Clarisse Sant'Agata, LECTIO DIVINA"La montagna "

V domenica Duc in altum  La montagna
QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
LETTURE: Is 6,1-2. 3-8; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-1
 Tutti abbiamo presente l’immagine delle tre cime del Lavaredo nelle

Dolomiti. Per raggiungere il rifugio da cui si vedono le tre cime così come le
conosciamo noi, occorre camminare molto, lungo un ghiaione che
praticamente gira tutto intorno alla montagna. La sua curva è così
pronunciata che non si riesce a vedere né cosa c’è dietro né quando finisce il
percorso.
E c’è la paura di non farcela, la voglia di tornare indietro, lo
smarrimento del non senso, la domanda se vale veramente la pena faticare
così.
Solo d’improvviso appare lo spettacolo stupendo delle cime che
sembrano messe lì solo per te, in quel momento. Sapevi che c’erano, ma lo
scoprirle improvvisamente dietro l’ultimo metro di curva ti getta nello
stupore, nella gratitudine per un dono inaspettato per bellezza e maestosità.
E non si hanno Parole, ma solo silenzio e commozione davanti a una
bellezza che sazia e che ridà vita al corpo stanco, pace sicura allo spirito.
 Così è la Parola del Vangelo. Per arrivare a contemplare le sue altezze
e le sue profondità, l’infinita bellezza e la sazietà della vita che spira da essa
occorre passare attraverso la fatica di un testo il cui senso profondo sembra
sempre sfuggirci, percorrere una lettera che sembra arida1
 e che sembra
avere orizzonti piccoli, vincere la fatica - e la paura della fatica - di solcare
un cammino sempre uguale e ormai così tanto conosciuto da impedirci lo
stupore e smorzare il desiderio.
La musica
Il Vangelo è uno spartito da suonare: esso indica i suoni che ricreano
la vita di Dio, la sua realtà di amore.
Nel terzo atto dell’Aida, Verdi rievoca l’incanto di una notte orientale
con pochissime note dell’oboe e con gli arpeggi degli archi sull’unica nota

1
“Mi proposi di rivolgere la mia attenzione alle Sacre Scritture per vedere come fossero.
Ed ecco che cosa vedo: un oggetto oscuro ai superbi e non meno velato ai fanciulli, un
ingresso basso, poi un andito sublime e avvolto di misteri. Io non ero capace di superare
l’ingresso o piegare il collo ai suoi passi. Infatti i miei sentimenti, allorchè le affrontai,
non furono quali ora che parlo. Ebbi piuttosto l’impressione di un’opera indegna del
paragone con la maestà tulliana. Il mio gonfio orgoglio aborriva la sua modestia, la mia
vita non penetrava i suoi recessi. Quell’opera invece è fatta per crescere con i piccoli; ma
io disdegnavo di farmi piccolo e per essere gonfio di boria mi credevo grande” (S.
AGOSTINO, Confessioni, 3,5,9 , a cura di M. PELLEGRINO, C. CARENA, A. TRAPÈ, F.
MONTEVERDE, [Opera Omnia 1], Nuova Biblioteca Agostiniana/Città Nuova Editrice,
Roma 1965).
del sol. Con una sola nota prende vita il colore della notte, lo scorrere delle
acque del Nilo attraverso i giunchi, e sembra perfino di vedere il tremolio
della luce delle stelle, di sentire la vita dei piccoli esseri sulla riva del fiume
nel calore umido della notte estiva.
Suonare la Parola di Dio vuol dire penetrare attraverso la semplicità
della lettera dentro un mondo, quello di Dio, che si anima di luce, di suoni, di
profumi, di colori, di esperienza di una bellezza che non riuscivamo a
immaginare, invisibile ed eterna2
. Lo spartito suonato da uno strumento
diventa musica ed evoca una vita, dei sentimenti. La lettera del Vangelo
vivificata dallo Spirito, ci fa conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato3
quando trova l’uomo, piccolo4
 e amante5
.
 Con questa esperienza ci inoltriamo allora nel testo evangelico di Luca
E avvenne che, mentre la folla gli faceva ressa intorno e ascoltava la parola di Dio
- ed egli stava in piedi presso il lago di Genezaret - vide due barche ormeggiate sulla
sponda.I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra.
Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse
a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro,
abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le
reti».
E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e
riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.
 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore,
allontanati da me che sono un peccatore». Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti
quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e
Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere;
d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo
seguirono.

