Don Giorgio Scatto "Confessare la fede al cuore della propria esistenza"

1° Domenica di Quaresima (anno C)MONASTERO MARANGO
Letture: Dt 26,4-10; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13
Confessare la fede al cuore della propria esistenza
1)Con la Quaresima inizia un cammino di quaranta giorni che ci porterà alla Pasqua. Non per nostra
volontà, ma come dono che scaturisce abbondante dal costato aperto di Cristo sulla croce. Lui stesso ha detto: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me».
Questo cammino quaresimale ci fa passare «da questo mondo al Padre», dalla lontananza di Dio all’incontro con lui e con i fratelli. E’ un passaggio doloroso, e pure colmo di speranza, dalla schiavitù dell’Egitto alla gioia di essere figli e rimanere in quella libertà conquistata a caro prezzo nel dono della vita di Gesù.
E’ un cammino nella speranza, perché noi conserviamo ancora il «lievito» del peccato, lievito di corruzione e di morte. Per questo il tempo di Quaresima è essenzialmente un tempo di conversione, un tempo in cui chiamiamo per nome i nostri peccati, le nostre schiavitù personali e comunitarie, i nostri «idoli», per chiedere a Dio, attraverso un cammino segnato dalla lotta e dalla fatica, il dono della piena guarigione.
Sarà un tempo segnato, in modo determinante, dall’ascolto della Parola, accolta con particolare intensità e docilità di cuore, perché carica di una grazia particolare. Ma sarà anche un cammino di amore e di solidarietà con i poveri. Tornare a Dio è ritrovare i fratelli. Dobbiamo aprire molte porte, che diventeranno “sante” solo se non rimarranno chiuse: la porta dell’indifferenza, dell’ostilità, dell’egoismo, della separazione dal fratello nel bisogno. Dove si innalzano muri il Signore non è di casa.

La storia delle tentazioni di Gesù, che si legge sempre nella prima domenica di Quaresima, è unita a due professioni di fede, contenute nella prima e seconda lettura. Così possiamo porre al centro del brano delle tentazioni anche la professione di fede di Gesù: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».

«Mio padre era un Arameo errante».
Si tratta probabilmente del patriarca Giacobbe, quando si pose a servizio di Labano in Aram, una terra straniera. Finirà poi in Egitto, un paese ancor più straniero. Il braccio potente del Signore libererà lui e il suo popolo, conducendolo nella terra della promessa, «terra dove scorre latte e miele». E’ per questo che i frutti della terra appartengono a Dio. L’offerta delle primizie dei frutti del suolo è il riconoscimento di questa particolare ‘proprietà’: il popolo e la terra sono di Dio; lui è l’unico Signore.

“Se con la bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”.
La parola della fede non è mai facile, perché questa parola è Cristo stesso. Dire che Gesù è il Signore è una affermazione dalle conseguenze molto gravi. Molti, ogni giorno, anche oggi, affrontano il martirio solo a motivo del nome di Gesù, professato con la bocca e con il cuore. Ed è bello pensare che Gesù risorto è sopra tutto il mondo, sopra la mia vita, i miei pensieri, le mie preoccupazioni: lui è tutto. Lui è la «giustizia» e la «salvezza» offerta a tutti gli uomini, anche ai più lontani dalle nostre certezze. Professare la fede con la bocca e con il cuore, significa allora compiere quel difficile esodo che mi porterà fino ad entrare in quelle regioni lontane abitate da chi è “altro” e “altrove” rispetto a me. E, dopo che io per primo avrò sperimentato la gioia del perdono, offrire a tutti la parola della misericordia.
«Era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo».
Anche Gesù ha iniziato la sua vita pubblica come un pellegrino errante nel deserto. Vi rimase quaranta giorni, ricordandoci i quaranta anni di vagabondaggio di Israele nel deserto, dove questo popolo, tra nostalgie del passato e tentazioni del presente, è stato iniziato a vivere il suo rapporto con Dio. Capita a tutti: solo dopo lunghi anni di prove, di fallimenti, e anche di peccati, la fedeltà di Dio ci rende capaci di compiere la nostra missione in mezzo agli uomini. Gesù, che non ha conosciuto il peccato, ha voluto prendere su di sé il nostro peccato, ha condiviso il battesimo di Giovanni, ha conosciuto tutte le nostre tentazioni, il loro maligno e illusorio potere di seduzione. A colui che ha affrontato un lungo digiuno di quaranta giorni, e che alla fine aveva fame, doveva sembrare degno di desiderio il pane a portata di mano, il possesso di questo mondo, che egli doveva pure consegnare al Padre, l’immensa ammirazione che gli sarebbe venuta dal popolo, se solo avesse compiuto segni e miracoli portentosi per accreditare la sua immagine. Tutto aveva un sua ragionevolezza; perché rinunciare a percorrere la promettente via dell’avere, del potere, dell’apparire?
«Sta scritto: “Il Signore, tuo Dio, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Le parole della Scrittura, che Gesù oppone al diavolo, non sono versetti imparati a memoria; non sono un facile catechismo, utile per tutte le stagioni. Sono risposte conquistate nella fedeltà di ogni giorno. Una confessione di fede al cuore dell’esistenza. Con la sua obbedienza il Figlio dell’Uomo ha vinto, dove invece Adamo ha perso.

Con la nuda Parola del Vangelo egli ci guidi a contemplare la luce della Pasqua.

Giorgio Scatto    

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