Paolo Curtaz, "A Cana"Commento al Vangelo di domenica 17 gennaio


Commento al Vangelo di domenica 17 gennaio 2016
Per iniziare l’anno  Is 62, 1-5; Sal 95; 1 Cor 12, 4-11; Gv 2, 1-12
Giovanni è l’unico che ci parla delle nozze di Cana, il primo evento pubblico di Gesù.

Un matrimonio molto conosciuto fra i cristiani, grazie alla vicenda dell’acqua diventata ottimo vino che ha evitato agli sposi una figuraccia epocale.
Un matrimonio molto strano, però, leggete bene il testo: la sposa è assente e lo sposo, ignaro, viene coinvolto solo per ricevere i complimenti del sommelier. Ma è un miracolo particolare: il primo dei segni nel senso di numero uno, ce ne saranno altri sei, nel vangelo, ma soprattutto nel senso di fondamentale.
Giovanni diffida del termine miracolo cui preferisce quello più pregnante di segno. Ha paura di suscitare nel lettore delle improvvide attese miracolistiche, facendo diventare Gesù una specie di santone e di guaritore.
Questi indizi devono metterci in guardia: in questo brano si parla di un evento realmente accaduto, certo, ma anche di un evento-simbolo dell’agire di Gesù. Non possiamo liquidare il miracolo come una spettacolare manifestazione della potenza dello sconosciuto Nazareno, ma del segno principale in cui Gesù manifesta qualcosa di essenziale.
Giovanni, perciò, propone il segno di Cana come la chiave di interpretazione di tutto ciò che segue.
Il numero uno, appunto.
Per ricordare a tutti i discepoli che l’incontro con Dio è bello come una festa nuziale ben riuscita.

A Cana
Qui a Cana Gesù è un perfetto sconosciuto, è qui perché figlio di Maria.
È lei a conoscere gli sposi, lei ad essere invitata, suo figlio è a traino, come accade ancora oggi nei matrimoni in cui si devono invitare tutti i parenti, fino ai cugini di secondo grado. Ancora una volta gli evangelisti confermano il fatto che Gesù ha vissuto tutta la prima parte della sua vita nell’anonimato e nella marginalità.
Durante il banchetto nuziale, ad un certo punto, viene a mancare il vino. Tutti, capiamo la delicatezza della situazione: un matrimonio senza vino, nella cultura mediterranea, anche dalle nostre parti!, è semplicemente inconcepibile.
Ve lo immaginate un matrimonio a pane ed acqua? Impossibile!
E nessuno sembra preoccuparsene, nemmeno fra i servi, nemmeno il responsabile del banchetto, il maestro di tavola. L’unica persona che si accorge dell’imminente catastrofe è Maria.
Osserva, vede, capisce che qualcosa non funziona.
È Maria che si accorge dell’assenza.

La madre
Giovanni dice alla sua comunità: quando nella vita sta per finire il vino della festa, è Maria la prima ad accorgersene. Quando nel nostro cammino c’è qualcosa che non funziona, quando sta per finire la gioia di vivere, state pur certi che Maria se n’è già accorta.
E intercede. Vede il problema imminente e segnala al figlio il guaio che si sta delineando.
Il vino sta finendo, gli dice.  La segnalazione ha, implicita, una richiesta d’aiuto: fai qualcosa.
Maria sa chi è Gesù. Gli altri no, non ancora, nessuno.
La risposta di Gesù è tagliente e incomprensibile: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».
No, Gesù non è un maleducato, sta coinvolgendo sua madre in una scelta per lei dolorosa.
La invita a riflettere sulla conseguenza della sua richiesta.
È come se Gesù dicesse: tu sei mia madre, ma se inizia l’ora, se inizia il mio svelamento al mondo, d’ora innanzi tu per me sarai solo una donna fra le altre.
Non più madre, unica, ma donna, fra altre.
Ha ragione, il Signore: se compie il segno, se inizia la sua missione pubblica, Maria, come madre, perderà il figlio, lo consegnerà al mondo, smetterà di avere una vita privata.
E Maria accetta, è lei che fa iniziare il tempo di Dio, rinunciando definitivamente al Figlio.
Così accade: nel Vangelo di Giovanni Maria scompare, per riapparire sotto la croce, donata come madre a tutti i discepoli rappresentati, sotto la croce, dal discepolo che Gesù ama.

Odighitria
L’unica parola che Maria pronuncia nel Vangelo di Giovanni è quella che qui rivolge ai servi: fate quello che vi dirà.
A noi servi, a noi discepoli, ancora Maria dice sempre e solamente: fate quello che vi dirà.
Parole che richiamano quelle pronunciate dal popolo di Israele sul Sinai, accettando l’alleanza proposta da Dio: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8).
Maria esiste ed opera in funzione del Figlio, lo indica, come splendidamente raffigurato dalle icone orientali nel modello Odighitrìa, colei che indica la via.
Avvicinarsi a Maria senza approdare a Cristo non ha nessun senso.

Servi inutili
Parliamo di noi servi, adesso.
Giovanni, con grande sottigliezza, non usa il termine greco doulos, ma diakonos, coloro che liberamente e per amore servono gli altri.
Mettiamoci nei loro panni: sono indaffarati nel servire i numerosi invitati e una gentile signora li invita ad ascoltare quello che suo figlio sta per chiedere. Devono riempire d’acqua fino all’orlo sei giare di pietra, ciascuna può contenere fra 80 e 120 litri, poi attingere e portare ad assaggiare… l’acqua, al maestro di tavola, una specie di sommelier.
Come i pastori, l’ordine viene ribaltato: il servo inutile diviene essenziale.
L’umile è posto sul trono.
Pur svolgendo controvoglia il loro compito, contribuiscono alla riuscita della festa.

Anche noi possiamo essere come loro, restando fedeli al compito che ci è assegnato, vivendo la nostra appartenenza alla Chiesa con convinzione e autenticità.
Anche la nostra fede cristiana appare stanca e scoraggiata e la tentazione di gettare la spugna è davvero forte. Insistere, invece, compiere anche gesti all’apparenza inutili, continuare a riempire le giare, anche se incomplete, anche se imperfette, rende possibile il miracolo.
È Dio che trasforma l’acqua della quotidianità e della noia nel vino della gioia, ma ha bisogno della nostra collaborazione.
Ecco il segno principale, il miracolo numero uno, quello da cui scaturiscono tutte le altre azioni del Maestro Gesù: Dio prende l’iniziativa per rivitalizzare la stanca relazione con l’umanità, per renderla nuovamente entusiasmante, per trasformare l’acqua in vino.






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