FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO DIVINA"Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto"

II Domenica di Quaresima
Antifona d'ingresso
Di te dice il mio cuore: “Cercate il suo volto”.
Il tuo volto io cerco, o Signore.

Non nascondermi il tuo volto. (Sal 27,8-9)

Colletta
O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio,
nutri la nostra fede con la tua parola
e purifica gli occhi del nostro spirito,
perché possiamo godere la visione della tua gloria.

PRIMA LETTURA (Gen 15,5-12.17-18)
Dio stipula l’alleanza con Abram fedele.
Dal libro della Gènesi

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 26)
Rit: Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? Rit:

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco. Rit:

Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Rit:

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. Rit:

SECONDA LETTURA (Fil 3,17- 4,1) 
Cristo ci trasfigurerà nel suo corpo glorioso.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Canto al Vangelo (Mc 9,7) 
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre:
«Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!».
Lode e onore a te, Signore Gesù!

VANGELO (Lc 9,28-36) 
Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Preghiera sulle offerte
Questa offerta, Signore misericordioso,
ci ottenga il perdono dei nostri peccati
e ci santifichi nel corpo e nello spirito,
perché possiamo celebrare degnamente
le feste pasquali.

PREFAZIO 
La trasfigurazione annuncio della beata passione.

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Egli, dopo aver dato ai discepoli
l’annunzio della sua morte,
sul santo monte manifestò la sua gloria
e chiamando a testimoni la legge e i profeti
indicò agli apostoli
che solo attraverso la passione
possiamo giungere al trionfo della risurrezione.
E noi, uniti agli angeli del cielo,
acclamiamo senza fine la tua santità,
cantando l’inno di lode: Santo...
Antifona di comunione
“Questi è il mio Figlio prediletto;
nel quale mi sono compiaciuto.
Ascoltatelo”. (Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 9,35.)
Preghiera dopo la comunione
Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri
ti rendiamo fervide grazia, Signore,
perché a noi ancora pellegrini sulla terra
fai pregustare i beni del cielo.

