p. Alberto Maggi OSM"QUESTO A CANA DI GALILEA, FU L’INIZIO DEI SEGNI COMPIUTI DA GESU"

II TEMPO ORDINARIO – 17 gennaio 2016
QUESTO A CANA DI GALILEA, FU L’INIZIO DEI SEGNI COMPIUTI DA GESU’ - Commento al
Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Gv 2,1-12
CENTRO STUDI BIBLICI "G. VANNUCCI, 
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato

alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose:
«Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori:
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da
ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono
fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il
banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non
sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo
sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto
molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e
i suoi discepoli credettero in lui.
I vangeli non sono stati scritti per essere letti dalla gente. Perché? Perché la gente, nella stragrande
maggioranza, era analfabeta. I vangeli sono delle opere letterarie, teologiche, spirituali, molto molto
complesse, dense, ricche di significati e venivano inviati in una comunità dove il lettore, cioè il teologo di
quella comunità, non si limitava a leggerlo agli altri, ma lo interpretava.
E per interpretarlo seguiva quelle chiavi di lettura, quelle indicazioni che l’evangelista, l’autore metteva
nel testo. E’ quello che cerchiamo di fare noi, per far fiorire il brano di oggi, il capitolo 2 del vangelo di
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Giovanni, i primi undici versetti, conosciuto come le nozze di Cana. Faremo fiorire questo testo e
vedremo cosa l’evangelista ci vuol dire.
Vediamo subito la prima indicazione che l’evangelista infatti pone. Il terzo giorno vi fu una festa di nozze
a Cana di Galilea. Il terzo giorno, a un ebreo del tempo, richiamava subito il giorno dell’alleanza, il giorno
in cui Dio a Mosè sul Sinai donò l’alleanza con il suo popolo.
Quindi l’evangelista vuole dire: attenzione tutto questo brano è in chiave dell’alleanza con Dio. E le
nozze! Quest’alleanza tra Dio e i suoi profeti veniva raffigurata attraverso un matrimonio; Dio era lo
sposo e il popolo, Israele, la sposa.
A Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Anche in questo brano tutti i personaggi sono anonimi.
Quando un personaggio è anonimo – l’abbiamo già visto per altri brani del vangelo – significa che è un
personaggio rappresentativo. L’unica persona che in questo brano ha un nome è Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino … nel rito matrimoniale il
momento culminante è quando lo sposo e la sposa bevono da un unico calice di vino, il vino rappresenta
l’amore. Ebbene qui c’è un matrimonio dove manca l’elemento più importante, manca il vino.
La madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». La madre di Gesù che pure apparteneva alle nozze, non
dice, come ci saremmo aspettati: “Non abbiamo vino”, ma dice “Non hanno vino”, la madre di Gesù
rappresenta quell’Israele fedele che ha sempre conservato questo amore con Dio. E la risposta di Gesù
può sembrare strana, addirittura sgarbato, se pensiamo è rivolta da un figlio alla madre.
E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Ma vediamo anche qui di
comprendere che cosa l’evangelista vuole esprimere. “Donna” significa “moglie, donna sposata”. Sono
tre i personaggi femminili ai quali Gesù in questo vangelo si rivolge con questo appellativo. Sono le
immagini delle spose di Dio.
Per cui la madre di Gesù rappresenta la sposa fedele dell’Antico Testamento; l’altro personaggio
femminile al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna”, cioè “moglie, donna sposata”, è la donna
samaritana, cioè l’Israele adultero che lo sposo riconquista con un’offerta ancora più grande d’amore. E,
infine, in questo vangelo l’ultimo personaggio al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna” sarà
Maria di Magdala, che rappresenta la sposa della nuova alleanza.
Allora Gesù richiamando la sua caratteristica di sposa fedele dice: “Che vuoi da me”? Cioè che cosa ci
