FIGLIE DELLA CHIESA,LECTIO DIVINA "Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà"(Mt 6,1-6.16-18)

Mercoledì delle Ceneri(Mt 6,1-6.16-18)
 Con l’inizio della Quaresima la Chiesa apre davanti a noi un nuovo tempo di Grazia, un tempo di
ricostruzione e di recupero di un rapporto più autentico con Dio, con sé stessi, con i fratelli. La chiave di comprensione spirituale del Vangelo che ci viene offerto per il Mercoledì delle Ceneri è data dalla prima lettura: “Ritornate a me con tutto il cuore, dice il Signore” (Gl 2,12). Il verbo “ritornare”, in greco “epistrefw”, vuol dire rivolgersi indietro, dirigersi verso; l’immagine lascia intendere che è come se si fosse lasciato Dio alle spalle, se si fosse andati oltre, credendo di poter camminare senza di Lui. Ecco dunque che lo sguardo del cuore, il desiderio, le spinte si sono rivolti ad altri che a Lui, ma in realtà è uno sguardo e un desiderio che si sono abbassati.

            Quando l’uomo assume questo atteggiamento cade nell’idolatria, perché il suo cuore assetato di infinito, se non sbocca in Dio, deve necessariamente trovare dei surrogati che lo illudano di essere più grandi di lui e quindi di poterlo salvare: egli ha continuamente bisogno di pilastri su cui potersi appoggiare.

            Ecco dunque l’amorevole e paziente richiamo di Dio che non si stanca mai di attrarre a Sé i suoi figli. Noi non siamo capaci di perdonare dopo aver ricevuto un solo torto, Dio invece è “pronto a ravvedersi riguardo al male” (Gl 2,13), nonostante i continui allontanamenti dell’uomo. Sulla stessa linea è Gesù, la Parola di Dio incarnata, che si è fatto vicinissimo all’uomo; con la stessa premura Egli indica la strada a quanti lo ascoltano e desiderano vivere secondo il progetto di Dio.



Contesto

            Il contesto nel quale è inserita la nostra pericope è il discorso della montagna. Gesù sta parlando a quanti si sono avvicinati a Lui e l’evangelista li identifica come “i suoi discepoli”; anche noi che ci accostiamo a Cristo per ascoltarne la parola entriamo in questo rapporto di discepolato. Occorre tenere presente che l’evangelista Matteo scrive rivolgendosi a un contesto giudaico. Siamo al centro del discorso della montagna e in questi versetti vengono trattati i tre pilastri della pietà giudaica: elemosina, preghiera, digiuno. Matteo non può non tener conto del rapporto tra il vecchio giudaismo e la novità apportata da Cristo. Quando l’autore scrive il suo Vangelo si trova a vivere in un contesto di polemica in cui avverte tutta la fatica di far accogliere la comunità cristiana nella sinagoga.

            I temi trattati rappresentano un punto molto delicato della polemica poiché qui si trova la pietra d’inciampo per coloro che credono ancora di potersi salvare attraverso le proprie opere di giustizia. Sembra fare eco il brano del fariseo e del pubblicano in cui in realtà ad essere giustificato non è il bravo ed osservante fariseo ma il pubblicano che confida solo nel perdono di Dio (cfr Lc18,9-14). In realtà, con il suo insegnamento Gesù non vuole abrogare la legge giudaica ma punta ad una sua interiorizzazione, ciò che avrebbe dovuto fare Israele nel corso del tempo ma che ha tralasciato di fare. Da ciò derivano i continui richiami di Dio attraverso i suoi profeti fino a giungere alla pienezza dei tempi in cui inviò il suo stesso Figlio.

1: State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

            L’atteggiamento a cui Gesù invita i suoi uditori è di riflessività e di vigilanza rispetto al motivo per cui si compiono il bene e le opere di giustizia. Questa attitudine è propria di chi veglia, di chi tiene desta la sua attenzione e i suoi sensi per scrutare qualcosa, di chi si pone a conoscere una realtà ignota; è un atteggiamento che comporta apertura e desiderio nei confronti di tale realtà da conoscere. Questa vigilanza deve essere rivolta a se stessi e alle proprie intenzioni, in una parola al proprio cuore. In altri termini Gesù invita a diffidare delle proprie apparenze, delle maschere interiori che possiamo indossare davanti agli altri e talvolta anche con noi stessi, per sentirci a posto. Il fare delle cose giuste non sempre ha radici nelle profondità del cuore dell’uomo, quindi è come se questo “fare” fosse vuoto. A Dio non interessa questo tipo di “fare giustizia” ed essa non ha una ricompensa presso di Lui. Un tipo di agire così può essere lodato da uno sguardo superficiale, ma il tutto si risolve lì, in una lode umana che sarà l’unica nostra ricompensa, ma che ci appagherà per ben poco tempo.

