essere in grado di accogliere la vita che ad ogni respiro ci raggiunge. Il nostro pregare non aggiunge energia vitale a quella che già il Padre ci elargisce senza riserve e senza condizione di merito: ”Ciascuno è il suo Figlio prediletto”. L’orazione invece ha il potere di dilatare le nostre possibilità per far passare il dono di vita del Padre agli altri, cioè l’azione di Dio è messa in “circolo” mediante la nostra esistenza perché Lui ci vuole vivi e vivi in pienezza (cfr. Gv. 10,10).
Nel v.22 leggiamo che lo Spirito Santo scende su Gesù e questo scendere dello Spirito viene paragonato al planare di una colomba sulla sua nidiata. Questa immagine richiama l’aleggiare dello Spirito sul caos primordiale (Gen 1, 2), lo Spirito che si posa sul Messia atteso e descritto in Is 60-62.
In Lc 4,18 troviamo poi la conferma di questa investitura messianica. La voce del Padre dichiara che Gesù è davvero il Messia, Colui che porta la salvezza, la vera liberazione.
Lo “Spirito e il fuoco” plasmano la nostra esistenza traendoci da un caos iniziale indistinto che ci forma e trasforma nell’arco di tutta l’esistenza, fino a farci diventare figli amati da Dio e da lui prediletti.

La lettura di Isaia proclama la nostra consolazione in quanto ogni schiavitù è terminata; la gloria del Signore infatti avvolge ogni vivente, senza distinzioni e tutti sono oggetto della salvezza. L’araldo, cioè il portatore di buone notizie, annuncia che la liberazione del Signore è alle porte e i liberati saranno il suo bottino.
Ci sentiamo giorno dopo giorno dei liberati? Siamo a nostra volta capaci di liberare?
La lettera di Tito ci avverte che nel Battesimo accade efficacemente e realmente ciò che viene proclamato perché l’immersione nello Spirito ci genera giorno dopo giorno in una umanità piena, ricca, perché conforme ai sentimenti di Cristo. Tutto ciò avviene per “pura grazia” e non grazie ”ad opere di giustizia da noi compiute”.
Questo Vangelo di Luca fa sorgere delle domande:
A quale grado di coscienza la nostra umanità orante e solidale è giunta, dal giorno della nostra immersione nello Spirito? Ci riconosciamo figli amati, ripieni di Spirito e capaci di mettere in circolo la Vita?
L’esperienza interiore del Padre che ci parla, ci rivela veramente a noi stessi? Vediamo il nostro volto come prediletto, il nostro agire ricco di potenza e sapienza e il nostro cammino zelante nell’operare il Bene?
Il nostro “ascoltare e percepire” la presenza del Padre attraverso il Figlio si trasforma continuamente in evento di liberazione e salvezza per noi e per gli altri se con fiducia ci si immerge e ci si addentra nelle acque eterne e zampillanti dello Spirito, impregnando realmente ogni dimensione del nostro essere: corpo, psiche e spirito.

La chiamata accolta nella preghiera
[…] L’esperienza della consacrazione venne vissuta da Gesù in un momento di preghiera, successivo al battesimo. Luca dice: “Mentre era in preghiera, il cielo si aprì, lo Spirito ….” Sono espressioni esteriori di un’esperienza profonda. Non è avvenuto nulla nel cielo, nelle nubi, è nel cielo del suo spirito che si squarciano le nubi, la luce irrompe e Gesù ascolta una chiamata. E nella preghiera diventa la sua risposta. […] In questo modo riusciamo a entrare pian piano nella spiritualità di Gesù, cioè a penetrare (da lontano, perché noi non abbiamo quell’intensità di rapporto col Padre che Gesù aveva), ma riusciamo a percepire qualcosa di ciò che Gesù quel giorno visse, quando l’azione del Padre in lui divenne risposta. Questo è il segreto della nostra vita, il significato di ogni nostra risposta. Non dobbiamo aspettarci qualcuno che ci dice: ”Dio vuole questo da te”. Nessuno ce lo potrà mai dire. Anche quello che avvertiremo dentro sarà sempre un indizio, un’indicazione di cammino, non sarà mai la volontà di Dio pienamente espressa. Noi non siamo uno spazio sufficiente perché la Parola di Dio possa risuonare come divina.