2
 “Che amo quando amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo
splendore della luce così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene
d’ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il
miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo quando
amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso
nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che
è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una
voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un
sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà.
Ciò amo quando amo il mio Dio”. (Ib. X,6,8)
3
 Cf. 1Cor 2,12.
4
 Cf. Mt 11,25.
5
 Cf. 1Cor 2,9.
Il giorno di Pietro
Maestro, abbiamo faticato tutta la notte
e non abbiamo preso nulla;
ma sulla tua parola getterò le reti.
L’episodio evangelico esordisce senza nessuna introduzione di tempo,
senza neanche premettere che Gesù è tornato in Galilea. Infatti lo abbiamo
visto nel capitolo precedente manifestarsi a Nazaret, predicare e compiere
guarigioni a Cafarnao e poi lasciare in segreto la Galilea per predicare nelle
sinagoghe della Giudea. D’improvviso lo troviamo sulle rive del lago di
Genesaret a saziare la folla di Parola di Dio.
Il luogo in cui è ambientato questo testo è straordinariamente
affascinante. Al tempo di Gesù è descritto come un concentrato, un distillato
della terra promessa dove le stagioni si incontrano per permettere alla natura
del posto di dare frutto in ogni tempo e agli uomini la prosperità del lavoro.
Sembra quasi assente l’inverno, come se tutto ciò che viene alla vita non
dovesse finire6
.
Anche l’ambiente quindi sembra essere immerso nella stagione di Dio,
in quel principio dei mesi in cui fu creato il mondo7
.

6
 Giuseppe Flavio descrive la regione di Gennesaret nelle Guerre Giudaiche: “Lungo il
lago di Gennesar si distende una regione che ha lo stesso nome, dalle doti naturali e di
una bellezza meravigliose. La sua feracità ammette ogni cultura e chi la lavora vi fa
crescere di tutto, e il clima è così temperato che si adatta anche alle piante più svariate. I
noci, alberi particolarmente idonei alle regioni fredde, vi crescono innumerevoli accanto
alle palme, che richiedono il caldo, e vicino a loro fichi e ulivi, cui si confà un’aria più
mite. Si direbbe che la nautra si sia compiaciuta di un simile sforzo per raccogliere sullo
stesso suolo le specie più diverse, e che le stagioni si siano affrontate in benefica gara,
cercando ognuna di imporsi in tale contrada; questa infatti non soltanto stranamente
produce frutti così diversi , ma li fa anche mantenere. L’uva e i fichi, delizie da re, li porta
ininterrottamente per dieci mesi, mentre tutti gli altri frutti maturano nell’intero corso
dell’anno. Oltre a godere di questo clima temperato, la regione è irrigata da una sorgente
quanto mai fecondatrice, che la gente del posto chiama Cafarnao. Alcuni la ritennero una
vena del Nilo, perché produce un pesce simile al coracino che vive nel lago di
Alessandria. La contrada si estende, lungo la riva del lago omonimo, per una lunghezza di
trenta stadi e una larghezza di venti. Tale è dunque la sua natura.” (GIUSEPPE FLAVIO,
Guerre Giudaiche III,10,516-521, a cura di G. VITUCCI, Arnoldo Mondadori Editore,
1974).
7
S. Ambrogio fa coincidere il principio dei tempi con il principio dei mesi, quello della
Pasqua. Il primo dei mesi dell’anno coincide con la primavera, la stagione della creazione
e della rigenerazione: con questo si vuole significare la misericordia di Dio che non affida
alla morte i primi germogli della vita, creata e rigenerata. “Questo mese sarà per voi il
principio dei mesi…In tale principio dei mesi Dio creò il cielo e la terra perché era
opportuno che il mondo prendesse inizio quando il clima primaverile era favorevole a
Il giorno di Pietro è dentro il giorno di Dio. L’ege,neto8
, (egheneto),
l’avvenne, iniziale del testo è un’espressione che nella Scrittura indica
l’evento della salvezza, inserito nel tempo di Dio.
Il tempo della vita presente, segnato dallo scorrere dei minuti, delle
ore, dei giorni, è il tempo della precarietà. È il tempo in cui darsi da fare per
porre rimedio a ciò che viene a mancare, al vino buono che finisce9
,
all’acqua che non disseta10, alla manna che non sazia11, alla casa costruita
sulla sabbia12, alla luce che va spegnendosi, e ai sostegni che vengono
infranti13
.
Ma quando Dio avviene, la vita non è più l’esperienza di qualcosa che
ci viene tolto, ma di un dono, abbondante, che ci viene dato.
Il tempo di Dio abbraccia il passato e lo riveste di significati nuovi, lo
fa riscoprire come sentiero sul quale egli ha camminato fino a raggiungerci,
un sentiero fatto dalle sue tracce. È un tempo che distende la sua efficacia
nel futuro, restituendolo a noi nella forma della speranza, un futuro nel quale
ci si riceve come amati, riconosciuti come figli.
 Luca ci dice quindi che non si tratta di un’ora qualsiasi, ma del tempo
in cui Dio avviene, Cristo avviene. In una nuova creazione.
 In principio il deserto e l’informe, le acque, l’abisso, le tenebre…E
avvenne la luce, kai. evge,neto fw/j. Il lago, il niente, frutto di una notte di