2: Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

            Il termine “elehmosunh” viene tradotto anche con “misericordia” in altri testi; dunque non si tratta solo del dare una moneta ma di un atteggiamento del cuore che guarda con benevolenza a chi è nel bisogno. L’esercizio della misericordia è il vero culto gradito a Dio: “misericordia io voglio e non sacrifici” dice il Signore in Os 6,6. L’esempio ironico dell’evangelista si rifà a una pratica dell’epoca: infatti, quando qualcuno devolveva forti somme di denaro a favore dei poveri si nominava nelle funzioni religiose pubbliche o sedeva in un posto d’onore ben in vista nella sinagoga, accanto ai rabbini. Questo era motivo di prestigio personale e quindi un’occasione per potersi sentire grande davanti alla comunità. In questo troviamo l’ironia dell’espressione “suonare la tromba” davanti a sé, per farsi notare.

            Gesù denuncia la stessa logica che sottende il monito precedente: il riconoscimento degli uomini può essere il motivo per cui si compie un gesto altruistico come l’elemosina. Ma il cuore dell’uomo non ne troverà soddisfazione per molto. Ciò a cui noi aspiriamo come figli di Dio è una ricompensa che non ha fine e che coincide con la compiacenza del Padre verso di noi, così come si è compiaciuto nel suo Figlio.


3: Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra.

            È una delle tante frasi paradossali che Gesù usa per sottolineare la forza del messaggio che vuole dare. È un invito a una tale libertà interiore, da se stessi, dalle proprie grette mire di autoaffermazione al punto da dire: fa’ il bene come se non fossi tu a farlo. Un autore ricollega questo atteggiamento al brano di Mt 25,31-46, in cui il giusto sta davanti a Dio come uno che non sa di avere fatto del bene.

4: perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

            Un’opera buona fatta nel segreto è qualcosa di quanto più gratuito ci possa essere. E questo è molto buono e positivo per l’uomo. Tuttavia il testo del Vangelo continua parlandoci della presenza di uno sguardo che è sempre presente nella nostra vita, quello del Padre, che vede ogni cosa, anche nel segreto. Egli ci ricompenserà per quanto abbiamo fatto perché l’amore per il prossimo è amore a Dio: “l’avete fatto a me” dirà il Signore nel giorno del giudizio.

5: E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

            L’ipocrisia denunciata per la seconda volta da Gesù è esattamente quella apparenza che è propria degli ipocriti. La parola “ipocrita” in greco “upokriths” significa in primo luogo “attore”, colui che recita una parte, che interpreta un personaggio che non corrisponde alla sua vera identità. Pregare per ipocrisia è quanto di più inutile si possa fare; è come il sale che perde sapore. Che cos’è la preghiera se non è più desiderio di incontro con Dio, bisogno di Lui, della sua Parola che salva, risana, consola, illumina, benedice? Le pratiche devote o i ritualismi fatti per consuetudine o “perché tutti fanno così” sono come pula che il vento disperde, senza consistenza, senza significato, senza alcuna importanza per la nostra crescita spirituale. In questo l’ipocrita si identifica con l’empio, che ha allontanato il suo cuore da Dio, non ha più il Suo santo timore. Anche questo esempio rende in modo plastico un’immagine che gli uditori del tempo potevano ben comprendere: gli angoli delle piazze erano i crocevia dove si snodavano diverse strade e quindi dove c’era maggior affollamento di persone. Chi pregava stava in posizione eretta e bisbigliava e dunque era ben riconoscibile chi lo faceva.

6: Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

            Gesù invita a una preghiera che è dialogo intimo e profondo con Dio, riconosciuto come Padre; ciò che sta a cuore al Signore Gesù è comunicare a quanti lo ascoltano il vero rapporto che Dio vuole con ogni uomo, da padre a figlio, cuore a cuore. Quello che il Maestro vuole insegnare è innanzitutto il suo rapporto di Figlio; in Lui noi abbiamo la possibilità di entrare in relazione con Dio con la sua stessa confidenza e intimità.

