Abbazia Santa Maria di Pulsano LECTIO DIVINA DOMENICA «DELLE TENTAZIONI DEL SIGNORE»

DOMENICA «DELLE TENTAZIONI DEL SIGNORE»
I di Quaresima C
Luca 4,1-13; Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13
Antifona d’Ingresso Sal 90,15-16
Egli mi invocherà e io lo esaudirò;

gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita.
Già dal primo testo liturgico, nell’antifona d’ingresso, il Sal 90,15ac.l6a, DSap. risuona l’ottimismo. Questo Salmo, conosciuto come il Qui habitat, era molto pregato in ogni caso di necessità e dal pellegrino che recatosi al Tempio di Gerusalemme trascorreva la notte entro il suo recinto (v. 1) attendendo un oracolo di JHWH. Mettendosi sotto la protezione divina il fedele troverà salvezza e liberazione dal nemico, dalla malattia e da ogni pericolo (vv. 3-8.10-13).
Questo salmo è particolarmente conosciuto nel N.T. (cf Mt 4,6: Mc 16,18; Lc 10,19) e il Satana lo utilizza per tentare Gesù che reagisce ribadendo che la fede nella provvidenza divina esclude ogni aspetto magico e non può essere un pretesto per “costringere” il Signore a compiere miracoli. La liturgia giudaica e cristiana (nella Compieta dopo i secondi Vespri della Domenica) lo propone come preghiera serale.
Nei versetti liturgici il Signore proclama per bocca di Cristo, l’Orante dei Salmi in Quaresima, che esaudirà sempre chiunque Lo invocherà (il giusto sofferente, Gb 22,27 e Ger 33,3; il giusto caritatevole, Is 58,9), tanto più il Figlio, il sommo Epicleta del Padre nello Spirito Santo (v. 15a). Il Signore lo sottrarrà da qualunque pericolo, e gli conferirà la sua gloria (v. 15c; Mt 4,11, gli Angeli che si accostano come al Re e servono come Dio il Tentato vittorioso). È la gloria che il Padre destina al Figlio (Gv 12,26), a cui il Figlio ha diritto (Gv 17,1-3), a cui il Figlio ammette donando lo Spirito Santo.

Canto all’Evangelo Mt 4,4b
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

La citazione di Mt 4,4b. (tratta da Dt 8,3) nel canto all’Evangelo e nell’antif. alla comunione dà tono a tutta la Quaresima, e a tutta la celebrazione della I Dom. di Quaresima. Letta nel contesto dell’Evangelo odierno, ne dà l’orientamento, accentuando il senso forte della Parola Pane, «il Corpo di Cristo che si mangia ascoltando» (i Padri), il Cibo divino sempre indispensabile, ma tanto più nella tensione spirituale quaresimale.
Nell’antif. alla comunione la Parola si mangia «con la bocca del cuore nostro» (sempre dai Padri):
1. Essa è Corpo di Cristo che nutre.
2. Si prolunga nel Pane e nella Coppa.
3. È nel Corpo di Cristo ch’è la Chiesa Madre.
Induce ad accettare questa triplice unitaria divina Comunione il Dono dello Spirito Santo, il solo che ponga in comunione con il Signore, la Parola del Padre, la Testa del suo Corpo sacrificale ch’è la Chiesa Sposa. Si rende autentica questa celebrazione di Lui accettandone le realtà e le conseguenze di vita. La Vittoria di Cristo Tentato diventa la vittoria di tutti i fedeli. Tale sano ottimismo fa proseguire verso la Casa del Padre, che attende tutti i figli battezzati.
La serie domenicale quaresimale si apre con una pagina temibile della Vita del Signore presentando l’ottimismo evangelico (sia nelle letture che nelle preghiere eucologiche): i fedeli nutriti dalla Parola divina nella totale fiducia in Dio Salvatore con il dono dello Spirito Santo possono seguire Gesù, l’Adamo nuovo vittorioso nel Regno di gloria.
