Juan J. BARTOLOME sdb Lectio Divina"Vi garantisco, che nessun profeta è accettato nella sua terra."

31 gennaio 2016 |4a Domenica T. Ordinario - Anno C | Lectio Divina  Lectio Divina su: Lc 4,21-30
Continuazione dell'episodio della domenica scorsa, il vangelo di oggi ci ricorda la prima predicazione
di Gesù nella sinagoga di Nazareth: davanti ai suoi paesani, durante la riunione settimanale di preghiera, Gesù ardì presentarsi come colui che adempie la Scrittura che lo ha istruito, come colui che ha su di sé una opportunità unica di grazia, come colui che soddisfa tutta la speranza di salvezza sulla quale il popolo di Dio viene nutrito da tempo immemorabile. La reazione dei suoi uditori non può essere più logica. Si domandavano se dovevano credere a ciò che udivano da uno di loro, uno che ben conoscevano, un figlio del popolo come tanti, il figlio di Giuseppe che osava presentarsi come il realizzatore della promessa di Dio.
Se almeno non compiva tra loro uno dei prodigi che, secondo quello che si mormorava, aveva fatto in altri luoghi di Galilea…senza prove attestate, è più che comprensibile che era difficile credergli.
Gesù aveva vissuto tra di loro tanto tempo, senza aver dimostrato il suo potere taumaturgico, senza avere svelato la sua coscienza di essere il figlio di Dio. Sorprendentemente Gesù negò ai suoi paesani quello che non aveva rifiutato agli estranei e non realizzò dei segni che lo accreditavano, e che davano credibilità alle sue parole. Gesù non fece nessun miracolo tra i suoi paesani, perché non credevano alle sue parole.

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga:
"Oggi si è adempiuta questa Scrittura che avete appena ascoltato".
22Tutti espressero la loro approvazione e rimanevano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.
E dicevano:
"Non è costui il figlio di Giuseppe?"
23 E Gesù disse:
"Sicuramente mi reciterete il proverbio: 'Medico, cura te stesso'. Fai qui, nella tua patria quello che abbiamo sentito che hai fatto a Cafarnao.
24 Rispose:
"Vi garantisco, che nessun profeta è accettato nella sua terra.
25C'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, e vi fu grande carestia in tutto il paese; 26Ma a nessuna di loro fu inviato Elia eccetto ad una vedova in Sarepta, nel territorio di Sidone. 27Vi erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu purificato, ad eccezione di Naaman, il Siro ".
28Sentito questo, tutti nella sinagoga furono furiosi 29Si alzarono, lo cacciarono fuori del paese e lo condussero sul ciglio della collina, con l'intenzione di buttarlo giù.
30Ma Gesù passando in mezzo a loro se ne andò.

I. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il testo appare sincero se non si dimentica il suo contesto immediato: appoggiandosi alla Scrittura, Gesù asserisce di proclamarsi il realizzatore delle promesse divine. E non solo legge la Scrittura e la commenta: la compie. Ad una obiezione 'logica' dei suoi compaesani, Gesù reagisce in modo pesante.
La vicenda, sebbene chiara nella sua struttura, non mostra una linea di argomentazione molto logica. Dalla proclamazione di quello che dice Gesù si passa alla domanda sopra la sua origine familiare (Lc.4,22): quello che sopra di lui sanno, fa dubitare di quanto dice. L'ammirazione che causano le sue parole fa aumentare la sua incredulità. Gesù interpreta la domanda come una petizione occulta di un miracolo, di quelli che ricorrono all'esperienza e sapienza di un profeta. Non è la prima volta che Dio attua ciò nel suo popolo: Elia ed Eliseo furono inviati a coloro che meno li aspettavano e meno lo meritavano (Lc 4,24-17). Ebbero una risposta sconsiderata a quello che avevano annunziato: i loro paesani passarono dall'ammirazione all'intento omicida (Lc 4,29). E' tragico costatare che quelli meglio preparati per ricevere Gesù, persero l'opportunità, persero Gesù e si persero.
Allo stesso modo possono agire i cristiani di oggi. Se abbiamo bisogno di prove per accettarlo, o se crediamo di conoscerlo perché ci risulta familiare, corriamo il rischio di perderlo. Chi pone condizioni a Gesù, si pone fuori dalla portata delle sue promesse: non vedrà il miracolo chi pensa di conoscerlo
II. MEDITARE: applicare quello che dice il testo alla vita
Gesù si presenta ai suoi paesani come colui che realizza le promesse di Dio, una pretesa tanto esagerata ha una logica reazione. Pochi possono credergli, essendo, come è, uno di loro. Non si negano, del tutto, di accettarlo. Però necessitano di una prova: chiedono di vedere un segno che si dice abbia realizzato tra quelli che non lo conoscevano tanto bene. Guardando bene, non gli mancavano ragioni: visse tra di loro più tempo, senza aver mostrato il suo potere di fare miracoli né aver fatto conoscere la sua natura di figlio di Dio. Ricordando la missione tra i pagani di due grandi profeti, Gesù li avverte che possono perdere l'opportunità di credergli e di vedere in lui la salvezza attesa. Nello stesso modo possono vedersi ritratti e ammoniti i cristiani di oggi.
Strano questo modo di comportarsi di Gesù! Esige di più da coloro che lo conoscono che dagli estranei, meno dai lontani che dai vicini. Però, per sorprendente che ci può sembrare, qui si nasconde una legge di comportamento di Dio con noi e la ragione, possibile, dello spessore della nostra vita di fede: come i paesani di Gesù, i credenti credono di conoscere troppo bene Dio. E poiché noi immaginiamo di sapere in anticipo quanto potrà dare di se, rimaniamo sempre limitati nelle nostre aspettative davanti a lui.
Diamo per scontato quello che possiamo sperare di un Dio conosciuto da sempre; e ciò ci porta a non poter credere a quello che Lui ci promette. Il nostro sapere sopra Dio è limitato, non è alla nostra portata, tanto come noi lo pensiamo e lo desideriamo, noi non lasciamo che egli sia quello che lui desidererebbe essere per noi. Non gli permettiamo che faccia con noi quello che sarebbe disposto a realizzare, solo perché gli proibiamo che ci sorprenda con le sue promesse, perché gli neghiamo il diritto di farci scoprire oggi quello che ieri non immaginavamo.
La nostra vita di fede risulta annoiata e senza incentivo, perché noi siamo abituati a un Dio che non ci sorprenda...perché ci è troppo conosciuto. Noi non osiamo pensare che Dio colmerà le nostre migliori speranze, perché siamo convinti che non vale la pena averle: diamo per scontato che, nella nostra vita di fede, domani sarà come oggi, il futuro che ci aspetta non sarà molto differente dal passato che abbiamo conosciuto.
Noi non ci rendiamo conto che considerando Dio già conosciuto, possiamo perdere l'occasione di conoscerlo veramente; i paesani di Gesù persero l'opportunità, perché credevano di conoscerlo bene.
Lo stesso rischio stiamo correndo anche noi quando ci abituiamo a Dio e lo rendiamo tanto familiare che non possiamo credere quanto ci promette. Precisamente: perché non siamo riusciti del tutto a godere di quanto ci ha promesso, possiamo sperare che compia le sue promesse.
Ci pare che non abbiamo avuto da Lui tanto bene come speravamo, che sia con noi tanto buono come lo desideriamo. Che lo sia è un motivo in più per pregarlo e di vivere aspettandolo. Come i giudei di Nazareth, il nostro sapere sopra Gesù, il saperlo uno di noi, ci impedisce di conoscerlo come il Dio che desidera stare con noi. E come loro, anche noi andiamo a chiedergli segni straordinari che renda più facile la nostra fede.
Ci sembra ingiusto che non faccia con noi che lo conosciamo dall'infanzia, e che da allora lo conosciamo amico e familiare, alcuni dei prodigi che ha realizzato con gli altri che non lo conoscevano tanto. Non ci rendiamo conto che chiedere segni a Dio è dubitare di Lui, esigere prove per credergli, suppone non dare fede a quanto ci dice; sperare solo in Lui implica il riconoscere che Lui è straordinario sempre, anche quando non esce dall'ordinario.
Come i paesani di Gesù un giorno, anche noi oggi possiamo perdere la parte migliore di Dio, di un Dio che crediamo di conoscer bene, solo perché speriamo di Lui quello che è buono per noi e non quello che Lui considera migliore ed è disposto a donarci. Chiedere segni a Dio esige che si identifica, è obbligarlo che si imponga a noi come Dio. Però è anche il miglior modo di perderlo: a Nazareth, dove gli imposero prove, si privarono della salvezza che offriva a loro.
Dobbiamo accettare Dio per quello che è, per quello che desidera essere per noi, non per come lo desideriamo noi o per quello che desideriamo faccia per noi.
Una buona forma per rimanere senza Dio è rimanere con Lui solo per quello che ci da quando ci serve; dobbiamo accettare Dio nella nostra vita , come Lui è e come desidera essere per noi, e non secondo quello che noi speriamo che sia o come desideriamo che si comporti con noi.
Questo è tragico, e per noi di oggi un serio avvertimento, quello che i paesani di Gesù, che più e meglio lo conoscevano, furono incapaci di riconoscerlo come il loro salvatore e intentarono anche di disfarsi di Lui, non avevano bisogno di Lui, un loro paesano, si videro così negati i prodigi che Gesù stava facendo in tutte le parti. La tentazione di disfarsi di Gesù sorge anche nel nostro cuore quando ci sembra che sappiamo già tutto sopra il Dio in cui crediamo e non temiamo che ci sorprenda con nuove esigenze o con doni nuovi.
La tentazione di sbarazzarci del nostro Dio appare nella nostra vita quando ci sembra che ci stia negando le prove della sua benevolenza, quando ci confrontiamo con altri meno credenti e ci sentiamo accantonati e disillusi. Non è vero che ci domandiamo a cosa serve mantenere la fedeltà a un Dio che non ci dà prova sicura del suo amore? O non è vero che ascolta i lontani, quelli che meno lo conoscono, e maggiormente gli dona grazie? Come i paesani di Gesù un giorno, anche noi stiamo tentando vanamente di disfarci di un Dio che non si piega ai nostri desideri, che non dà prove del suo amore come speriamo, che non serve come noi vorremmo: un Dio così non è utile.
Per nostra disgrazia ci dimentichiamo che è inutile tentare di disfarci di Dio: come Gesù prima del precipizio, Dio si aprirebbe un varco e si allontanerebbe da noi.
Non accettare un Dio come Lui vuole essere per noi, suppone perderlo per sempre, poiché sarà sempre un Dio come vuole essere. Non facciamoci illusioni: se consideriamo Dio come già conosciuto, non ci avvicineremo a Lui; non escludiamo per principio le sue esigenze e neppure chiediamogli segni che Lui non desidera dare. In questo modo avremo la sicurezza, e, a differenza dei suoi paesani, noi non lo perderemo. Stiamo attenti a disfarci di Dio solo perché non ci serve: sarebbe la peggiore disgrazia.
Juan J. BARTOLOME sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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