Carla Sprinzeles "L'amore è già donato, non è da conquistare."
Commento su Gs 5,9-12; Lc 15,1-3.11-32
Carla Sprinzeles
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (06/03/2016)
Visualizza Lc 15,1-3.11-32
Oggi cerchiamo di toccare con mano la gioia che Dio procura ai suoi figli, una gioia che nasce dalla
sua misericordia.
L'offerta di Dio è la riconciliazione: si tratta di una vera trasformazione interiore e non solo, di un cambiamento profondo dentro di noi.
Per questo occorre energia nuova, che possiamo solo invocare. In quanto cristiani siamo chiamati a portare nel mondo l'energia riconciliante, in un mondo pieno di forze disgreganti e di contraddizioni mortificanti.
GIOSUE' 5,9-12
La prima lettura ci parla di un Dio che vuole la gioia di Israele.
E' tratta dal libro di Giosuè e ci parla dell'approdo nella terra promessa.
La schiavitù rimane solo un ricordo doloroso, ma Dio ha voluto porvi fine attraverso il suo servo Mosè. Nella sua peregrinazione nel deserto, Israele ha avuto modo di esperimentare la bontà di Dio in molti modi: la nube che lo precedeva, la manna, le quaglie che lo hanno sfamato, l'acqua donata, quando ormai si sentiva morire di sete.
Ora entrando nella terra di Canaan, tutte le promesse si compiono.
Celebrare la Pasqua significa allora riconoscere la bontà di Dio ed esprimergli tutta la propria gratitudine.
La memoria di ciò che è accaduto non può essere cancellata dal cuore di Israele.
Il capitolo nuovo della sua storia a cui sta per dare inizio è stato reso possibile da Colui che ha preso a cuore la sua sorte e ha fatto per lui cose grandi.
Incomincia un'altra storia, la storia della presa di possesso della Terra e dello stanziamento.
Una terra ricca di frutti.
La celebrazione della Pasqua pone fine al dono della manna.
La presenza di Dio, da ora in poi, sarà nel dono stabile della terra.
E' però significativo che non sia stato Mosè a introdurre Israele nella terra, ma il suo successore Giosuè.
La promessa di Dio passa di generazione in generazione.
Israele è così chiamato a fare memoria dei quarant'anni vissuti nel deserto, come un tempo importante, il tempo della prova nella fede alla promessa di Dio, e insieme il tempo della relazione profonda con Dio.
Israele si sente così figlio, generato nel deserto dal Dio che lo ha salvato dall'Egitto.
Nella prima Pasqua nella terra dell'attesa, Dio viene celebrato come colui che ha risparmiato il suo popolo dalla morte.
E' la professione di fede nel Dio che libera dalle angosce profonde dell'umanità, legata alla fine, al timore dell'annientamento.
Dio è il liberatore che salva, conserva valore e senso alla vita.
Il suolo fertile, il dono dei prodotti abbondanti della terra, manifestano il rinnovamento che viene inteso come opera di Dio.
Anche l'uomo riprende la sua iniziativa in questa nuova creazione, non si limita più a raccogliere manna, ma collabora con il suo lavoro alla creazione di Dio, con questo conferma l'impegno a mantenere salda la sua fedeltà al Dio che lo ha liberato dagli idoli.
LUCA 15, 1-3; 11-32
Oggi leggiamo la parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso. Noi facilmente ci identifichiamo col figlio minore o maggiore, ma di per sé non è la via giusta di cogliere il messaggio centrale, perché questa parabola viene detta in risposta all'accusa che rivolgevano a Gesù di frequentare i peccatori.
Per il tempo di Gesù era scandaloso, persino Giovanni il Battista, che seguiva le leggi di purità, per accostarsi all'altare, andare al tempio, rimase perplesso, perché la vicinanza, il mangiare insieme era essere contagiato, essere impuro.
Gesù non seguiva queste leggi, le considerava "tradizioni di uomini".
La differenza sostanziale è che i farisei e gli altri consideravano Dio come giudice.
Gesù aveva maturato la coscienza nuova del Dio misericordioso, che offre misericordia gratuitamente, senza chiedere nulla, offre la possibilità di essere liberi anche contro di lui!
Dio offre l'amore, ma può essere respinto.
Questo è importante per noi!
Noi diventiamo testimoni della misericordia di Dio, come quel padre di cui parla Gesù nel Vangelo, come Gesù stesso nella sua vita!
La figura centrale della parabola che Gesù cerca di interpretare vivendo è la figura del padre, il quale rinuncia persino ai suoi diritti per rendere liberi i figli. E li ama a distanza, corre il rischio di essere rifiutato!
Chiediamoci quali situazioni della nostra vita richiedono la testimonianza della misericordia di Dio?
Di fronte al male, di fronte agli errori, secondo il nostro modo di vedere, alle ingiustizie, come ci comportiamo interiormente?