L'esame della pericope di oggi sulle tentazioni del Signore deve anzitutto considerare la contiguità temporale con il Battesimo dove il Padre consacra e invia in missione agli uomini il Figlio suo. Vale a dire che il battesimo non introduce in uno stato di sicurezza, di tranquillità, ma in uno stato di prova, inizia un tempo di lotta.
L’evangelista Luca fin dall’inizio annota che Gesù è «pieno (plḗrēs) di Spirito Santo» e l’aggettivo "pieno" indica che lo è per natura non come accade per altri personaggi intorno a Lui che sono stati “riempiti” passivamente di Spirito Santo (cfr Elisabetta 1,41 e Zaccaria 1,67) e subito lo Spirito Santo conduce Gesù nel deserto.
Tutti e tre gli anni, con sapienza pastorale, la liturgia apre il tempo della Quaresima con l’evangelo di Gesù nel deserto. La Quaresima di sua natura è simile al deserto che fa da fondale al racconto evangelico delle tentazioni di Gesù. Dire deserto sembra dire solitudine e silenzio; in realtà il deserto biblico evoca la lotta, la convivenza austera con la natura.
Il deserto per Israele è la memoria incancellabile di un esodo di liberazione, che lo ha fatto crescere come popolo; per i profeti è una scuola severa, che li ha attrezzati per la missione. Come il deserto riduce l'uomo all'essenziale, spogliandolo del superfluo e delle vanità e proiettandolo verso alcune poche cose fondamentali (acqua, cibo, strada giusta, riparo dal sole), così la Quaresima ci vuole riportare alla sostanza dell'esistenza cristiana.
Le tre letture liturgiche sono legate tra loro da un tema sottile e tuttavia basilare, radice dell'esperienza personale e comunitaria del popolo di Dio, quello della fede professata.
Il brano del Deuteronomio (I lett) è il più antico Credo di Israele; esso è ambientato all'interno della liturgia primaverile delle primizie. La parte del deserto coltivata offre i suoi primi prodotti e l'ebreo, sacrificandoli a Dio, proclama la sua fede nel Creatore e Signore della storia.
Il Credo che egli professa ruota attorno a tre articoli di fede:
1. la vocazione dei patriarchi, «aramei erranti»;
2. il dono della libertà dopo la pesante esperienza dell'oppressione egiziana;
3. il dono della terra promessa, cioè della patria libera «dove scorre latte e miele».
La più completa formula di fede nella Bibbia è il ringraziamento per la presenza di Dio accanto a noi, per il suo svelarsi nel quotidiano, per il suo intatto e "viscerale" amore per l'umanità, per le sue opere di salvezza che solo gli occhi puri riescono a scoprire.
Dal Credo di Israele passiamo alla professione di fede citata da Paolo nella lettera ai romani. L'apostolo qui si fa eco della Chiesa che proclama la sua fede pasquale attraverso due formule parallele:
1. la prima è «Gesù è il Signore» [da ricordare che nella versione greca dell’A.T. il termine "Signore" (Kyrios) rendeva il nome sacro e impronunziabile di Dio stesso, JHWH]
2. la seconda formula è ancora più esplicita: «Dio lo ha resuscitato dai morti», che è l'annuncio gioioso della Pasqua.
Questa fede è aperta a tutti - dice Paolo - e dev’essere professata con la «bocca» e col «cuore», cioè con l'adesione totale della coscienza («cuore») e con quella dell'esistenza e della testimonianza («bocca»).
Bocca e cuore, liturgia e vita non sono separabili, come spesso avviene in forma ipocrita.
La tradizione che Gesù era stato tentato o messo alla prova era molto diffusa nel cristianesimo primitivo. È enfaticamente rievocata da Eb 2,14-18 e 4,15. Marco sintetizza le tentazioni in due brevi versetti (1,12-13). Giovanni fa qualche accenno alle tentazioni qua e là in tutto il ministero attivo di Gesù (Gv 6,14-15; 7,1-9; 12,27-28). Matteo e Luca prendono l'elaborazione di questa tradizione e, seguendone il collocamento di Marco nel racconto, utilizzano la vivida descrizione del dibattito scritturistico di Gesù con il diavolo per rivelare il carattere interiore della figliolanza di Gesù espressa in termini di semplice obbedienza.