Lectio
Nel cammino liturgico quaresimale, il racconto della trasfigurazione assume tutto il suo significato, dopo la rievocazione delle tentazioni di Gesù nel deserto. Nel Vangelo di Luca, infatti, l’insieme degli episodi della confessione di Pietro, del primo annuncio della passione e della trasfigurazione, rappresenta una tappa della “salita” a Gerusalemme, dove il ministero di Gesù giungerà al culmine, come suggerisce l’ultima tentazione, che Luca situa sul pinnacolo del tempio. La trasfigurazione si inserisce in una pausa del cammino, durante la quale Gesù si raccoglie alla presenza del Padre per scoprire, alla sua luce, ciò che era chiamato a diventare.
Nel quadro dell’opera lucana né la confessione di Petro né la trasfigurazione di Gesù giocano quel ruolo nevralgico che hanno invece nel vangelo di Marco. Tuttavia Luca presenta la trasfigurazione con tocchi così personali, la descrive sullo schema delle teofanie antiche, la carica di un tale significato cristologico, che costituisce una delle pagine più importanti di tutta la sua opera. Il ministero galilaico di Gesù volge al termine; davanti a lui si prospetta sempre più chiaramente Gerusalemme e la croce. Fin d’ora, Gesù, proprio mentre offre ai suoi discepoli un segno della sua gloria, ne parla con Mosè ed Elia in termini di “esodo”.
Questo brano da una parte conclude la sezione precedente, dall’altra getta un ponte verso la sezione seguente (l’esodo di cui si parla al v. 31 richiama direttamente l’assunzione di Gesù di cui al v. 51). Poiché si parla anche di gloria (doxa v. 32) e Gesù viene trasfigurato davanti ai suoi discepoli, è chiaro che Luca vuole offrire una anticipazione ed un preludio della gloria, che sarà definitiva, di Gesù risorto. Si può dunque pensare che tutta l’opera lucana sia costruita su tre grandi pilastri (che sono poi altrettante teofanie o, meglio, cristofanie): il Battesimo di Gesù, la Trasfigurazione e la Risurrezione-Pentecoste. Il genere letterario di Lc 9,28-36 è apocalittico, per questo pseudonarrativo. Imita le teofanie dell’esodo (cfr Es 39,16-20; 34,29-30), le “visioni” di Daniele (Dn 10,1-10), anticipa le cristofania (cfr Lc 24). A prima vista sembra addirittura un annuncio del Cristo risorto attraverso gli sfarzi di un linguaggio caratteristico, particolarmente efficace, incisivo. I particolari descrittivi servono a segnalare la persona di Gesù (Signore della gloria, maestro, figlio prediletto di Dio) e la sua missione (profeta e legislatore). In questo modo il discorso cristologico, che affiora in tutto il capitolo (vv. 7-9; 19-20; 21-22; 23-27) tocca il suo punto culminante.
Finalmente i discepoli possono sapere chi è in definitiva Gesù. La profezia della passione e il discorso della croce (vv. 22-27) avevano lasciato delusi gli apostoli; il quadro della risurrezione-glorificazione serve a rincuorare i loro animi. I due annunzi (passione-risurrezione) sono collegati anche da una nota cronologica: “otto giorni dopo” (v. 28a). Annotazione che in Luca assume una valenza simbolica, tanto è vero che ogni episodio della risurrezione (Lc 24,1.13.33) si aprirà con la stessa nota cronologica degli “otto giorni”.
Gesù prende il cammino verso il monte in compagnia dei tre apostoli prediletti. Sembra che ricalchi le orme di Mosè che avanza verso il Sinai insieme ai suoi fidi collaboratori (cfr Es 24,1-9). Anche le loro rispettive esperienze si avvicinano, solo che al posto della “gloria del Signore” qui sarà dato vedere Gesù stesso “glorificato”. La trasfigurazione è un’anticipazione della risurrezione-ascensione, ma tra tale avvenimento e il momento presente c’è il dramma del Golgota richiamato particolarmente dall’intervento di Pietro.
Il passo comprende tre parti: vv. 28-29, vv. 30-33, vv.34-36. Nelle parti estreme (vv. 28-29 e vv. 34-36), Gesù è solo con i suoi discepoli, mentre nella parte centrale (vv. 30-33) sopraggiungono Mosè ed Elia.

v. 28-29
Il monte nella tradizione biblica ed extrabiblica è il luogo privilegiato dell’incontro dell’uomo con Dio. Il Sinai, il Carmelo, il Sion sono teatro di esperienze religiose determinanti nella storia della salvezza. Anche nella vita di Gesù il monte ha avuto la sua importanza e incidenza. L’evangelista precisa, ed è l’unico a farlo, che Gesù si ritira sul monte a pregare. Anche il battesimo è stato ricevuto nel corso della preghiera (3,21). La “trasfigurazione” è come un’estasi che subentra in uno stato di normale raccoglimento.
Il mutamento che si verifica nelle vesti è un’adeguata espressione letteraria, più che un dato di cronaca. Esso mira a far comprendere la nuova condizione in cui Cristo è entrato. Invece di dire e fu trasfigurato davanti a loro, come Marco e Matteo, Luca preferisce insistere sulla preghiera di Gesù, situando il fatto in rapporto alla vita interiore di Gesù. È a questo livello che si decide in primo luogo la missione di Gesù. Luca evita i paragoni popolari di Marco e Matteo, così come evita di usare il verbo metemorphôthê che rischiava di suggerire un riferimento alle metamorfosi della mitologia pagana alle quali i suoi lettori potevano assimilare Cristo.