Perché comincia di lì la misericordia. Perché se noi formuliamo giudizi di condanna, se ci mettiamo al di sopra degli altri, moltiplichiamo il male!
Il comportamento degli altri ci contagia e diventa in noi un male più grande.
Condannare gli altri infatti è un male più grande del male che loro fanno, perché significa venire meno alla responsabilità che abbiamo di fronte al male degli altri.
E allora cosa dobbiamo fare?
Proprio attraverso il loro male, investirli con il nostro amore, con la nostra attenzione, con la nostra misericordia.
E' stato l'amore del padre che ha reso possibile il ritorno del figlio, noi dovremmo essere in grado di suscitare questo, con la nosta attenzione, con la nostra misericordia, anche rinunciando ai nostri diritti! Potrebbe sembrare di essere presi per scemi, ma cosa importa cosa pensano gli altri, quando la vita trionfa, il bene si diffonde?
Neppure col pensiero dobbiamo moltiplicare il male.
Neppure con i giudizi, le valutazioni, che a volte diamo pensando di fare il bene!
Noi siamo di fronte a una scelta: o diffondere il bene o diffondere il male, non ci sono atteggiamenti neutri, perché lo stesso non rispondere è già un male di fronte alla responsabilità che abbiamo.
Ma com'è possibile questo tipo di amore misericordioso di fronte al male che a noi che non riusciamo ad avere amore puro, neppure nei confronti dei fratelli, di quelli che ci stanno accanto?
Occorre riconoscere il male nella nostra vita e accogliere l'azione di Dio in noi!
E' una delle forme di abbandono fiducioso in cui consiste la fede.
Occorre che non siamo sicuri della nostra perfezione, come il figlio maggiore, convinti della nostra giustizia!
Quando esperimentiamo la gioia del nostro ritorno, siamo in grado di diventare testimoni dell'amore misericordioso.
Chiediamo di essere capaci di guardare gli altri con occhi diversi, e di essere capaci, di fronte ad ogni male che incontriamo, di immettere forza positiva, di accogliere e trasmettere energia nuova.
Chiediamoci, chi è questo Dio che sembra incoraggiare il male, che non chiede i conti, non fa la predica, non rimprovera, ma bacia e abbraccia il peccatore e fa festa?
L'altro fratello non può immaginare un Dio che non faccia la morale, che non proponga al peccatore di redimersi, che non gli parli di perdono, ma lo reitegri in una dignità mai sognata prima? L'amore è già donato, non è da conquistare.
Credere nell'amore gratuito è sentirsi figli!
Carla Sprinzeles
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (06/03/2016)
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Oggi cerchiamo di toccare con mano la gioia che Dio procura ai suoi figli, una gioia che nasce dalla
sua misericordia.
L'offerta di Dio è la riconciliazione: si tratta di una vera trasformazione interiore e non solo, di un cambiamento profondo dentro di noi.
Per questo occorre energia nuova, che possiamo solo invocare. In quanto cristiani siamo chiamati a portare nel mondo l'energia riconciliante, in un mondo pieno di forze disgreganti e di contraddizioni mortificanti.
GIOSUE' 5,9-12
La prima lettura ci parla di un Dio che vuole la gioia di Israele.
E' tratta dal libro di Giosuè e ci parla dell'approdo nella terra promessa.
La schiavitù rimane solo un ricordo doloroso, ma Dio ha voluto porvi fine attraverso il suo servo Mosè. Nella sua peregrinazione nel deserto, Israele ha avuto modo di esperimentare la bontà di Dio in molti modi: la nube che lo precedeva, la manna, le quaglie che lo hanno sfamato, l'acqua donata, quando ormai si sentiva morire di sete.
Ora entrando nella terra di Canaan, tutte le promesse si compiono.
Celebrare la Pasqua significa allora riconoscere la bontà di Dio ed esprimergli tutta la propria gratitudine.
La memoria di ciò che è accaduto non può essere cancellata dal cuore di Israele.
Il capitolo nuovo della sua storia a cui sta per dare inizio è stato reso possibile da Colui che ha preso a cuore la sua sorte e ha fatto per lui cose grandi.
Incomincia un'altra storia, la storia della presa di possesso della Terra e dello stanziamento.
Una terra ricca di frutti.
La celebrazione della Pasqua pone fine al dono della manna.
La presenza di Dio, da ora in poi, sarà nel dono stabile della terra.
E' però significativo che non sia stato Mosè a introdurre Israele nella terra, ma il suo successore Giosuè.
La promessa di Dio passa di generazione in generazione.
Israele è così chiamato a fare memoria dei quarant'anni vissuti nel deserto, come un tempo importante, il tempo della prova nella fede alla promessa di Dio, e insieme il tempo della relazione profonda con Dio.
Israele si sente così figlio, generato nel deserto dal Dio che lo ha salvato dall'Egitto.