Nel racconto delle tentazioni abbiamo la professione di fiducia che il Cristo pronunzia tre volte nei confronti del Padre e del suo progetto di salvezza.
Le tentazioni di Gesù (il terzo ed ultimo elemento del trittico presinottico: predicazione del Battista; battesimo e tentazioni) sono descritte nei dettagli da Luca e Matteo (4,1-11), mentre Marco (1,12-13) vi fa solo un brevissimo accenno. Luca poi si discosta anche da Matteo, e assai sensibilmente, nell'interpretazione teologica che ci offre.
Alcuni autori fanno notare come in Matteo il racconto guardi al passato di Israele e intenda mostrare come i fatti dell’Esodo si ripetano nella vita di Gesù. La narrazione di Luca invece è piuttosto orientata verso il futuro, cioè verso i fatti pasquali nei quali si decide e si compie, non senza il ritorno del tentatore, l'opera della salvezza.
In dettaglio possiamo notare:
1. Luca sottolinea il rapporto tra tentazione e battesimo di Gesù con due aggiunte nel primo versetto (e lo fa proprio perché egli ha intercalato la genealogia): pieno di Spirito Santo e si allontanò dal Giordano. Più tardi, all'inizio della predicazione di Gesù (4,14ss) Luca richiamerà di nuovo il fatto che Gesù ha ricevuto lo Spirito Santo, per dire che anche l'inizio della predicazione di Gesù fa seguito al suo battesimo.
2. Luca esprime chiaramente il rapporto tra le tentazioni e la passione di Gesù (v. 13 dove si dice che satana si allontanò per ritornare al tempo fissato). Il riferimento va esattamente a Lc 22,3.53. Satana, per ora, si allontana dalla scena della vita di Gesù (non così per Mt 16,23) per ritornare nel momento finale e più decisivo della passione. Nel frattempo invece, secondo Luca, Satana agisce sui discepoli con varie tentazioni: cfr. Lc 8,13; 11,4; 22,40.46.
3. l'ordine delle tentazioni ha una curiosa inversione nella seconda e terza scena rispetto al parallelo di Matteo: per Luca il vertice della tentazione non è «il monte molto alto» come per Matteo ma Gerusalemme, la città verso la quale è orientato tutto l’evangelo lucano. È noto, infatti, che l'opera di Luca si apre e si chiude nel Tempio di Sion e ha il suo cuore (cc. 9-19) in quel lungo itinerario di Gesù verso il suo destino. Gerusalemme, secondo Luca è il luogo nel quale deve avverarsi l'esodo di Gesù (Cfr. 9,30-31); qui deve ritirarsi il demonio, proprio perché qui egli ritornerà all'attacco per provocare l'ultima prova.
Il passo mostra che Luca concepisce la lotta tra Dio e il potere del male come un dissidio tra due regni. Il diavolo esercita una reale «autorità» (exousia) su quelli che egli governa. E il suo regno-ombra scimmiotta quello di Dio, consentendogli, nella sua sfida contro questo Messia, di falsificare la moneta del regno di Dio, con l’offerta di seduzioni fin troppo reali per un'ambizione messianica in quel travagliato luogo e periodo. Il lettore deve comprendere che, vincendo questa battaglia del cuore assolutamente fondamentale, le parole e le opere del Messia che seguono rappresentano in effetti un'operazione di ripulitura: «Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11,20). L'idea che l'incontro vuole esprimere pertanto è che Gesù è un vero ministro del regno di Dio, sottomesso a colui che gli ha conferito l'incarico (Lc 10,16), di modo che in tutto ciò che fa «Dio era con lui» (At 10,38).
