Mons.ROBERTO BRUNELLI, " Quando crediamo di conoscere gli altri"


 Quando crediamo di conoscere gli altri
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/01/2016)
Vangelo: Lc 4,21-30 
La liturgia propone oggi una delle pagine fondamentali della Bibbia, fonte perenne di ispirazione per chiunque voglia dirsi cristiano. É il celebratissimo "Inno alla carità", cioè all'amore: una pagina da imparare a memoria, o quanto meno stamparsi sul dorso della mano. Lo si trova nella prima lettera di Paolo ai cristiani di Corinto (12,31-13,13).
Passando al vangelo: la prima frase del passo odierno (Luca 4,21-30), "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato", riprende l'ultima della scorsa domenica: continua l'episodio di Gesù nella sinagoga di Nazaret, con l'annuncio-shock che il Messia atteso da secoli era finalmente arrivato, era lui. La reazione dei suoi compaesani, superato il primo stupore, fu di incredulità: come può essere il Messia, l'inviato da Dio a compiere grandi cose, quest'uomo vissuto sempre qui tra noi, senza mai dare segni di essere diverso da noi? Come può riscattare il nostro popolo, questo figlio di Giuseppe,
falegname come suo padre? Si è sentito dire che abbia fatto miracoli a Cafarnao: ebbene, se vuole che gli crediamo li faccia anche qui, nel suo paese, davanti a noi!
Nessuno è un eroe, per il suo cameriere: questo celebre detto di Michel de Montaigne coglie bene il fatto che la familiarità, la consuetudine di vita con una persona dà solo l'illusione di conoscerla, facendo dimenticare che ogni persona è un mondo mai completamente esplorato; ognuno in realtà si porta dentro pensieri, sentimenti e risorse insospettabili, che se hanno occasione di manifestarsi lasciano gli altri quanto meno sconcertati. Tanto più se si manifestano fuori dal consueto ambito di vita, dove spesso sono bloccati proprio dai pregiudizi altrui.
Ai suoi compaesani increduli, in certo modo anticipando Montaigne, Gesù rispose con una frase lapidaria divenuta proverbiale: "Nessuno è profeta in patria", e a dimostrarlo citò due esempi tratti dalla storia d'Israele, non nuova a episodi di incomprensione e rifiuto dei profeti, proprio da parte del popolo cui Dio li aveva inviati. Elia, osteggiato e perseguitato in patria, compì prodigi a favore di una straniera, una povera vedova libanese che invece si era fidata di lui, così come un altro straniero, un generale siriano, aveva dato retta al profeta Eliseo (i due episodi sono narrati rispettivamente nel Primo libro dei Re 17,8-16 e nel Secondo libro dei Re 5,1-14). Ma il monito di Gesù non ebbe effetto: "All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù".
Quella volta i connazionali di Gesù non riuscirono nel loro intento; ma il racconto dell'evangelista suona come un preannuncio di quanto sarebbe accaduto in seguito: rifiutato proprio dai suoi sino alla condanna a morte, egli trovò larga accoglienza ed elargì i suoi benefici di là dai confini del suo popolo, tra gli stranieri, cioè proprio tra coloro che Israele riteneva esclusi dalle amorose sollecitudini di Dio. Perciò l'episodio di Nazaret è anche un invito a considerare che nessuno, a qualunque popolo appartenga, è escluso dalla divina misericordia; si capisce allora quanto artificiose (e perciò ingiuste, e pericolose in quanto fonte di conflitti) siano le barriere che gli uomini si affannano ad erigere tra loro: i muri, i ghetti, i fili spinati, le reciproche esclusioni basate sulla razza, sulla religione, sul censo, sul grado d'istruzione e così via. E al confronto, quanto brilla la Chiesa voluta da Gesù, dove ai vertici, cioè alla santità, possono giungere lo scapestrato e il giusto, l'analfabeta e il sapiente, il re e il popolano, uomini e donne, giovani e vecchi; la Chiesa, che non conosce confini, e nel suo universalismo indica un sicuro cammino verso un mondo pacificato; la Chiesa, dove nessuno è straniero, perché tutti sono figli di Dio.

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