tutte le creature…La Scrittura per indicare che era primavera al momento della creazione
del mondo, dice: Questo mese è per voi il principio dei mesi, è per voi il primo tra i mesi
dell’anno, chiamando cioè, primo mese il tempo primaverile. Era conveniente che il
principio dell’anno segnasse l’inizio della riproduzione e che la riproduzione stessa fosse
favorita da una clima più mite. Infatti i germi ancor teneri non avrebbero potuto
sopportare o il tormento di un freddo troppo rigido o la violenza di un calore infuocato”
(S. AMBROGIO, I sei giorni della creazione, 4,13, a cura di G. BANTERLE, [Opera Omnia
1], Biblioteca Ambrosiana/Città Nuova, Milano-Roma 1979). S. Ambrogio poi, sulla scia
di Origene, identificherà il vero principio del tempo con Cristo, il primo e l’ultimo, l’alfa
e l’omega: “Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti,
Cristo Gesù, il primogenito di tutta la creazione? In questo principio, dunque, cioè nel suo
Verbo, Dio fece il cielo e la terra...Dunque qui non parla di un qualche principio
temporale, ma dice che nel principio, cioè nel Salvatore, sono stati fatti il cielo e la terra, e
tutte le cose che sono state create” (Origene, Omelie sulla Genesi, 1, a cura di M. I.
DANIELI, [CTP 14], Città Nuova Editrice, Roma 1978.).
8
Il testo evangelico inizia proprio con questo verbo che è quello che accompagna e ratifica
l’atto creatore di Dio nella Genesi (E la luce fu, avvenne: Gen 1,3). Nel suo vangelo Luca
usa 22 volte l’espressione biblica kai. evge ,neto (kai egheneto) seguita da un verbo finito
secondo la forma ebraica.
9
 Cf. Gv 2,3.
10 Cf. Gv 4,14.
11 Cf. Gv 6,31-35.
12 Cf. Mt 7,26-27 e par.
13 Cf. Mt 12,20.
fatica, la notte alle spalle… e davanti… e avvenne, ege,neto, Cristo.
Dietro una notte di fallimento, dietro l’attesa del niente, nella luce del
giorno, l’evento che avviene è la vita di Cristo che segna la nostra storia con
il nome dell’Amore.. Né il fallimento, né il successo, né la notte né il
giorno, né la parola né il silenzio sono evento, ma lo è l’incontro con Cristo
nella notte e nel giorno, nella parola e nel silenzio, nel fallimento e nel
successo. Ciò che avviene non è più il mondo nel suo nascere e nel suo
divenire, non è più il tempo della storia. Non è più ciò che è visibile e
delimitabile e misurabile perché è dentro l’orizzonte del tempo e dello spazio
della nostra vita, perché entra a far parte della nostra esperienza esistenziale.
Ma Cristo avviene. Lui che viene a Simone nel tempo di Dio misurato dalla
salvezza, scandito dal perdono dei peccati.
Il miracolo, l’evento, non è la pesca miracolosa, ma Cristo che
incontra la vita di Simone.
E avvenne Cristo. E avvenne Pietro.
I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Simone non stava aspettando Gesù. Egli era capace solo di attendere
un’altra notte. È fermo sulla riva stanco, spossato, affaticato14
, a preparare
un’altra notte da navigare, un altro abisso in cui immergere le sue mani, le
sue reti. Dal testo evangelico sembra proprio che tra lui e Gesù non ci sia
soluzione di continuità: Simone e gli altri pescatori erano scesi dalla barca
per andarsene15 dopo aver lavato le reti16, mentre a pochi metri di distanza
una gran folla attorno a Gesù chiede con forza la Parola di Dio. Simone non
è attirato neanche dalla curiosità di vedere e sentire il personaggio del
momento.
 E avvenne la luce, il non atteso, il non conosciuto. Dio separa la luce
dalle tenebre e Cristo separa Simone dalla sua notte. Il mare, la notte, il
niente, sono preludio di una nuova creazione, di un nuovo mondo ordinato in
Cristo: non si esiste più per legge naturale ma per il rapporto con Lui, così
come tutto è venuto all’esistenza in risposta alla Parola creatrice. La
relazione con Cristo è esistere, è il fatto della nostra esistenza. Al di fuori di
questo c’è una notte facitrice del nulla, feconda del niente.
 Gesù vede Simone, vede la barca che appartiene a Simone e per due