Anche per Gesù questo accade, perché nella sua realtà umana aveva i limiti della creatura: non era uno spazio infinito, era uno spazio legato a una cultura, ad una lingua, ad un progetto, ad un modo di vedere le cose: quello del suo ambiente. Dobbiamo sempre ricordare che Gesù ha compiuto un cammino di fede, quindi di ricerca, di abbandono fiducioso al Padre, per cogliere il significato di ciò che accadeva. […] Richiede tempo la Parola divina per diventare carne, per diventare pensiero umano, per diventare risposta: esige tempo, perché noi non siamo in grado di accoglierla in una sola condizione, in un solo istante, con un solo pensiero e con una sola parola. È troppo piccola la nostra mente per tradurre una Parola divina. Molte parole devono succedersi, intramezzate da lunghi silenzi, da decisioni, da scelte. Tutta la vita di Gesù è lo sviluppo di questa prima esperienza, quando fu consacrato, da Dio, […] per una missione.
Questo accade anche nella nostra vita. Non possiamo pretendere di avere chiara fin dall’inizio la Parola di Dio per noi, di conoscere qual è la Sua volontà, di sapere qual è “il nome che ci è riservato nei cieli”, per usare una formula cara a Gesù. Non lo possiamo sapere. È solo camminando giorno dopo giorno, ma in modo che la Parola diventi nostro pensiero, decisione nostra, diventi parola che noi possiamo pronunciare. […]. Questo è il dramma frequente delle nostre risposte alla chiamata di Dio (o potremmo dire alla propria vocazione): ci illudiamo di poter rispondere in un giorno solo, con una sola parola, con una sola decisione. […]
Certo possiamo già dirci figli, ma nel senso che abbiamo iniziato un processo: come un bambino che nasce è già figlio, ma figlio realmente lo diventerà quando potrà dire ai suoi genitori di avere accolto interamente il dono che lungo gli anni essi continueranno ad offrirgli. […]
Ciò vale anche (anzi, molto di più) nella vita spirituale, perché il processo di crescita non è che il simbolo di un altro processo molto più profondo: l’essere chiamati a diventare figli di Dio, processo che si realizza attraverso i sentieri e le scelte della vita quotidiana.
In tutte le nostre situazioni e in tutte le nostre risposte c’è una componente storica, che è limitata, imperfetta, inadeguata. È la risposta al coniuge, la risposta all’amico, la risposta al compagno di lavoro, la risposta alle persone che sono coinvolte nella nostra avventura storica; una risposta quindi reale, a persone e situazioni. Ma c’è nello stesso tempo, e nello stesso atto che noi compiamo, un’altra risposta, che è quella significativa e che dà valore anche alla prima. Ed è la risposta a Dio. Non sono due atti diversi. Questo è il punto su cui occorre riflettere. Noi invece pretendiamo di rispondere a Dio in un momento particolare, o andando in chiesa, o in uno spazio di preghiera, e di rispondere agli altri per conto nostro. In realtà noi diamo un’unica risposta: l’unico gesto che noi compiamo contiene in sé una duplice dimensione: risponde a persone che ci stanno davanti, a situazioni che stiamo vivendo, ma nello stesso istante, e con lo stesso atto, noi rispondiamo a una chiamata profonda, che è la chiamata della Vita, che è la chiamata di Dio a diventare figli suoi.
Il nostro cammino perciò richiede la consapevolezza della complessità dei gesti che compiamo. Cioè la consapevolezza che la nostra vita contiene qualcosa di più grande di quello che esprime, delle parole che possiamo dire, delle scelte che possiamo fare. (Carlo Molari, Percorsi comunitari di fede, Ed. Borla, p.110-14

Abbiamo già sentito che le ultime parole del Signore su questa terra ai suoi discepoli, sono state: «Andate, fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo» (cfr Mt 28,19). Fate discepoli e battezzate. Perché non è sufficiente per il discepolato conoscere le dottrine di Gesù, conoscere i valori cristiani? Perché è necessario essere battezzati? Questo è il tema della nostra riflessione, per capire la realtà, la profondità del Sacramento del Battesimo.
Una prima porta si apre se leggiamo attentamente queste parole del Signore. La scelta della parola «nel nome del Padre» nel testo greco è molto importante: il Signore dice «eis» e non «en», cioè non «in nome» della Trinità – come noi diciamo che un vice prefetto parla «in nome» del prefetto, un ambasciatore parla «in nome» del governo: no. Dice: «eis to onoma», cioè una immersione nel nome della Trinità, un essere inseriti nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome.
Il Signore ci ha aiutato a capire ancora meglio questa realtà nel suo colloquio con i sadducei circa la risurrezione. I sadducei riconoscevano dal canone dell’Antico Testamento solo i cinque Libri di Mosè e in questi non appare la risurrezione; perciò la negavano. Il Signore, proprio da questi cinque Libri dimostra la realtà della risurrezione e dice: Voi non sapete che Dio si chiama Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? (cfr Mt 22,31-32). Quindi, Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. E così vediamo che chi sta nel nome di Dio, chi è immerso in Dio, è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi, e se è Dio di questi, è Dio dei vivi; i vivi sono vivi perché stanno nella memoria, nella vita di Dio. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio.