16: E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

            Anche questa analisi di Gesù dimostra la sua profonda conoscenza dell’animo umano. Avere un’espressione malinconica, fosca, dà l’impressione di essere presi da qualcosa di serio, di molto importante. Anche questo è un modo per apparire “impegnati” davanti alla gente. È interessante riflettere sul perché oggi noi digiuniamo; ha ancora senso questa pratica? In effetti il non mangiare ci mette di cattivo umore, e più che migliori diventiamo anche più aggressivi. Che senso ha allora digiunare? E quale digiuno è veramente una purificazione per noi? Privarsi volontariamente del cibo ha un profondo significato per la nostra vita interiore. Il cibo è ciò che ci garantisce di rimanere in vita; da sempre il digiuno è associato alla preghiera. Digiunare e pregare perciò ci aiuta a fare l’esperienza di abbandonare le cose terrene per volgersi a ciò che è eterno, immateriale, ma dal quale riconosciamo che abbiamo la vera vita, ciò che ci dà la vera gioia, ed è questa che dobbiamo mostrare al mondo.

17- 18: Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

            Anche il digiuno, in quanto opera di penitenza, non deve essere ostentato. È nella scoperta di ciò che è veramente importante per l’uomo che ha senso questo atteggiamento di gioia e di festa. Solo chi ha attraversato l’esperienza di precarietà della propria esistenza e della povertà che ci contraddistingue riesce a semplificare la propria visione della vita e sa veramente godere e fare festa. È la gioia dei veri poveri in spirito che pur nel poco sanno gioire di ciò che hanno. Chi volontariamente sceglie Dio come sommo Bene, può vivere il digiuno con lo spirito di chi sa che è preparato per lui ben altro banchetto, in cui poter godere e deliziarsi; ha scelto infatti la parte migliore Appendice
Molte sono le vie di accesso alla misericordia del Salvatore

            La definizione piena e perfetta di penitenza comporta che noi non accettiamo mai più i peccati di cui facciamo penitenza o di cui la coscienza ci rimorde. E` poi indizio che abbiamo raggiunto l’indulgenza e la soddisfazione se siamo riusciti a cacciare dal nostro cuore ogni legame interiore verso di essi. Sappia ognuno, infatti, che non è ancora sciolto dai suoi peccati se, pur applicandosi al pianto e alla soddisfazione per essi gli si presenta agli occhi l’immagine delle colpe compiute o di altre simili, e non dirò il diletto, ma solamente il ricordo di quelli infesta l’intimo della sua mente. Perciò, chi si è tutto dedicato alla soddisfazione sappia che sarà assolto dai suoi delitti ed avrà ottenuto perdono dalle colpe passate quando sentirà che il suo cuore è perfettamente libero dall’attrattiva di quei vizi e dalla loro stessa immaginazione. Nella nostra coscienza stessa, dunque, vi è quasi un giudice esattissimo della nostra penitenza e del perdono ottenuto: sentenzia l’assoluzione dei nostri reati prima del giorno del giudizio, a noi, viventi ancora in questa carne, e ci annuncia la grazia della remissione e della perfetta soddisfazione. E per esprimere con più efficacia ciò che è stato detto: allora solo dobbiamo ritenere che il contagio dei nostri vizi passati è finalmente svanito, quando dal nostro cuore saranno state scacciate le brame delle presenti voluttà, insieme con le nostre passioni…

            Oltre alla grande, universale grazia del battesimo e oltre al dono preziosissimo del martirio che cancella le colpe con l`abluzione del sangue, molti sono ancora i frutti di penitenza per i quali si perviene all’espiazione dei peccati. La salvezza eterna infatti non vien solo promessa alla penitenza per la quale si perviene all’espiazione dei peccati. La salvezza eterna infatti non vien solo promessa alla penitenza propriamente detta, di cui dice il beato apostolo Pietro: Fate penitenza, convertitevi: così i vostri peccati saranno cancellati! (At 3,19), e Giovanni Battista, anzi lo stesso Salvatore: Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino! (Mt 4,17); ma anche l’amore atterra un cumulo di peccati: La carità infatti copre la moltitudine dei peccati (1Pt 4,8).