14 Simone e i suoi avevano faticato tutta la notte. Il greco kopia ,w indica proprio un
lavorare con fatica, nella sfinitezza e spossatezza, un lavoro duro e gravoso.
15 È il greco a vpobai,nw (apobaino) usato al posto di ekbai,nw (ekbaino) che significa
l’uscire per rimanere vicino.
16 L’aoristo indicativo di plu,nw (pluno) indica l’azione che si è protratta a lungo nel
tempo, ma che è compiuta.
volte gli dice di prendere il largo. La prima volta lo prega di allontanarsi un
poco dalla riva per permettergli di parlare la Parola di Dio17 e la seconda
volta per andare verso la profondità del lago, a pesca insieme.
La Parola crocifissa
Dal momento che il Signore dispensava a molti diverse guarigioni, la
folla cominciò ormai a non farsi più trattenere né dall’ora né dal luogo,
nel chiedere di essere guarita. Calava la sera, gli stavano dietro; c’era un
lago di mezzo, gli si stringevano addosso. Per questo salì sulla barca di
Pietro.18
Viene da pensare ad un altro personaggio, Mosè, sulla riva di un altro
mare, alla veglia del mattino, pressato dalla folla che chiedeva la salvezza
protestando per l’inaffidabilità di Dio e del suo servo. La folla chiedeva
salvezza e liberazione dall’egiziano che ormai impediva ogni via di fuga e
Mosè guida il suo popolo per una strada che si apre sul mare19. Una strada
sul mare, una strada di vita per il suo popolo e di morte per i suoi nemici.
La risposta di Gesù alla sete della folla è una strada sul mare. Dove
c’è una sete di salvezza e di liberazione c’è anche una strada sulle profondità
del mare: su di essa vi cammineranno i redenti20
.
Fare ressa, insistere è il greco evpi,keimai (epikeimai), un verbo che
Luca usa solo qui e in Lc 23,23. Nella Scrittura è tradotto con maltrattare21
,
ordire giudizi contro qualcuno
22
, essere sopra
23
, premere
24
, imporre
pesantemente e definitivamente la pietra su un sepolcro25. È l’insistenza della
violenza della tempesta26 come è pressante il dovere di annunciare il

17 Prendere il largo è il greco e vpana,gw (epanago) usato per due volte in questo testo.
Purtroppo la traduzione italiana non ci permette di notarlo immediatamente e bisogna
ricorrere al testo originale. In Lc 5,3 Gesù prega Simone di prendere il largo un poco
dalla terra (e vmba.j de. eivj e ]n tw/n ploi,wn( o ] h =n Si,mwnoj( hvrw,thsen auvto .n avpo . th/j gh /j
e vpanagagei/n ovli ,gon). In Lc 5,4 Gesù, finito di parlare alla folla, comanda a Pietro di
prendere il largo verso la profondità (w`j de . evpau,sato lalw/n( ei=pen pro.j to.n Si,mwna(
VEpana,gage eivj to. ba,qoj kai. cala ,sate ta. di,ktua u`mw/n eivj a;gran).
18 S. Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca IV,68, a cura di Giovanni Coppa,
[Opera Omnia 11-12], Biblioteca Ambrosiana/Città Nuova, Milano-Roma 1978.
19 Cf. Es 14,5ss
20 Cf. Is 51,10.
21 Cf. Gb 21,23.
22 Cf. Gb 19,3.
23 Cf. 2Mac 1,21.
24 Cf. 1Mac 6,57.
25 Cf. Gv 11,38.
26 Cf. At 27,20.
Vangelo27
.
Facevano ressa per ascoltare la Parola di Dio.
Insistevano perché fosse crocifisso28
.
La doppia citazione di Luca mostra come l’insistenza, direi aggressiva,
soffocante, dell’ascolto della Parola di Dio è la stessa che chiede la sua vita.
La vita è la Parola, dati ambedue in un contesto di umiliazione. Come
la morte di Gesù è ingloriosa, - non è la morte dell’eroe, ma dello schiavo, -
così l’insistenza della folla pone Gesù sotto un peso, che preme, che impone,
che pressa, che sta sopra di Lui e costringe l’annuncio del Vangelo a partire
dal basso. La folla gli sta sopra e chiede la sua Parola. La folla gli impone la
croce e chiede la sua vita. Maestro e crocifisso. Parola e vita29
.
È interessante notare come la povertà e la sete della folla contengano
questa connotazione di violenza e di aggressività. È una sete che sembra
voler disseccare la sorgente. L’annuncio del Vangelo avviene così. Non nel
silenzio, nell’ordine, nella sacralità, ma dentro la calca di una folla che è
schiacciata dalla sua stessa sete e rischia di distruggere l’origine della sua
salvezza, di mettere a tacere la parola che salva, di crocifiggere il suo
maestro. La Parola di Gesù - che è Gesù - è strappata, frugata, divorata,
trattenuta, inchiodata, crocifissa.È Parola che viene dal Padre per il mondo e
viene tolta dal mondo.Non riconosciuta dai suoi, non accolta per la salvezza,
spezzata come il pane, versata come il sangue, spogliata, lacerata come un
vestito, tirata a sorte come una tunica.
È il crocifisso che ordina di prendere il largo, ed è dal fondo della sua
umiliazione che noi facciamo l’esperienza della rinascita.
La Parola di Gesù non è quindi una parola più forte delle altre, più
convincente, dominante, potente, schiacciante, risolutiva, ma è Parola viva.
È veicolo di una vita che non possiamo farci con le nostre mani, ma
solo ricevere dall’alto. Riconosciamo la Parola di Gesù non solo per quello
che dice, anzi, forse altri uomini e altre donne hanno detto cose più grandi e