Quindi, essere battezzati vuol dire essere uniti a Dio; in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso. Pensando a questo, possiamo subito vedere alcune conseguenze.
La prima è che Dio non è più molto lontano per noi, non è una realtà da discutere – se c’è o non c’è –, ma noi siamo in Dio e Dio è in noi. La priorità, la centralità di Dio nella nostra vita è una prima conseguenza del Battesimo. Alla questione: «C’è Dio?», la risposta è: «C’è ed è con noi; centra nella nostra vita questa vicinanza di Dio, questo essere in Dio stesso, che non è una stella lontana, ma è l’ambiente della mia vita». Questa sarebbe la prima conseguenza e quindi dovrebbe dirci che noi stessi dobbiamo tenere conto di questa presenza di Dio, vivere realmente nella sua presenza.
Una seconda conseguenza di quanto ho detto è che noi non ci facciamo cristiani. Divenire cristiani non è una cosa che segue da una mia decisione: «Io adesso mi faccio cristiano». Certo, anche la mia decisione è necessaria, ma soprattutto è un’azione di Dio con me: non sono io che mi faccio cristiano, io sono assunto da Dio, preso in mano da Dio e così, dicendo «sì» a questa azione di Dio, divento cristiano. Divenire cristiani, in un certo senso, è passivo: io non mi faccio cristiano, ma Dio mi fa un suo uomo, Dio mi prende in mano e realizza la mia vita in una nuova dimensione. Come io non mi faccio vivere, ma la vita mi è data; sono nato non perché io mi sono fatto uomo, ma sono nato perché l’essere umano mi è donato. Così anche l’essere cristiano mi è donato, è unpassivo per me, che diventa un attivo nella nostra, nella mia vita. E questo fatto del passivo, di non farsi da se stessi cristiani, ma di essere fatti cristiani da Dio, implica già un po’ il mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso, posso essere cristiano.
Un terzo elemento che si apre subito in questa visione è che, naturalmente, essendo immerso in Dio, sono unito ai fratelli e alle sorelle, perché tutti gli altri sono in Dio e se io sono tirato fuori dal mio isolamento, se io sono immerso in Dio, sono immerso nella comunione con gli altri. Essere battezzati non è mai un atto solitario di «me», ma è sempre necessariamente un essere unito con tutti gli altri, un essere in unità e solidarietà con tutto il Corpo di Cristo, con tutta la comunità dei suoi fratelli e sorelle. Questo fatto che il Battesimo mi inserisce in comunità, rompe il mio isolamento. Dobbiamo tenerlo presente nel nostro essere cristiani.
E finalmente, ritorniamo alla Parola di Cristo ai sadducei: «Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe» (cfr Mt 22,32), e quindi questi non sono morti; se sono di Dio sono vivi. Vuol dire che con il Battesimo, con l’immersione nel nome di Dio, siamo anche noi già immersi nella vita immortale, siamo vivi per sempre. Con altre parole, il Battesimo è una prima tappa della Risurrezione: immersi in Dio, siamo già immersi nella vita indistruttibile, comincia la Risurrezione. Come Abramo, Isacco e Giacobbe essendo «nome di Dio» sono vivi, così noi, inseriti nel nome di Dio, siamo vivi nella vita immortale. Il Battesimo è il primo passo della Risurrezione, l’entrare nella vita indistruttibile di Dio.
Così, in un primo momento, con la formula battesimale di san Matteo, con l’ultima parola di Cristo, abbiamo visto già un po’ l’essenziale del Battesimo. Adesso vediamo il rito sacramentale, per poter capire ancora più precisamente che cosa è il Battesimo.