Non c'è altro da aggiungere circa la tripartita struttura del racconto, se non che si tratta di una composizione tipicamente folcloristica, e che è un sinistro presagio del triplice rinnegamento di Pietro in 22,54-62 e della triplice derisione di Gesù sulla croce (23,35.37.39). Per quanto riguarda il contenuto delle tentazioni, ciascuna interessa l'esercizio di un potere concreto: la capacità teurgica di trasformare gli elementi del creato, il dominio politico e militare sugli uomini e la capacità di forzare la mano a Dio nel proteggerci. Al lettore ellenistico le tentazioni presentano l'immagine delle tre categorie di vizi:
1. ricerca del piacere,
2. attaccamento ai beni materiali,
3. desiderio di gloria.
Il rifiuto di Gesù di questi allettamenti lo farebbe identificare con una persona retta, un saggio veramente degno di insegnare la virtù.

Esaminiamo il brano

v. 1- «Gesù»: non è chiamato messia o con altro titolo; l’autore sembra voler porre in evidenza che quanto sta per esporre e le conclusioni teologiche che ne derivano, riguardano quel Gesù partorito da Maria e del quale ha esposto gli eventi della nascita e del battesimo.
È l'uomo come noi che sta per essere tentato; inserito nella storia di tutta l'umanità ciò che accadde a Gesù riguarda tutti noi (Cfr. 3,23-38 la genealogia di Gesù).
«pieno di Spirito Santo»: È il modo caratteristico di Luca di designare le figure profetiche nel suo racconto (cf 1,15.41.67; At 2,4; 4,8.31; 6,3.5; 7,55; 11,24; 13,9); e, al pari di Simeone (2,27), Gesù è guidato dallo Spirito.
«fu condotto dallo Spirito nel deserto»: Gesù non và nel deserto di sua spontanea volontà; anche Luca come Matteo sottolinea che l’iniziativa del ritiro di Gesù nel deserto risale allo Spirito. Quello stesso Spirito che rese possibile la sua generazione (Lc 1,35) ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre (Lc 3,21s), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto (Dt 8,2). Secondo la tradizione, teatro delle tentazioni fu la zona desertica intomo a Gerico (deserto della Giudea), non lontano dal luogo del battesimo (zona, sempre secondo la tradizione, individuata con El Maghtas, circa 9 Km a est-sud est di Gerico). I visitatori di Telks-Sultan (la Gerico dell’A.T.) godono un’ottima vista del tradizionale Monte delle Tentazioni (la tradizione risale al VII secolo) sulla cui cima (secondo Matteo, Luca infatti non precisa, dice solo che Gesù fu portato in alto) Satana offrì a Gesù tutti i regni della terra a patto che si prostrasse per adorarlo.
Il nome arabo della montagna, Jabal Quruntul, deriva evidentemente dalla parola francese quarante introdotta dai crociati in ricordo dei quaranta giorni delle tentazioni.
v. 2 - «quaranta giorni»: È un'allusione ai 40 anni della generazione del deserto; il tempo della prova; è anche il tempo dell'attesa prima della rivelazione.
Gesù segue l'esempio dei Padri: Mose aveva digiunato 40 giorni sul monte, alla presenza del Signore, per ricevere la sua Legge santa (cfr Es 34,28; Dt 9,9); spezzate le tavole per il grande peccato del Vitello d'oro, ripetè lo stesso digiuno (Dt 9,18); Elia camminò e digiunò per 40 giorni e 40 notti prima di ricevere la rivelazione di JHWH sul monte Oreb.
«fu tentato»: in gr. peirázō; tentare nel linguaggio biblico ha un duplice significato: «mettere alla prova, saggiare» e «far deviare dalla retta via».
Nel nostro brano il secondo significato prevale, ma non si esclude del tutto il primo, a motivo della velata allusione a Dt 8,2.
«dal diavolo»: in gr. diabolon significa «accusatore» (da dia-ballo = abbindolo con parole, accuso) perché davanti a Dio (cf. Gb 1,6) mette in luce reali o supposte colpe o cattivi propositi dell'uomo.
v. 3 - Ecco la prima delle tre tentazioni: l'avere, cioè l’uso del potere per se; tre è il numero perfetto, la sintesi di tutte le possibili tentazioni.
«Se tu sei Figlio di Dio»: proclamato al battesimo "Tu sei", ecco il dubbio "se".