27 Cf. 1Cor 9,16.
28 Lc 23,23-24: “Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le
loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò
colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e
abbandonò Gesù alla loro volontà”.
29 Gv 15,12-15: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi
ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi
siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo
non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito
dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”.
Ciò che costituisce gli apostoli come amici è il fatto che Gesù ha dato loro la sua
vita e la sua Parola. Dare la vita e dire la Parola del Padre è quindi la stessa cosa.
hanno fatto cose più grandi30, ma per il fatto che questa Parola ci dà lo
Spirito, ci fa vivi, soffia da essa il respiro della vita.
Prendere il largo vuol dire riconoscere allora nella Parola crocifissa,
per la sua debolezza31, il Figlio di Dio venuto a salvare il mondo e su questa
parola gettare le reti sull’abisso dell’impossibile.
Prendi il largo. Che cosa c’è di più immenso che vedere la profondità
delle ricchezze, conoscere il Figlio di Dio?32
Prendere il largo per i Padri vuol dire riconoscere nel crocifisso Dio che
mi viene a cercare nel suo Figlio, verità che solo la pienezza della fede può
abbracciare:
Se non mi è lecito sapere come Egli sia nato, non mi è lecito ignorare
che Egli è nato…
Noi uomini non eravamo presenti, quando dal Padre nasceva il Figlio
di Dio, ma fummo presenti, quando il Padre lo chiamò Figlio.33
La barca di Pietro
 Verso questa conoscenza ci è guida la barca di Pietro che conduce al
largo. E Pietro difatti in questo testo cresce nel riconoscere in quello
sconosciuto, Gesù, il Maestro, e infine il Kyrios, il Signore risorto che è alla
destra del Padre. E cresce nella consapevolezza di sé e dell’azione della
grazia: egli è un pescatore, è Simone, è un peccatore, è Pietro, pescatore di
uomini, è discepolo.
Sulla barca di Pietro spira il soffio della fede, naviga la prudenza,
l’incredulità le si tiene lontana34
.
I Padri della Chiesa considerano spesso in parallelo questo testo
lucano con Mt 8,24, l’episodio della tempesta sedata. L’inizio storico della
Chiesa è il pericolo, la minaccia, la violenza che le si abbatte contro, mentre
il suo sviluppo è ricco di frutti dentro l’esperienza di un Cristo che è allo
stesso tempo dormiente e Signore. La Chiesa si forma così, con un amore
provato35 e faticoso, impegnato nel superare ostacoli che vogliono impedire