Questo rito, come il rito di quasi tutti i Sacramenti, si compone da due elementi: da materia – acqua – e dalla parola. Questo è molto importante. Il cristianesimo non è una cosa puramente spirituale, una cosa solamente soggettiva, del sentimento, della volontà, di idee, ma è una realtà cosmica. Dio è il Creatore di tutta la materia, la materia entra nel cristianesimo, e solo in questo grande contesto di materia e spirito insieme siamo cristiani. Molto importante è, quindi, che la materia faccia parte della nostra fede, il corpo faccia parte della nostra fede; la fede non è puramente spirituale, ma Dio ci inserisce così in tutta la realtà del cosmo e trasforma il cosmo, lo tira a sé. E con questo elemento materiale – l’acqua – entra non soltanto un elemento fondamentale del cosmo, una materia fondamentale creata da Dio, ma anche tutto il simbolismo delle religioni, perché in tutte le religioni l’acqua ha qualcosa da dire. Il cammino delle religioni, questa ricerca di Dio in diversi modi – anche sbagliati, ma sempre ricerca di Dio – diventa assunta nel Sacramento. Le altre religioni, con il loro cammino verso Dio, sono presenti, sono assunte, e così si fa la sintesi del mondo; tutta la ricerca di Dio che si esprime nei simboli delle religioni, e soprattutto – naturalmente – il simbolismo dell’Antico Testamento, che così, con tutte le sue esperienze di salvezza e di bontà di Dio, diventa presente. Su questo punto ritorneremo.
L’altro elemento è la parola, e questa parola si presenta in tre elementi: rinunce, promesse, invocazioni. Importante è che queste parole quindi non siano solo parole, ma siano cammino di vita. In queste si realizza un decisione, in queste parole è presente tutto il nostro cammino battesimale – sia pre-battesimale, sia post-battesimale; quindi, con queste parole, e anche con i simboli, il Battesimo si estende a tutta la nostra vita. Questa realtà delle promesse, delle rinunce, delle invocazioni è una realtà che dura per tutta la nostra vita, perché siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale, tramite queste parole e la realizzazione di queste parole. Il Sacramento del Battesimo non è un atto di un’ora, ma è una realtà di tutta la nostra vita, è un cammino di tutta la nostra vita. In realtà, dietro c’è anche la dottrina delle due vie, che era fondamentale nel primo cristianesimo: una via alla quale diciamo «no» e una via alla quale diciamo «sì».
Cominciamo con la prima parte, le rinunce. Sono tre e prendo anzitutto la seconda: «Rinunciate alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?». Che cosa sono queste seduzioni del male? Nella Chiesa antica, e ancora per secoli, qui c’era l’espressione: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», e oggi sappiamo che cosa era inteso con questa espressione «pompa del diavolo». La pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la «pompa del diavolo», dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà. Ma oltre a questo significato immediato della parola «pompa del diavolo», si voleva parlare di un tipo di cultura, di una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Si decideva contro una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo». Con «questo mondo», naturalmente, Giovanni e Gesù non parlano della Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma parlano di una certa creatura che è dominante e si impone come se fosse questo il mondo, e come se fosse questo il modo di vivere che si impone. Lascio adesso ad ognuno di voi di riflettere su questa «pompa del diavolo», su questa cultura alla quale diciamo «no». Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura. Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no». Conosciamo bene anche da tanti Salmi questo contrasto di una cultura nella quale uno sembra intoccabile da tutti i mali del mondo, si pone sopra tutti, sopra Dio, mentre, in realtà, è una cultura del male, un dominio del male. E così, la decisione del Battesimo, questa parte del cammino catecumenale che dura per tutta la nostra vita, è proprio questo «no», detto e realizzato di nuovo ogni giorno, anche con i sacrifici che costa opporsi alla cultura in molte parti dominante, anche se si imponesse come se fosse il mondo, questo mondo: non è vero. E ci sono anche tanti che desiderano realmente la verità.
Così passiamo alla prima rinuncia: «Rinunciate al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?». Oggi libertà e vita cristiana, osservanza dei comandamenti di Dio, vanno in direzioni opposte; essere cristiani sarebbe come una schiavitù; libertà è emanciparsi dalla fede cristiana, emanciparsi – in fin dei conti – da Dio. La parola peccato appare a molti quasi ridicola, perché dicono: «Come! Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi». Sembra vero, ma non è vero. Dio si è fatto vulnerabile. Nel Cristo crocifisso vediamo che Dio si è fatto vulnerabile, si è fatto vulnerabile fino alla morte. Dio si interessa a noi perché ci ama e l’amore di Dio è vulnerabilità, l’amore di Dio è interessamento dell’uomo, l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà. E, in realtà, questa apparente libertà nell’emancipazione da Dio diventa subito schiavitù di tante dittature del tempo, che devono essere seguite per essere ritenuti all’altezza del tempo.