v. 30-31
La trasfigurazione e “comprovata” dall’apparizione dei due personaggi più noti della storia biblica, Mosè, l’uomo della legge, ed Elia, il padre del profetismo. Luca premette ai due personaggi l’appellativo due uomini, la stessa espressione che ritornerà a proposito dei due angeli della risurrezione (24,4) e dei due angeli dell’ascensione (At 1,10). La presenza dei due esponenti della storia antica non è fortuita. Essi, con tutta la tradizione che rappresentano, sono venuti a rendere testimonianza a Cristo e a rassegnare le proprie dimissioni di fronte a lui. Gesù è superiore a Mosè e ad Elia, a tutta l’economia che essi ricapitolano. Egli è la conclusione e lo sfocio della legge e dei profeti; tutti gli altri portaparola tacciono davanti a lui che è la Parola.
Tutti e tre i sinottici riferiscono la trasfigurazione, tutti e tre dicono che Gesù conversava con Mosè ed Elia, ma solo Luca precisa il contenuto delle parole dei due profeti: “Mosè ed Elia che […] parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme”. È dunque “l’uscita” di Gesù, cioè la sua passione e risurrezione, che annunciano la Legge e i Profeti, rappresentati da Mosè ed Elia. Gesù, risplendente di luce “sfolgorante” (v. 29c), trasfigurato (v. 29b), avvolto nella stessa “gloria” (v. 32b) che circonda Mosè ed Elia (v. 31a), ricevendo così la testimonianza della Legge e dei profeti, conversa con loro del suo “esodo che compirà a Gerusalemme” (v. 31b).
Non si potrebbe esprimere meglio l’idea che l’abbassamento è intrinsecamente legato alla gloria, che Gesù sarà glorificato in modo supremo quando sarà umiliato al punto estremo. Una cosa non va senza l’altra. È necessario che egli accetti la morte per accedere alla luce della risurrezione prefigurata dalla sua trasfigurazione. Questo è il contenuto della “conversazione” tra Gesù da una parte e Mosè ed Elia dall’altra. Tuttavia si deve notare che sono i due profeti i soggetti della frase; sono loro che indicano a Gesù la strada di Gerusalemme, dove soffrirà la passione per accedere alla gloria della risurrezione. Il lettore è dunque invitato a intendere che quanto tutte le Scritture – la Legge e i Profeti, rappresentati da Mosè e da Elia – annunciano non è altro che il mistero pasquale. Luca lo ribadirà nel racconto dell’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus: “Bisognava che si compissero tutte le Scritture nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi su di me” (24,44); “Così sta scritto che il Cristo patirebbe e si leverebbe dai morti il terzo giorno” (24,46).
Una lettura della vita di Gesù alla luce dell’Esodo, prospettata proprio alla vigilia del grande viaggio che secondo Luca (9,51-19,28) porterà Gesù verso la sua Pasqua, verso Gerusalemme, è estremamente illuminante per cogliere la dottrina cristologica del terzo vangelo e per concepire l’ideale di vita cristiana in modo conseguente. L’accenno alla città santa, che costituisce l’epicentro attorno a cui gravita tutta l’opera lucana, crea una forte tensione. Per Luca, Gerusalemme non è solo il teatro della passione e risurrezione, ma anche la mèta verso cui tende tutta la vita di Gesù: a Gerusalemme si svolgono in gran parte gli episodi della sua nascita-infanzia; a Gerusalemme Gesù dà inizio alle sue vittorie su Satana (v. 4,13); verso Gerusalemme tende tutto il suo grande viaggio (9,51; 9,53; 13,22; 13,33-34; 17,11; 18,31; 19,11.28); da Gerusalemme, una volta arrivato (19,45), Gesù non  ne esce più anche da risorto (agli stessi apostoli egli comanderà di non lasciare Gerusalemme, ma di attendere lì il dono dello Spirito Santo: 24,49); da Gerusalemme, infine, prenderà le mosse il viaggio missionario di Pietro e di Paolo, cioè la storia della Chiesa nascente.