30 Cf. Gv 14,12.
31 Cf. 2Cor 13,4.
32 S. AMBROGIO, Esposizione… IV,71.
33 Ib. IV,71.
34 Ib. IV,70.
35 L’operosità nella carità di cui parla Paolo in 1Ts 1,3 traduce il greco ko ,poj (kópos) che
significa fatica, sforzo, stanchezza, fastidio, molestia, importunare, lavoro. Ko ,poj
il cammino, nel sopportare rifiuti o indifferenze che debilitano e
scoraggiano. E tutto questo dentro una esperienza del Signore crocifisso e
risorto, dormiente e imperante sulla tempesta, assente e presente a cui
affidare la vita:
La tempesta scoppia solo là dove c’è poca fede36
.
E Gesù sale sulla barca di Pietro come salirà sulla croce. La barca di
Pietro prende a bordo la Parola crocifissa e come tale diventa la cattedra da
cui prende vita la Chiesa.37 Il legno che rende dolce l’acqua amara38, il
piccolo legno guidato dalla sapienza su cui sale il giusto39 , un legno
costruito dalla sapienza artigiana ma guidato dalla provvidenza del Padre che
ha predisposto una strada anche nel mare, un sentiero sicuro anche fra le
onde, mostrando che può salvare da tutto, un legno minuscolo a cui gli
uomini affidano le loro vite40
.
Gesù ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare.
Nessuno infatti può attraversare il mare di questo secolo, se non
è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può
attaccarsi al legno della croce.

attribuisce all’amore qualcosa non solo di impegnativo, ma di costoso, di non facile, di
gravoso.
36 S. Ambrogio, Esposizione… IV,70.
37 “Dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la
chiesa” (SACROSANCTUM CONCILIUM, 7).
38 Cf. Es 15,25; Sir 38,5. Origene commenta con parole indimenticabili il passo
dell’Esodo, un commento che ha influenzato la tradizione esegetica posteriore: Se si
getterà nella legge il legno della sapienza del Cristo, allora l’acqua di Mara diventa
dolce, l’amarezza della lettera della legge si muta nella dolcezza dell’intelligenza
spirituale e allora il popolo di Dio può bere… Poichè dunque si possa bere quest’acqua
di Mara, Dio mostra un legno da gettare nell’acqua affinchè chi beve non muoia, non
senta l’amarezza. Dal che si può comprendere che se uno vuole bere dalla lettera della
legge senza l’albero della vita, cioè senza il mistero della croce, senza la fede nel Cristo,
senza l’intelligenza spirituale, morirà per l’eccessiva amarezza. (Origene, Omelie
sull’Esodo, VII,1, a cura di M. I. DANIELI, [CTP 27], Città Nuova Editrice, Roma 1981).
39 Cf. Sap 10,4 : “A causa sua (Caino) la terra fu sommersa, ma la sapienza di nuovo la
salvò pilotando il giusto e per mezzo di un semplice legno”. Origene vede nell’altezza,
nella lunghezza e nella larghezza dell’arca la prefigurazione mistica del mistero della
croce (Cf. ORIGENE, Omelie sulla Genesi, II,5)
40 Cf. Sap 14,1-5.
E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino,
non abbandoni la croce e la croce lo porterà41
.

La Croce di Cristo è tutto ciò che Egli ha dovuto soffrire per rimanere
fedele all’Amore del Padre, nel quale siamo amati anche noi: abbandonato, a
Lui si è consegnato, rifutato dai suoi ha giustificato e perdonato, ucciso,
emisit Spiritum, ha effuso sugli uomini il respiro della vita di Dio,come al
principio il Padre ha dato ad Adamo la sua anima. La croce è tutto ciò che
occorre soffrire per rimanere fedeli all’Amore, per continuare ad amare
nonostante tutto, fino al compimento. È l’Amore umile e umiliato, Amore
che ama e che conosce solo se stesso come risposta ad ogni rifiuto, ad ogni
condanna a morte, ad ogni accanimento a voler pronunciare la parola fine.
 È solo questo Amore che mette in cammino, e solo davanti ad esso si
apre la strada sul mare.
Prendi il largo
Prendi il largo e calate le reti per la pesca
Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini.
A pesca insieme. La rete di Gesù e la rete di Pietro.
Prendere il largo verso le profondità, verso l’abisso e verso le altezze42
.
Nella Scrittura la profondità indicata dal termine greco sembra
descrivere soprattutto una esperienza del limite dell’uomo, del male e della
morte.
Sono le profondità del cuore dell’uomo43, è la profondità del senso della
vita, di ciò che è stato, che il sapiente Qoelet non riesce a raggiungere44, le
acque profonde dell’esperienza del male che sommergono nell’angoscia
l’orante dei salmi e da cui chiede di essere liberato45 , sono le profondità
degli abissi dove sono sommersi i nemici di Dio46, è la profondità degli
inferi47 da cui Dio salva il giusto48, è l’abisso, la profondità del mare dove