E finalmente: «Rinunciate a Satana?». Questo ci dice che c’è un «sì» a Dio e un «no» al potere del Maligno che coordina tutte queste attività e si vuol fare dio di questo mondo, come dice ancora san Giovanni. Ma non è Dio, è solo l’avversario, e noi non ci sottomettiamo al suo potere; noi diciamo «no» perché diciamo «sì», un «sì» fondamentale, il «sì» dell’amore e della verità. Queste tre rinunce, nel rito del Battesimo, nell’antichità, erano accompagnate da tre immersioni: immersione nell’acqua come simbolo della morte, di un «no» che realmente è la morte di un tipo di vita e risurrezione ad un’altra vita. Su questo ritorneremo. Poi, la confessione in tre domande: «Credete in Dio Padre onnipotente, Creatore; in Cristo e, infine, nello Spirito Santo e la Chiesa?». Questa formula, queste tre parti, sono state sviluppate a partire dalla Parola del Signore «battezzare in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; queste parole sono concretizzate ed approfondite: che cosa vuol dire Padre, cosa vuol dire Figlio – tutta la fede in Cristo, tutta la realtà del Dio fattosi uomo – e che cosa vuol dire credere di essere battezzati nello Spirito Santo, cioè tutta l’azione di Dio nella storia, nella Chiesa, nella comunione dei Santi. Così, la formula positiva del Battesimo è anche un dialogo: non è semplicemente una formula. Soprattutto la confessione della fede non è soltanto una cosa da capire, una cosa intellettuale, una cosa da memorizzare - certo, anche questo - tocca anche l’intelletto, tocca anche il nostro vivere, soprattutto. E questo mi sembra molto importante. Non è una cosa intellettuale, una pura formula. E’ un dialogo di Dio con noi, un’azione di Dio con noi, e una risposta nostra, è un cammino. La verità di Cristo si può capire soltanto se si è capita la sua via. Solo se accettiamo Cristo come via incominciamo realmente ad essere nella via di Cristo e possiamo anche capire la verità di Cristo. La verità non vissuta non si apre; solo la verità vissuta, la verità accettata come modo di vivere, come cammino, si apre anche come verità in tutta la sua ricchezza e profondità. Quindi, questa formula è una via, è espressione di una nostra conversione, di un’azione di Dio. E noi vogliamo realmente tenere presente questo anche in tutta la nostra vita: che siamo in comunione di cammino con Dio, con Cristo. E così siamo in comunione con la verità: vivendo la verità, la verità diventa vita e vivendo questa vita troviamo anche la verità.
Adesso passiamo all’elemento materiale: l’acqua. E’ molto importante vedere due significati dell’acqua. Da una parte, l’acqua fa pensare al mare, soprattutto al Mar Rosso, alla morte nel Mar Rosso. Nel mare si rappresenta la forza della morte, la necessità di morire per arrivare ad una nuova vita. Questo mi sembra molto importante. Il Battesimo non è solo una cerimonia, un rituale introdotto tempo fa, e non è nemmeno soltanto un lavaggio, un’operazione cosmetica. E’ molto più di un lavaggio: è morte e vita, è morte di una certa esistenza e rinascita, risurrezione a nuova vita. Questa è la profondità dell’essere cristiano: non solo è qualcosa che si aggiunge, ma è una nuova nascita. Dopo aver attraversato il Mar Rosso, siamo nuovi. Così il mare, in tutte le esperienze dell’Antico Testamento, è divenuto per i cristiani simbolo della Croce. Perché solo attraverso la morte, una rinuncia radicale nella quale si muore ad un certo tipo di vita, può realizzarsi la rinascita e può realmente esserci vita nuova. Questa è una parte del simbolismo dell’acqua: simboleggia - soprattutto nelle immersioni dell’antichità - il Mar Rosso, la morte, la Croce. Solo dalla Croce si arriva alla nuova vita e questo si realizza ogni giorno. Senza questa morte sempre rinnovata, non possiamo rinnovare la vera vitalità della nuova vita di Cristo.
Ma l’altro simbolo è quello della fonte. L’acqua è origine di tutta la vita; oltre al simbolismo della morte, ha anche il simbolismo della nuova vita. Ogni vita viene anche dall’acqua, dall’acqua che viene da Cristo come la vera vita nuova che ci accompagna all’eternità.
Alla fine rimane la questione - solo una parolina – del Battesimo dei bambini. E’ giusto farlo, o sarebbe più necessario fare prima il cammino catecumenale per arrivare ad un Battesimo veramente realizzato? E l’altra questione che si pone sempre è: «Ma possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: «vuoi essere nato o no?». La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no». E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?». Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del «sì» di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita. Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso. E la nostra sfida è vivere questo dono, vivere realmente, in un cammino post-battesimale, sia le rinunce che il «sì» e vivere sempre nel grande «sì» di Dio, e così vivere bene. Grazie. (Papa Benedetto, Lectio al Convegno Ecclesiale Diocesi di Roma, 11 giugno 2012)

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