vv. 32-33
In questo episodio emerge un certo parallelismo con il racconto dell’agonia di Gesù al Getsemani, non solo per l’accenno alla preghiera dei vv. 28-29, ma anche per l’esplicito riferimento alla debolezza dei discepoli, che non comprendono, non pregano e non riescono a vincere l’appesantimento del sonno (cfr 22,39-46) in questi momenti così decisivi, sia per la rivelazione che stanno per ricevere sia per la tentazione che sta per arrivare. Gli apostoli non hanno seguito l’esperienza di Gesù, si sono fatti sopraffare dal sonno qui come nel Getsemani.
Può essere un fatto reale, ma è soprattutto simbolico. Il sonno nella Bibbia è segno di torpore spirituale. Il racconto della trasfigurazione, così come quello dell’agonia, contiene un invito per i discepoli alla preghiera e alla vigilanza. Per capire il piano divino occorre vigilanza, prontezza, preghiera, ascolto. Pietro rinnegherà il maestro perché ha dormito nell’orto, ora cade in grossi abbagli per la stessa ragione. I cristiani a cui Luca si rivolge debbono prendere sempre ammonimento da queste esperienze rivelatrici.
Pietro, a nome anche degli altri, non riesce a comprendere, non vuole sentir parlare di “esodo”; non ha voglia di salire “a Gerusalemme” (v. 31b). Gli interessano solo “la gloria” e la presenza immediata: “È bello per noi stare qui!” (v. 33c). Questa è del resto l’iscrizione, in latino, nell’abside della Basilica costruita nel 1923 sul monte Tabor in Galilea, dove la tradizione situa la trasfigurazione! Pietro vuole restare con il maestro e con i suoi due gloriosi visitatori, rifiutando la separazione: sia la separazione imminente, che gli porterà via la presenza di Mosè e di Elia, che la separazione da Gesù, che si profila in un futuro che non tarderà ad arrivare. Pietro non si vuole muovere: “Facciamo tre tende”. È del tutto pronto a dormire fuori, purché Gesù, Mosè ed Elia restino lì.
La proposta di Pietro parte da un’interpretazione superficiale dell’avvenimento. La sua tentazione di cancellare la passione è istintiva nell’uomo e nelle stesse file cristiane; la tendenza a raggiungere la beatitudine senza passare attraverso prestazioni onerose affiorerà anche in Gesù nel Getsemani (22,42).