41 S. AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, 2,2, a cura di A. VITA, E. GANDOLFO,
V. TARULLI, F. MONTEVERDE, [Opera Omnia XXIV/1], Nuova Biblioteca
Agostiniana/Città Nuova Editrice, Roma 1968.
42 Il termine greco ba ,qoj (bathos) indica appunto le profondità degli abissi o le altezze del
cielo, qualcosa comunque di non misurabile, percebile come infinito.
43 Cf. Gdt 8,14.
44 Cf. Qo 7,24.
45 Cf. Sal 69(68),3.15.
46 Cf. Sap 10,19; Am 9,3.
47 Cf. Is 7,11.
getta il ribelle Giona49, e in Ezechiele è la fossa della morte50
.
Forse per Simone il comando di Gesù era semplicemente presagio di
una buona pesca, e magari non di quell’enorme quantità di pesci che la sua
barca da sola non saprà contenere. Si accontentava forse di molto meno.
Ma per Gesù andare al largo voleva dire fare un’altra pesca, quella vera.
C’è un testo nell’Antico Testamento che illumina fortemente questo
Vangelo. Dio si improvvisa pescatore e prende il largo per gettare in fondo
al mare il peccato:
Qual dio è come te,
che toglie l’iniquità e perdona il peccato
al resto della sua eredità;
che non serba per sempre l’ira,
ma si compiace d’usar misericordia?
Egli tornerà ad aver pietà di noi,
calpesterà le nostre colpe.
Tu getterai nel profondo del mare
tutti i nostri peccati.51
Gesù prende il largo per gettare nelle profondità, al largo, il peccato di
Simone e tirar fuori vivo dall’abisso Pietro, l’uomo nuovo.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.52
Dopo Gesù, gli inferi, gli abissi, non sono più il luogo in cui dimorare
per l’esperienza del peccato, ma solo il luogo da cui siamo tratti fuori, quasi
come ciò che resta del bozzolo di seta quando la farfalla è già volata via.
Di’ anche tu: Signore, allontanati da me, che sono un peccatore,
affinchè il Signore ti risponda: Non temere. Non temere di confessare il
tuo peccato al Signore, che ti perdona, non temere di riferire al Signore
anche ciò che è tuo, perché Egli ci ha dato quello che è suo.53

48 Cf. Sir 51,5.
49 Cf. Gn 2,4.
50 Cf. Ez 26,20; 31,14.18; 32,18.24.
51 Mi 7,18-19.
52 1Pt 2,24-25.
53 S. AMBROGIO, Esposizione… IV,79.
Pietro prende a bordo la Parola crocifissa. Gesù prende a bordo, su di
sé, il peccato di Pietro54
.
L’esordio del Vangelo di Giovanni ci presenta Gesù come l’Agnello di
Dio che prende su di sé il peccato del mondo. E il Battista conduce i suoi alla
sequela di questo Agnello. L’esordio di Luca è Gesù che si manifesta ai suoi
come l’atteso, colui che è venuto ad annunciare il tempo di grazia del
Signore. E lo vediamo, agnello, rifiutato dai suoi, passare in mezzo a loro nel
segno del perdono, carico di quel peccato che è venuto a eliminare per
sempre
55. La missione di Gesù è all’insegna del perdono, è nel giorno della
grazia del Signore.
Il miracolo è Gesù che fa Pietro capace di seguirlo. Prendere il largo è
essere fatti discepoli del crocifisso risorto, Servo e Signore. Testimoni
dell’Amore che è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Il Nuovo Testamento conoscerà solo una profondità, quella dell’amore
di Dio che si è manifestato in Cristo. E quasi a redimere anche lo stesso
termine, lo elegge ad indicare la profondità e l’altezza di questo amore56
.
La profondità diventa quella del terreno capace di accogliere la Parola e
farla fruttificare57, la profondità della ricchezza e della sapienza di Dio58
scrutata dallo Spirito di Dio59 e rivelata a coloro che lo amano, luogo
dell’esperienza dell’amore di Dio in Cristo Gesù:
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né
presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né
alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo
Gesù, nostro Signore.60
Che cosa ti ha fatto?
Il peccato entra veramente nella sfera del perdono, non quando non è