È la radice di ogni tentazione anche per noi, resi da Dio veramente suoi figli, battezzati e segnati dalla Croce di lui. "Figlio di Dio" è detto proprio dai demoni (8,28); dai discepoli (Cfr. Mt 14,33) e da Pietro (Mt 16,16) ; è la domanda del sommo sacerdote (Cfr. Mt 26,63 e Mc 14,61) a cui Gesù risponde con decisione ed estrema chiarezza; è la proclamazione finale del centurione sotto la Croce (Cfr. Mt 27,54 e Mc 15,39).
«dì»: attivo imperativo aoristo positivo: ordina di dare inizio a un'azione nuova. La parola in Oriente ha una forza creatrice e può dare origine anche a ciò che ancora non esiste: Dio dice per creare (Cfr. Gen 1,3.6.9. ecc.);Gesù dimostrerà con i fatti (cfr. Mc4,39, obbedienza immediata del mare e dei venti) di avere parole di una potenza senza limiti (in ebraico parole di vita eterna, Gv 6,68).
«a questa pietra»: il singolare è proprio di Luca, mentre Matteo usa il plurale; l'impossibilità di una tale azione non riguarda certo il numero delle pietre: chi è capace di trasformare non è fermato certo dal numero.
v. 4 - «rispose»: Gesù usa la parola, ma delude il tentatore; risponde in modo tagliente rimandando alla sola Parola divina.
«Sta scritto»: ossia alla lettera, «è stato scritto da Dio» (passivo della Divinità, usato per non nominare il nome divino). Gesù contrappone alla tentazione la riflessione e l'ammonimento di Mose ad Israele proprio riguardo a quell'episodio (Dt 8,3); Gesù sa che ogni parola di Dio è promessa che non viene mai meno.
«non di solo pane»: che vuol dire anche di pane, ma il "pane" primo è l'obbedire a Dio e il fidarsi di lui. Dio non è in alternativa al pane e non sottrae nulla all'uomo, anzi gli dà tutto perché è sua creatura. Aver suggerito questa alternativa falsa è l'astuzia del nemico che vuole rovinare l'uomo. Dio e la sua Parola non si pongono in rapporto di antagonismo mortale con l'uomo, bensì in rapporto di priorità vitale col resto; quando nel «Padre nostro» preghiamo per il pane, riconosciamo che il nostro pane è da lui, ed è infine lui, stesso la nostra vita.
vv. 5-7 - A questo punto Luca dà per seconda quella che per Matteo è la terza tentazione: la tentazione del potere. Obiettivo della tentazione è l’acquisto di un potere che non faceva parte del programma messianico e salvifico stabilito da Dio per il suo Figlio.
Si tratta di un potere di tipo politico e Luca è portato a sottolineare che questo tipo di potere viene direttamente da colui che è chiamato «il principe di questo mondo». Usare i mezzi del nemico, significa già lavorare per lui, il cui fine è far usare all’uomo tali mezzi, che producono il male.
«se ti prostri dinanzi a me»: (= adorerai) Il verbo latreuó significa «servire», ma può anche avere il senso cultico usato qui da Luca di «rendere culto» o «adorazione» (Lc 1,74; 2,37; At 7,7.42; 24,14; 26,7; 27,23). Il diavolo chiede ben più della fedeltà politica; vuole l'adorazione. La risposta di Gesù deriva da Dt 6,13: un ordine perentorio inserito nel contesto del rifiuto di qualsiasi altro dio all'infuori di Jahvè. Si pecca di "idolatria" quando si conferisce il carattere di assoluto e necessario a qualcosa che non è Dio; quando l'uomo assolutizza qualunque realtà al di sotto di Dio: la legge, l'ordine, la proprietà, il lavoro, la produttività, il consumo, il piacere, il benessere, la libertà, la scienza, lo stato, la chiesa, le varie ideologie ecc. I mezzi, anche quelli buoni, diventano negativi se assolutizzati.
v. 8 - «Sta scritto...»: la risposta di Gesù ispirata a Dt 6,13 si oppone diametralmente a questo modo di usare il potere ed è da collegarsi a Es 32,6, dove si parla del culto idolatrico del vitello d'oro, il dio visibile e disponibile che Israele si era costruito e dovette trangugiarsi (Es 32,20; e 1 Cor 10,7).
v. 9-11 - La terza è la tentazione più diabolica, ammantata anche dalle parole della Scrittura.