Nella prima Pasqua nella terra dell'attesa, Dio viene celebrato come colui che ha risparmiato il suo popolo dalla morte.
E' la professione di fede nel Dio che libera dalle angosce profonde dell'umanità, legata alla fine, al timore dell'annientamento.
Dio è il liberatore che salva, conserva valore e senso alla vita.
Il suolo fertile, il dono dei prodotti abbondanti della terra, manifestano il rinnovamento che viene inteso come opera di Dio.
Anche l'uomo riprende la sua iniziativa in questa nuova creazione, non si limita più a raccogliere manna, ma collabora con il suo lavoro alla creazione di Dio, con questo conferma l'impegno a mantenere salda la sua fedeltà al Dio che lo ha liberato dagli idoli.
LUCA 15, 1-3; 11-32
Oggi leggiamo la parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso. Noi facilmente ci identifichiamo col figlio minore o maggiore, ma di per sé non è la via giusta di cogliere il messaggio centrale, perché questa parabola viene detta in risposta all'accusa che rivolgevano a Gesù di frequentare i peccatori.
Per il tempo di Gesù era scandaloso, persino Giovanni il Battista, che seguiva le leggi di purità, per accostarsi all'altare, andare al tempio, rimase perplesso, perché la vicinanza, il mangiare insieme era essere contagiato, essere impuro.
Gesù non seguiva queste leggi, le considerava "tradizioni di uomini".
La differenza sostanziale è che i farisei e gli altri consideravano Dio come giudice.
Gesù aveva maturato la coscienza nuova del Dio misericordioso, che offre misericordia gratuitamente, senza chiedere nulla, offre la possibilità di essere liberi anche contro di lui!
Dio offre l'amore, ma può essere respinto.
Questo è importante per noi!
Noi diventiamo testimoni della misericordia di Dio, come quel padre di cui parla Gesù nel Vangelo, come Gesù stesso nella sua vita!
La figura centrale della parabola che Gesù cerca di interpretare vivendo è la figura del padre, il quale rinuncia persino ai suoi diritti per rendere liberi i figli. E li ama a distanza, corre il rischio di essere rifiutato!
Chiediamoci quali situazioni della nostra vita richiedono la testimonianza della misericordia di Dio?
Di fronte al male, di fronte agli errori, secondo il nostro modo di vedere, alle ingiustizie, come ci comportiamo interiormente?
Perché comincia di lì la misericordia. Perché se noi formuliamo giudizi di condanna, se ci mettiamo al di sopra degli altri, moltiplichiamo il male!
Il comportamento degli altri ci contagia e diventa in noi un male più grande.
Condannare gli altri infatti è un male più grande del male che loro fanno, perché significa venire meno alla responsabilità che abbiamo di fronte al male degli altri.
E allora cosa dobbiamo fare?
Proprio attraverso il loro male, investirli con il nostro amore, con la nostra attenzione, con la nostra misericordia.
E' stato l'amore del padre che ha reso possibile il ritorno del figlio, noi dovremmo essere in grado di suscitare questo, con la nosta attenzione, con la nostra misericordia, anche rinunciando ai nostri diritti! Potrebbe sembrare di essere presi per scemi, ma cosa importa cosa pensano gli altri, quando la vita trionfa, il bene si diffonde?
Neppure col pensiero dobbiamo moltiplicare il male.
Neppure con i giudizi, le valutazioni, che a volte diamo pensando di fare il bene!
Noi siamo di fronte a una scelta: o diffondere il bene o diffondere il male, non ci sono atteggiamenti neutri, perché lo stesso non rispondere è già un male di fronte alla responsabilità che abbiamo.
Ma com'è possibile questo tipo di amore misericordioso di fronte al male che a noi che non riusciamo ad avere amore puro, neppure nei confronti dei fratelli, di quelli che ci stanno accanto?
Occorre riconoscere il male nella nostra vita e accogliere l'azione di Dio in noi!
E' una delle forme di abbandono fiducioso in cui consiste la fede.
Occorre che non siamo sicuri della nostra perfezione, come il figlio maggiore, convinti della nostra giustizia!
Quando esperimentiamo la gioia del nostro ritorno, siamo in grado di diventare testimoni dell'amore misericordioso.
Chiediamo di essere capaci di guardare gli altri con occhi diversi, e di essere capaci, di fronte ad ogni male che incontriamo, di immettere forza positiva, di accogliere e trasmettere energia nuova.
Chiediamoci, chi è questo Dio che sembra incoraggiare il male, che non chiede i conti, non fa la predica, non rimprovera, ma bacia e abbraccia il peccatore e fa festa?
L'altro fratello non può immaginare un Dio che non faccia la morale, che non proponga al peccatore di redimersi, che non gli parli di perdono, ma lo reitegri in una dignità mai sognata prima? L'amore è già donato, non è da conquistare.
Credere nell'amore gratuito è sentirsi figli!
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