Don Giorgio Scatto "Nel corpo di Gesù, il patto tra Dio e l’umanità è definitivamente sigillato"

2° Domenica di Quaresima (anno C)
Letture: Gen 15,5-12.17-18; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Nel corpo di Gesù, il patto tra Dio e l’umanità è definitivamente sigillato
 MONASTERO MARANGO
1«Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza».

Abram non ha figli, nonostante la promessa fattagli da Dio di dare il paese di Canaan alla sua discendenza. Ormai gli anni della sua vita sono tanti e il grembo di sua moglie Sara è gonfio solo di speranze perdute.
Ad un certo punto del nostro cammino, quando l’orizzonte sembra chiuso da un muro d’ombra, non resta che alzare lo sguardo, e contare le miriadi di stelle che, proprio nella notte più oscura, accendono il cielo. Sembra un esercizio del tutto inutile, ma questo è solo per farci comprendere che ciò che riteniamo una fine può essere l’inizio di una nuova avventura. «Credere al Signore» è innanzitutto essere aperti al futuro. Chi non ha speranza, chi non vede davanti a sé un futuro, non può nemmeno convertirsi. Aver fede, credere, nonostante ogni evidenza contraria, è adesione al Dio vivente e quindi rinuncia alla morte e a tutte le potenze che distruggono la vita. La speranza nel futuro è possibile quando leggiamo onestamente il nostro passato, che può anche essere segnato da fallimenti e mortificanti esperienze di sterilità, ma, alzando lo sguardo verso ciò che normalmente è invisibile agli occhi, riusciamo ancora a vedere come nella notte più profonda brillano prati infiniti di stelle luminose.

«Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia».
Aver fede significa non appoggiarsi più sulla propria esperienza, bella o brutta che sia, ma iniziare ad aver fiducia in una promessa umanamente irrealizzabile. Si crede perché la promessa viene da Dio, il quale conferma il suo impegno con un patto di alleanza.

«(Abram) andò a prendere gli animali e li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra».
Il testo della Genesi richiama un antico rito di alleanza secondo il quale i contraenti, dopo aver diviso in due le vittime degli animali, passavano in mezzo invocando su di sé la stessa sorte se fossero venuti meno all’impegno assunto. Sotto il simbolo di un «braciere fumante» e di una «fiaccola ardente» il Signore passa tra le carni degli animali: passa soltanto lui, perché l’alleanza è un patto unilaterale, una iniziativa presa unicamente da lui. Infatti «un torpore cadde su Abram e terrore e grande oscurità lo assalirono». E’ il linguaggio della Bibbia per sottolineare che Dio adempie le promesse nella assoluta gratuità del dono. Come quando creò la donna, e «fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò». Il dono di Dio supera infinitamente il desiderio del cuore. E come avverrà ancora sul monte della trasfigurazione, dove «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma quando si svegliarono, videro la sua gloria». Vedono in Gesù quello che non avevano mai visto prima: la luce inestinguibile di Dio, il roveto ardente che brucia di una amore senza fine.

La seconda Lettura colloca tutta l’esistenza umana nella provvisorietà. Chi segue Cristo lo segue al cielo, dove il cristiano ha in anticipo la sua patria. E il cielo non è un luogo senza mondo, ma è quel luogo dove «il nostro misero corpo» assumerà la forma del suo «corpo glorioso», e il mondo creato sarà liberato «dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».

«Gesù salì sul monte a pregare. Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto».
Per l’evangelista Luca la trasfigurazione di Gesù non è un anticipo della sua resurrezione, ma la presenza della Trinità di Dio e dell’intera storia della salvezza nel suo corpo predestinato alla croce.
L’alleanza di Dio con Abramo, e poi con tutto il popolo di Israele, trova in Gesù di Nazareth il suo approdo definitivo. In realtà, i due uomini che conversano con lui, Mosè ed Elia, stanno a significare come tutta la storia del popolo di Dio trova il suo compimento e la sua definitività in Gesù.
Proviamo, pur nella eccessiva brevità del nostro commento, a sottolineare qualche altra parola del testo evangelico.
«Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme».
Tutta la Scrittura, Legge e Profeti, è rivelazione del mistero pasquale di Gesù. In ogni pagina della Scrittura dobbiamo cercare i segni della presenza del Verbo di Dio, umiliato, crocifisso e risorto. Lui stesso dirà ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno». Affiancandosi lungo la via che scendeva da Gerusalemme a due discepoli smarriti e delusi li aveva ammoniti: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, aveva spiegato loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Se Abramo credette al Signore e alla sua promessa, a noi è chiesto di affidarci a Gesù, luce splendente della gloria del Padre.
La voce che esce dalla nube dice: «Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo!». Non si tratta di costruire tende sulla cima della montagna. Nemmeno di contemplare una luce che, dopo la grazia della visione, torna ad inabissarsi nell’umiltà del corpo di Gesù. C’è infatti «il pericolo di confondere la vita spirituale con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo, ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione» (Papa Francesco, E.G. 78).
Si tratta semplicemente di imparare l’ascolto, vivendo fino alla fine la grazia della sequela di Gesù.
Nel corpo di Gesù, il patto con Abramo, tra Dio e l’umanità, è definitivamente sigillato.

Giorgio Scatto

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