vv. 34-35
Pur essendo generoso, il desiderio di Pietro è tuttavia fuori posto. Colui che Gesù ha “pregato” e che lo ha trasfigurato (vv. 28-29) fa sentire la sua voce per trasfigurare anche i tre apostoli. Trasfigura non il loro volto e le loro vesti, ma il desiderio del loro cuore. Pietro è chiamato a non ascoltare più il proprio desiderio, ma ad “ascoltare” il desiderio di Gesù che è lo stesso desiderio del Padre. Dopo la luce, devono entrare nella “nube” oscura e nel silenzio (v. 36bc), custodendo solo il ricordo di una presenza luminosa per affrontare le tenebre che li attendono con Gesù. La visione non termina con la scomparsa dei due uomini (v. 33), ma entra in una seconda fase. L’interrogativo su “chi è Gesù” trova risposta per bocca di Dio stesso. La nube, elemento caratteristico delle teofanie veterotestamentarie (Es 16,10; 19,9; 24,15-16; Lv 16,2; Nm 11,25), segnala che sta per verificarsi una manifestazione di Jahvè. Essa avvolge non solo Gesù, ma anche gli apostoli. Allora, specifica Luca, essi furono presi da timore: incominciano a comprendere. “Quando entrarono nella nube” la presenza di Dio li coinvolge. Vengono resi partecipi del mistero che accade. La voce che viene dalla nube fa la più esplicita presentazione di Gesù ai tre apostoli. In parte essa riecheggia quella del battesimo (3,22). Tuttavia, mentre nella scena del battesimo la voce si fece sentire a Gesù come conferma della sua messianicità (Tu sei il mio Figlio …: 3,22), qui il Padre si pronuncia circa la messianicità di Gesù in vista degli apostoli (Questi è il mio Figlio …). La teofania sfocia in una rivelazione e questa è a servizio di una missione. Gli apostoli hanno visto in anteprima, con l’esperienza avuta sul monte, il regno di Dio, ma hanno appreso anche l’esigenza insopprimibile della passione, della morte di croce quale premessa per giungere alla gloria della risurrezione. Il Cristo doveva soffrire per entrare nella gloria, preciserà Gesù stesso ai discepoli di Emmaus ribadendo la medesima legge della morte per la vita o della vita attraverso la morte (cfr 24,26).
L’esperienza della trasfigurazione ha aperto uno spiraglio sul futuro, ma ha anche confermato il presente, illustrando ulteriormente la persona e la missione di Gesù: “Chi è costui?” (v. 9). Egli è “il Cristo” ha risposto Pietro (v. 20); è il “Figlio” aggiunge la voce del Padre (v. 35). Mosè ed Elia con la loro presenza attestano che egli è il legislatore e il profeta escatologico. La risposta non poteva essere più completa.
Mosè era stato chiamato “il suo eletto” (Sal 106,23) ma non fu l’unico. Anche Aronne (Sal 105,26), Saul (2Sam 21,6) poi rigettato, e soprattutto Davide (1Re 11,34; Sal 89,4) e Salomone (1Cr 28,5-6) sono detti “eletti” da Dio; ci sarà poi il personaggio enigmatico del servo del Signore (Is 43,10), identificato altrove con Israele (Is 41,9). Ma il primo di tutti fu Abramo (Ne 9,7), figura emblematica e originaria dell’elezione del popolo (Dt 7,6; 14,2) che porterà il nome di suo nipote: Giacobbe, cambiato da Dio in “Israele”. Gesù è l’erede e il punto di arrivo, colui in cui si compie l’elezione. È l’eletto degli eletti.
L’ultima parola di Dio è alla lettera “Lui ascolterete!”. Essa richiama le parole di Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; lui ascolterete” (Dt 18,15; citate da Luca in At 3,22; 7,37). Sulla montagna della trasfigurazione le parole di Dio risuonano non appena sono spariti Mosè ed Elia, lasciando il posto a Gesù solo.

v. 36
Alla fine sulla scena rimane Gesù solo davanti ai discepoli. La sottolineatura “Gesù… solo” non è a caso. Non c’è nessun altro maestro o profeta all’infuori di lui. Mosè ed Elia gli hanno ceduto il posto eclissandosi.
Sul grande avvenimento cade un velo di silenzio, ma rituale e tattico, più che reale. La trasfigurazione appare alla fine come un’esplicazione dell’annuncio della risurrezione a cui l’evangelista ha fatto menzione al termine della profezia della passione (v. 22). Un tale evento non poteva essere segnalato con la sola frase “nel terzo giorno risorgerà” (v. 22). Era necessario un discorso più dettagliato e più convincente (vv. 28-36).
Pietro, Giovanni e Giacomo, sul monte, come Mosè sul Sinai, hanno potuto vedere senza morire “la gloria di Dio” che risplende sul volto di Cristo. Come il lampo, come le visioni della notte e dei sogni, questa dura pochissimo tempo. Tuttavia, è fondatrice, per loro e anche per il lettore al quale è rivelata. Da se stessi, senza che Gesù abbia bisogno di intervenire in proposito, i tre apostoli capiscono che devono “tacere e non riferire a nessuno ciò che avevano visto”; e la scena finisce nel silenzio. Infatti, le esperienze più forti, più intime, non possono essere comunicate, sotto pena di essere fraintese; se ne può parlare solo con quelli che le hanno condivise.

SINOSSI DELLE TRE LETTURE
Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, Dio, passando in mezzo agli animali divisi, stipula con Abramo la prima alleanza e, attraverso lui, capostipite degli eletti, elegge il popolo di Israele, il popolo santo che preparerà le vie a Cristo. Gesù è colui che, come sottolinea il Vangelo, ha portato a compimento l’antica elezione di Abramo, Egli è l’eletto degli eletti, l’unico degno di essere ascoltato. Egli, come attesta la seconda lettura, “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3,21).