Il diavolo mostra di conoscere perfino i testi «messianici» e di saperli applicare; cita il Sal 91(90),11a. 12ab (il salmo responsoriale), un salmo didattico sapienziale e l'applicazione al Messia calza a pennello, beninteso quello immaginato dal diavolo.
Gesù è «la Parola Vivente» del Padre; egli è il contenuto della Scrittura; la conosce solo lui e la sa applicare solo lui. Con pazienza respinge la terza tentazione citando ancora la Scrittura, questa volta dal Deuteronomio cap. 6, celebre contesto dello Shema’Jisrael!, «Ascolta, Israele!», che inculca il precetto dell'amore verso il Signore unico, che è fedele e non va tentato come avvenne a Massah (Es 17,7).
Gesù ha subito nuovamente questa stessa tentazione durante la passione (cfr Mt 26,51-54).
“Salva te stesso” sarà il tragico triplice ritornello della tentazione che risuona ai piedi della croce (23,35.37.39).
v. 9 - «a Gerusalemme»: Mt 4,5 invece ha «la città santa». L'interesse geografico di Luca fa di questa tentazione il punto culminante.
v. 10 - «ti custodiscano»: Luca aggiunge queste parole da LXX Sal 90,11 che invece Mt 4,6 omette. Riportando l'ordine per intero, Luca crea un contesto migliore per la citazione successiva.
v. 11 - «perché il tuo piede non inciampi»: C'è un astuto argomentare del tipo qal wahomer (dal minore al maggiore) implicito nella citazione del diavolo. Se Dio ordina agli angeli di proteggere Davide (Sal 90,1) dall'inciampare nelle pietre, quanto più Dio non dovrà proteggere il Messia, che è «Figlio di Dio», se si butta a capofitto dalla parte più alta del Tempio?
v. 12 - «non tenterai»: la risposta di Gesù viene ancora dalla Bibbia: Dio va obbedito, non tentato; non deve esibirsi nei segni che chiediamo per la nostra sfiducia nella sua santità. La nostra vita è salva solo se ci si rimette a lui, alla sua giustizia che grazia.
v. 13 - «si allontanò per ritornare al tempo fissato»: dopo aver esaurito ogni tipo di tentazione che chiude a Dio, il diavolo si allontanò. Luca annotata preziosamente per noi la breve espressione áchri kairoû (= per un certo tempo) che è densa di significato.
«kairós»: è il «tempo per la salvezza» concesso da Dio, è il tempo della Croce sotto la quale il diavolo farà ripetere le tre tentazioni.
Colui che al momento del battesimo era stato proclamato “figlio amatissimo” ora e fino alla Croce mostra che cosa vuol dire essere figlio. E cioè, come non sia una situazione tranquilla, statica, acquisita una volta per sempre, ma al contrario, una volontà da riaffermare e da riconquistare ogni giorno. Essere figlio di Dio è un impegno cui si può essere fedeli solo vincendo le tentazioni dell’autosufficienza, della potenza e della paura.
Nell'ambito del simbolismo biblico, naturalmente, vi sono altri e più profondi segnali che sono generati dalle sfide demoniache. I quaranta giorni di girovagare nel deserto senza cibo richiamano il girovagare del profeta Elia (1 Re 19,8) e del suo prototipo Mose, che digiunò quaranta giorni prima di mettersi a scrivere le parole dell'alleanza (Es 34,28). Ma il motivo delle tentazioni ricorda soprattutto il peregrinare d'Israele nel deserto del Sinai per quarant'anni (Dt 8,2; Sal 94,10; At 7,36). Quel popolo era stato definito «figlio di Dio» (Es 4,22; Os 11,1), ma «mise alla prova il Signore» ripetutamente (Nm 11,1-3; 14,1-3; At 7,39-41), nostalgico del proprio passato più piacevole o ansioso di avere un futuro più sicuro. Come Dt 8,2 fa chiaramente intendere, tuttavia, l'esperienza nel deserto è stata anche il mezzo usato da Dio «per [...] metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi».