importa? Non è ancora giunta la mia ora”.
La madre di Gesù crede che il messia vada ad annunciare nuova vita alle antiche istituzioni. Ma Gesù non
è venuto a mettere nuova vita nelle antiche istituzioni, ma a formularne una nuova, che adesso
vedremo.
Quindi Gesù dice: “Non ci interessa questo”. Ma sua madre disse ai servitori… Il termine diaconi, coloro
che liberamente, volontariamente, per amore, si mettono a servizio, e qui l’evangelista mette in bocca
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alla madre quando nel libro dell’Esodo aveva risposto il popolo a Mosè: “Quanto il Signore ha detto noi
lo faremo”.
Qui sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Quindi vede in Gesù come il nuovo
legislatore, il nuovo Mosè che è da ascoltare. E qui la descrizione ora va all’ambiente.
Vi erano là sei anfore di pietra, non anfore di coccio, come a volte nelle rappresentazioni i pittori ci
fanno vedere, ma sei anfore di pietra, quindi grosse inamovibili, di pietra come le tavole della legge. Per
cosa dovevano servire? Per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a
centoventi litri. Quindi in questo ambiente familiare ci sono queste anfore che dovevano contenere ben
seicento litri d’acqua per la purificazione.
Ecco perché non hanno vino. Una religione che inculca il senso di colpa, di indegnità, che fa sentire
l’uomo sempre bisognoso di chiedere perdono, di purificarsi, sempre impuro, è una religione che
impedisce di scoprire e di accogliere l’amore di Dio. Ecco il bisogno sempre quindi di purificarsi.
E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora
prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». C’era un incaricato. Questi pranzi di nozze
duravano giorni, a volte anche una settimana. E c’era un incaricato che doveva stare attento
all’ordinamento, a che non mancassero i cibi e soprattutto il vino.
Costui non se ne occupa. Qui rappresenta i capi religiosi che non si occupano e non si preoccupano del
fatto che il popolo non abbia questa relazione con Dio.
Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino… Le anfore non conterranno mai
il vino di Gesù, ma l’acqua diventa vino quando viene versata dalle anfore. Colui che dirigeva il
banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano attinto
all’acqua … e quindi le anfore non contengono mai il vino di Gesù ma contengono l’acqua, – chiamò lo
sposo.
Ma vediamo di comprendere prima della reazione. Cosa significa questo cambio? E’ la nuova alleanza
che Gesù ci propone. Un nuovo rapporto con Dio, non più basato sull’obbedienza alla legge, che fa
sentire sempre indegni e impuri, ma sull’accoglienza del suo amore. Con Gesù l’amore di Dio non è più
concesso per i meriti delle persone, soltanto quelli che lo meritano, ma per i bisogni, quindi concesso a
tutti quanti.
Chiamò lo sposo, e lo rimprovera. «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già
bevuto molto, quello meno buono”. E’ normale. In un pranzo che dura parecchie ore, o addirittura
parecchi giorni, all’inizio si serve il vino buono e poi quello più scadente. “Tu invece hai tenuto da parte
il vino buono finora».
Per le autorità il vino nuovo appartiene al passato. Le autorità sono incapaci di comprendere che il bello
e il buono deve ancora venire. Bene, a conclusione di questo episodio, e qui l’evangelista ci sta dicendo:
“Attenti! Non vi sto raccontando una storiella, ma qualcosa di più profondo”, l’evangelista dice: Questo,
a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria. L’unica volta nella
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quale si scrive che Gesù manifestò la sua gloria. Non viene detto quando Gesù risuscita Lazzaro, un
morto da quattro giorni, ma qui l’evangelista ci dice: “Attenzione! Questo non è un racconto di un’acqua
cambiata in vino o per ospiti già alticci, ma ci parla del cambio dell’alleanza. Non più il bisogno di
purificarsi per accogliere l’amore di Dio, ma accogliere l’amore di Dio, che è quello che purifica l’uomo.





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