Appendice
La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo do Gesù Cristo
Il Signore manifesta la sua gloria alla presenza di molti testimoni e fa risplendere quel corpo, che gli è comune con tutti gli uomini, di tanto splendore, che la sua faccia diventa simile al fulgore del sole e le sue vesti uguagliano il candore della neve. Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo.
Ma, secondo un disegno non meno previdente, egli dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa, perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato oggetto, e perché anche le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria, che era brillata nel Capo.
Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: “Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13,43). La stessa cosa affermava l’apostolo Paolo dicendo: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rom 8,18). In un altro passo dice ancora: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria” (Col 3,3.4).
Ma, per confermare gli apostoli nella fede e per portarli ad una conoscenza perfetta, si ebbe in quel miracolo un altro insegnamento. Infatti Mosè ed Elia, cioè la legge e i profeti, apparvero a parlare con il Signore, perché in quella presenza di cinque persone si adempisse esattamente quanto è detto: “Ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (Mt 18,16). Che cosa c’è di più stabile, di più saldo di questa parola, alla cui proclamazione si uniscono in perfetto accordo le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento e, con la dottrina evangelica, concorrono i documenti delle antiche testimonianze? Le pagine dell’uno e dell’altro Testamento si trovano vicendevolmente concordi, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo viene rivelato dallo splendore della gloria presente. Perché, come dice san Giovanni: “La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). In lui si sono compiute le promesse delle figure profetiche e ha trovato attuazione il senso dei precetti legali: la sua presenza dimostra vere profezie e la grazia rende possibile l’osservanza dei comandamenti.
All’annunzio del Vangelo si rinvigorisca dunque la fede di voi tutti, e nessuno si vergogni della croce di Cristo, per mezzo della quale è stato redento il mondo.
Nessuno esiti a soffrire per la giustizia, nessuno dubiti di ricevere la ricompensa promessa, perché attraverso la fatica si passa al riposo e attraverso la morte si giunge alla vita. Avendo egli assunto le debolezze della nostra condizione, anche noi, se persevereremo nella confessione e nell’amore di lui, riporteremo la sua stessa vittoria e conseguiremo il premio promesso.
Quindi, sia per osservare i comandamenti, sia per sopportare le contrarietà, risuoni sempre alle nostre orecchie la voce del Padre, che dice: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). (San Leone Magno, papa, Discorso 51,3-4.8; PL 54,310-311.313)