Sia Matteo che Luca mostrano che Gesù è, nell'animo, un Figlio veramente obbediente. Nel deserto, dove nessuno aveva modo di osservarlo e dove sono state messe alla prova le sue disposizioni interne, messe a nudo dalla vera fame, Gesù ha scelto non se stesso, ma il servizio di Dio. Gesù, in risposta alle due prime lusinghe del diavolo, cita Dt 8,3 e 6,13, appellandosi alla stessa Torah per asserire in primo luogo che la vita umana ha bisogno di ben altro che la semplice sussistenza fisica (anche se procurata in modo miracoloso), e in secondo luogo che la sottomissione è dovuta soltanto alla suprema fonte di ogni forma di vita, il Dio creatore (e non al più appariscente surrogato dell'idolatria).
Il fatto che Luca ambienti la terza tentazione a Gerusalemme è indice non solo del suo interesse geografico per la città, ma ancor più di una delicata sensibilità spirituale. La terza tentazione è quella più impegnativa, perché in essa viene minata la base stessa della posizione di Gesù. Sul punto più alto del Tempio, il diavolo prende i testi della Torah (Sal 90,11-12) per proporre lo sconcertante suggerimento che Gesù verifichi la propria figliolanza a fronte della promessa di Dio di proteggerlo. Molto astuto: poiché, cos'altro è l'obbedienza a tutta prova del servo se non qualcosa di molto simile a questo salto nel buio? Ma Gesù non si lascia allettare da questa vertigine. Riprende il testo centrale di Dt 6,13: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» non solo per mettere a tacere il tentatore, ma anche per fare un'autentica dichiarazione di fede. Gesù non ha nessuna intenzione di forzare la mano al Padre. Lui vuole essere il Servo che «ascolta come gli iniziati» (Is 50,4) e che «cammina nelle tenebre, senza avere luce», eppure ha fiducia «nel nome del Signore» (Is 50,10), di modo che in seguito, da un altro posto elevato, egli può gridare mentre sta spiccando il salto, questa volta adattando a modo suo le parole del Salmo: «Mi affido alle tue mani» (Sal 30,6).
Possiamo leggere questo intero passo contro lo sfondo della turbolenza politica e delle aspettative messianiche popolari esistenti nella Palestina del I secolo, e renderci conto che, secondo la visione di Luca, Gesù ha decisamente rifiutato l'opzione della visione violenta, militare e zelota del Regno di Dio in Israele. Ma il significato delle tentazioni è ancora più profondo per i lettori cristiani di Luca, i quali hanno qualcosa da imparare circa la propria esperienza personale dalla decisione cosciente del «Cristo Signore» di scegliere un altro modo di essere il Messia che non sia quello della violenza, un Messia che ha rifiutato il dominio sulla natura per soddisfare il proprio appetito, il dominio sull'uomo per amore della gloria e la forzatura della volontà di Dio per la propria sopravvivenza, preferendo invece la «via della pace» (1,79; 2,14.29; At 10,36) del servo/profeta di Isaia, come rivelano immediatamente le parole che rivolge al popolo.
Il racconto delle tentazioni di Gesù non è dunque una favola per bambini, né un pio racconto edificante, ma al contrario gli evangeli ci suggeriscono che ciò che Gesù ha provato tocca ad ogni uomo. La prova sarà ormai il clima di ogni fede: chi sarà provato come lui, sarà figlio come lui.

II colletta:
Signore nostro Dio,
ascolta la voce della Chiesa che t'invoca nel deserto del mondo:
stendi su di noi la tua mano,
perchè nutriti con il pane della tua parola
e fortificati dal tuo Spirito,
vinciamo col digiuno e la preghiera
le continue seduzioni del maligno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…


Abbazia Santa Maria di Pulsano

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