54Mi 7,18: Qual dio è come te,che toglie l’iniquità e perdona il peccato? Il verbo ebraico
afn usato per indicare il perdono dei peccati, si può tradurre con togliere, sollevare,
portare, sopportare, prendere afferrare, prendere sopra si sé, addossarsi, prendere a
bordo.
55 Lc 4,20: Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. Il greco die ,rcomai (dierkomai)
traduce nei LXX l’ebraico rb;[', (‘abhar) tradotto con passare attraverso, attraversare,
passare all’altra riva, ed è usato per indicare il perdono dei peccati: il passaggio di Dio è
la Pasqua dove egli passa oltre, passa attraverso, sopra, il peccato.
56 Cf. Ef 3,18.
57 Cf. Mt 13,5; Mc 4,5.
58 Cf. Rm 11,33.
59 Cf. 1Cor 2,10.
60 Rm 8,38-39.
più ricordato, o quando non ci si vuol pensare più, ma quando si comprende
che in quell’esperienza, in quell’abisso, Dio mi è venuto a cercare con un
amore infinitamente più grande del mio essermi perduto.La profondità in cui
sono caduto diventa la misura per comprendere il suo essere disceso fino a
me, la spaccatura della roccia da cui intuire chi è Dio61
.
Il Vangelo che conosco è quello che mi ha salvato e questo è il
Vangelo che ci è affidato per trarre fuori gli uomini vivi dall’abisso.
Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini.
Non temere, da questo momento sarai colui che prende gli uomini
vivi,tirerai fuori i viventi dall’abisso62. Con la Parola che lo ha fatto Pietro,
nella remissione dei peccati.
Pietro farà ciò che Dio gli ha fatto. Getterà le reti ancora, ma sarà un
gesto che non cerca più qualcosa per vivere o per cui vivere, ma una pesca
che fa vivi, che restituisce la vita agli uomini. Uomini fatti vivi dalla Parola
di Gesù. E restituisce alla Parola coloro che prende sulla sua parola63, gli
uomini che attraversano il mare della vita64
.
Questa rete è la concatenazione della Parola del Vangelo annunciata
alle genti, sono reti
che non uccidono la preda, ma la conservano in vita, e dall’abisso
la sollevano all’aperto, trasportando creature fluttuanti dalla terra al
Cielo.65


La rete è immagine della croce:
per mezzo di essa, come con una rete, le genti sono state prese, e la fede
è stata sparsa in ogni luogo.66

La domanda vera che muove la sequela non è tanto quella che fanno a

61 Cf. Es 33,18-23.
62 Il greco zwgre ,w (zogreo) significa prendere vivi, catturare vivi.
63 S. AMBROGIO, Esposizione… IV,78.
64 Ib. IV,68. E ancora: Tu dunque uomo, sei un pesce. Ascolta perché sei un pesce: Il
regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare, che raccoglie ogni genere di pesci… Il
buon pesce non è avviluppato, bensì solevato in alto dalle reti, non è straziato ed ucciso
dall’amo, ma con questo irrorato dal sangue di una preziosa ferita…Non temere dunque,
buon pesce: l’amo di Pietro non uccide, ma santifica (S. AMBROGIO, I sei giorni… 6,15-
16)
65 S. AMBROGIO, Esposizione… IV,72.
66 S. ANDREA DI CRETA, Discorso 11.
Gesù i discepoli di Giovanni: Maestro dove abiti?67 e neanche quella che
pone il giovane ricco: Maestro buono che cosa devo fare per avere la vita
eterna? 68
 Ma è quella che pongono i farisei al cieco nato: Che cosa ti ha fatto?69
Il discepolato nasce dalla consapevolezza dell’evento per il quale è
avvenuto l’incontro con il Figlio di Dio che mi ha guardato, mi ha parlato,
mi ha perdonato, mi ha preso con sé.
«Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto».
L’uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva
fatto.70
La storia di Pietro prende così altre vie non più solcabili con la barca,
non più determinate dal giorno e dalla notte, dal tempo e dalle
stagioni, ma dalla Parola di Dio. Anzi, la storia diventa il cammino della
Parola di Dio nella vita di Pietro, una Parola che mette in cammino, che
sposa il discepolo al maestro e li riunisce nello stesso destino71
.
Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Pietro aveva lasciato anche tutto ciò per cui era peccatore72
.
Preghiamo con Paolo e chiediamo anche per noi la grazia di essere
portati al largo, per fare l’esperienza di quell’amore che supera ogni
conoscenza:
Piego le ginocchia davanti al Padre,
dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra prende nome,
perché vi conceda,
secondo la ricchezza della sua gloria,
di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito
nell’uomo interiore.
Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori
 e così, radicati e fondati nella carità,
siate in grado di comprendere
con tutti i santi quale sia
 l’ampiezza, la lunghezza,
 l’altezza e la profondità,
e conoscere l’amore di Cristo

67 Gv 1,38.
68 Mc 10,17.
69 Gv 9,26.
70 Lc 8,39; cf. anche Gv 4,29.39-42.
71 Cf. Gv 21,1ss
72 Cf. ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo, XV,22
che sorpassa ogni conoscenza,
perché siate ricolmi
di tutta la pienezza di Dio.
A colui che in tutto ha potere
di fare molto più
di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che già opera in noi,
a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni,
nei secoli dei secoli! Amen.

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