Luce di compassione
Alcuni giorni prima della trasfigurazione, Pietro era già illuminato interiormente e aveva riconosciuto il suo maestro come il Cristo di Dio. Gesù aveva allora incominciato ad alzare il velo sui prossimi avvenimenti: doveva soffrire, essere condannato a morte e risorgere. È tra questi due annunci che prende l’iniziativa di salire sul monte. Il sorgere della trasfigurazione appariva fin d’allora attraverso il “non detto” degli evangelisti. Compiuta la catechesi preparatoria alla sua Pasqua, Gesù è deciso ad avanzare verso la realizzazione. In tutto il suo essere, con tutto il suo “corpo”, è abbandonato alla volontà amante del Padre, vi aderisce totalmente. Tutto ormai tradurrà il suo “si” incondizionato all’amore del Padre, fino a quel ultimo combattimento dell’agonia dove gli stessi discepoli saranno invitati.
Indubbiamente dobbiamo entrare nel mistero di questa adesione d’amore per capire che la trasfigurazione non è lo svelamento impassibile della luce del Verbo agli occhi degli apostoli, ma il momento intenso in cui Gesù non fa più che uno, mediante tutto il suo essere, con la Compassione del Padre. In quei giorni decisivi egli è più che mai trasparente alla luce d’amore di Colui che lo dona agli uomini per la loro salvezza. Quindi, se Gesù è trasfigurato, è perché il Padre fa rifulgere in lui la sua gioia. L’irradiamento della sua luce nel suo corpo di compassione è come il fremito del Padre che risponde al dono totale del suo Unigenito. Da lì, la voce che attraversa la nube: “Costui è il mio Figlio diletto! In lui riposa tutta la mia compiacenza … ascoltatelo!” (Mt 17,5).
Si capisce l’emozione improvvisa di Mosè e di Elia: essi che avevano percepito la prossimità della Gloria divina impaziente di salvare gli uomini, ecco che ora la contemplano nel corpo del Figlio dell’uomo. “Ho osservato la miseria del mio popolo … ho udito il suo grido … conosco le sue sofferenze … sono deciso a liberarlo” (Es 3,7-8); “Rispondimi, Signore, rispondimi … sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, perché gli israeliti ti hanno abbandonato …” (1 Re 18,37; 19,10): queste non sono più parole divine, né parole d’uomo, ma il Verbo stesso nella sua umanità; non più una promessa e una attesa, ma l’Evento, “la realtà è il corpo di Cristo” (Col 2,17). Mosè ed Elia possono lasciare la grotta del Sinai senza velarsi il volto: essi contemplano la sorgente della luce nel corpo del Verbo.
Quanto ai tre discepoli, essi sono inondati per alcuni secondi da ciò che sarà loro dato di ricevere, di comprendere e di vivere a partire da Pentecoste: la luce deificante che emana dal corpo di Cristo, le Energie multiformi dello Spirito che dà la Vita. Allora essi sono rovesciati al suolo perché “Quello - là” è non soltanto “Dio con gli uomini”, ma Dio-Uomo: nulla può passare da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio se non per il suo corpo.
Non c’è più distanza ormai tra la materia e la divinità: nel corpo di Cristo la nostra carne è in comunione con il Principe della Vita, senza confusione né separazione. Ciò che il Verbo inaugurò nella sua Incarnazione e si manifestò a partire dal battesimo nei suoi miracoli, la trasfigurazione ne fa intravedere lo sviluppo: il corpo del Signore Gesù è il sacramento che dà la vita di Dio agli uomini. Quando la nostra umanità acconsentirà ad unirsi all’umanità di Gesù, parteciperà allora alla natura divina (2 Pt 1,4), sarà deificata.
(J. Corion, Liturgia alla sorgente, pp.81-82)

Il sole della Trasfigurazione
"La sua faccia divenne come il sole" (Mt 17,2).
Che meraviglia che la sua faccia sia diventata come il sole, se egli è il Sole? Che c`è di strano che la faccia del Sole diventi come il sole? Era il Sole, ma nascosto sotto una nube; rimossa la nube, ecco che splende. Che cosa è questa nube che viene rimossa? Non proprio la carne, ma la debolezza della carne, che viene rimossa per un istante. E` la nube della quale il Profeta disse: "Ecco il Signore sale sopra una nube leggera" (Is 19,1). La nube-carne che cela la divinità; leggera, perché non appesantita da colpe. Nube che cela lo splendore divino; leggera, sollevata anch`essa agli eterni splendori. Nube, perché come si legge nel Cantico: "Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo" (Ct 2,2); leggera, perché è la carne dell’Agnello che porta via i peccati del mondo. Portati via questi! il mondo s’innalza fino al cielo. Coperto da questa nube della carne il Sole, non questo sole che sorge per i buoni e per i cattivi, ma il Sole di giustizia, che sorge solo per quelli che temono Dio. Oggi però, sebbene coperta da questa nube di carne la luce che illumina ogni uomo ha manifestato il suo splendore, glorificando anche la sua carne e mostrandola deificata agli apostoli e, attraverso gli apostoli, a tutto il mondo. Della contemplazione di questo Sole anche tu, Città beata, godrai in eterno, quando, discesa dal cielo, sarai ornata come sposa preparata da Dio per il suo sposo. Questo Sole non tramonterà più per te, esso ti stende un eterno mattino sereno. Questo Sole non sarà più coperto di nubi, ma rifulgendo sempre ti ravviva di luce incessante. Questo Sole non ti acceca, ma ti aiuta a vedere, t’invade di divino fulgore. Questo Sole non conosce eclissi, perché il suo fulgore non viene interrotto da nessun tuo dolore; perché "non ci sarà più né morte, né lutto, né dolore, né grida" che possano oscurare lo splendore a te dato da Dio perché, come fu detto a Giovanni: "Queste cose ormai sono passate" (Ap 21,4). Questo è il Sole del quale il Profeta disse: "Non sarà il sole a farti luce di giorno, né la luna t`illuminerà di notte, ma il Signore tuo Dio sarà la tua luce eterna" (Is 60,19). Questa è la tua luce eterna, che viene dalla faccia del Signore. Senti la voce del Signore, senti la fulgente faccia del Signore; nella faccia, per cui uno è riconosciuto, riconoscete la sua illuminazione. Qui lo credi per fede, lì lo vedrai. Qui vien compreso per intelligenza, lì lo vedrai in se stesso.
Qui vedi attraverso uno specchio e in immagini, li lo vedrai a faccia a faccia (1Cor 13,12). Allora davvero, com`egli ti conosce, sarai irraggiato dal suo eterno splendore, ne sarai felicemente illuminato, gloriosamente illustrato. Allora sotto lo splendore del volto di Dio, si avvererà ciò che il Profeta desiderava: "Faccia risplendere il suo volto sopra di noi" (Sal 66,2). (Pietro il Vener., Sermo 1, passim)

In questa seconda domenica di Quaresima la liturgia è dominata dall’episodio della Trasfigurazione, che nel Vangelo di san Luca segue immediatamente l’invito del Maestro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua! (Lc 9,23). Questo evento straordinario, è un incoraggiamento nella sequela di Gesù.
Luca non parla di Trasfigurazione, ma descrive quanto è avvenuto attraverso due elementi: il volto di Gesù che cambia e la sua veste che diventa candida e sfolgorante, alla presenza di Mosè ed Elia, simbolo della Legge e dei Profeti. I tre discepoli che assistono alla scena sono oppressi dal sonno: è l’atteggiamento di chi, pur essendo spettatore dei prodigi divini, non comprende. Solo la lotta contro il torpore che li assale permette a Pietro, Giacomo e Giovanni di “vedere” la gloria di Gesù. Allora il ritmo si fa incalzante: mentre Mosé ed Elia si separano dal Maestro, Pietro parla e, mentre sta parlando, una nube copre lui e gli altri discepoli con la sua ombra; è una nube, che, mentre copre, rivela la gloria di Dio, come avvenne per il popolo pellegrinante nel deserto. Gli occhi non possono più vedere, ma gli orecchi possono udire la voce che esce dalla nube: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (v. 35).
I discepoli non sono più di fronte ad un volto trasfigurato, né ad una veste candida, né ad una nube che rivela la presenza divina. Davanti ai loro occhi, c’è “Gesù solo” (v. 36). Gesù è solo davanti al Padre suo, mentre prega, ma, allo stesso tempo, “Gesù solo” è tutto ciò che è dato ai discepoli e alla Chiesa di ogni tempo: è ciò che deve bastare nel cammino. È lui l’unica voce da ascoltare, l’unico da seguire, lui che salendo verso Gerusalemme donerà la vita e un giorno “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21).
“Maestro, è bello per noi essere qui” (Lc 9,33): è l’espressione estatica di Pietro, che assomiglia spesso al nostro desiderio di fronte alle consolazioni del Signore. Ma la Trasfigurazione ci ricorda che le gioie seminate da Dio nella vita non sono punti di arrivo, ma sono luci che Egli ci dona nel pellegrinaggio terreno, perché “Gesù solo” sia la nostra Legge e la sua Parola sia il criterio che guida la nostra esistenza. (Benedetto XVI, Angelus 28 febbraio 2010, II domenica di Quaresima)

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