            Parimenti, anche l’elemosina porge rimedio alle nostre ferite, perché come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina estingue il peccato (Sir 3,29). Così le lacrime sparse ottengono l’astersione dei peccati; infatti: Vo bagnando tutte le notti il mio letto, irrigo di lacrime il mio giaciglio (Sal 6,7); e subito poi si aggiunge, per mostrare che esse non furono sparse inutilmente: Allontanatevi da me, voi tutti o malfattori, perché il Signore ha udito il grido del mio pianto (Sal 6,9). Anche con la confessione delle colpe ne vien concessa la purificazione; dice infatti la Scrittura: Ho detto: Proclamerò contro di me la mia ingiustizia al Signore; e tu hai perdonato l’empietà del mio peccato (Sal 31,5), e ancora: Esponi tu per primo le tue iniquità, per esserne giustificato (Is 43,26).

            Cosí anche con l’afflizione del cuore e del corpo si ottiene la remissione dei delitti commessi; dice infatti: Vedi la mia bassezza e la mia sofferenza, e perdona tutti i miei peccati (Sal 24,18); ma soprattutto con il mutamento della propria condotta. Togliete dai miei occhi la cattiveria dei vostri pensieri. Smettete di agire perversamente, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la vedova, e poi venite ed esponete a me i vostri lamenti, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero rossi come lo scarlatto, biancheggeranno come la neve; se fossero del colore della porpora, diventeranno bianchi come candida lana (Is 1,16s.).

            Talvolta si impetra indulgenza per i propri delitti anche per l’intercessione dei santi. Infatti: Chi sa che suo fratello commette un peccato che non conduce a morte, preghi, e Dio darà la vita a chi ha commesso un peccato che non conduce a morte (1Gv 5,16); e ancora: Se qualcuno di voi è infermo, faccia venire gli anziani della Chiesa; essi pregheranno su di lui ungendolo con olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà l`infermo; e il Signore lo allevierà, e se fosse in peccato gli sarà perdonato (Gc 5,14s.).

            Vi è anche il caso in cui si purga la macchia dei peccati per merito della fede e della misericordia, secondo il detto: Per la misericordia e la fede vengon cancellati i peccati (Pr 15,27); spesso poi anche per la conversione e la salvezza di coloro che sono salvati dalla nostra predicazione e dai nostri ammonimenti: Infatti chi farà convertire un peccatore dall’errore della sua via, salva l’anima di quello dalla morte e copre una moltitudine di peccati (Gc 5,20). Infine otteniamo indulgenza per le nostre scelleratezze con la nostra indulgenza e magnanimità: Se infatti perdonerete agli uomini i loro peccati, anche a voi il Padre vostro celeste perdonerà i vostri delitti (Mt 6,14).

            Vedete dunque quante sono le vie di accesso alla misericordia che la clemenza del nostro Salvatore ci ha aperto: perciò nessuno che desidera la salvezza si lasci fiaccare dalla disperazione, vedendo con quanti mezzi è invitato alla vita. Se ti lamenti che per la debolezza della tua carne non puoi cancellare i tuoi peccati con la sofferenza del digiuno, riscattali con la larghezza nelle elemosine. E se non hai cosa dare ai poveri (per quanto la necessità o la povertà non escluda nessuno da questa santa opera, dato che le due sole monetine di bronzo di quella vedova furono più stimate delle larghe offerte dei ricchi e per quanto il Signore prometta la ricompensa anche per un bicchiere di acqua fresca), anche senza di ciò, li puoi cancellare cambiando la tua vita.

            Inoltre, se non ti senti di raggiungere la perfezione della virtù estinguendo tutti i vizi, dedicati con pia sollecitudine all’utilità e alla salvezza altri. Ma se obietti di non sentirti idoneo a questo ministero, puoi coprire i tuoi peccati con l’intimo amore. E se anche a questo l’ignavia del tuo spirito ti rende debole, in umiltà e fervore implora almeno con l’orazione e l’intercessione dei santi il rimedio alle tue ferite. Chi è che non possa dire in tono supplichevole: Ho palesato a te il mio peccato e non ho nascosto la mia ingiustizia? E per questa confessione si merita di soggiungere con confidenza: E tu hai perdonato l’empietà del mio cuore (Sal 32,5).

            Se poi la vergogna ti impedisce, ti fa arrossire di rivelarli davanti agli uomini, non cessare di confessarli con suppliche continue a colui cui non sono celati, dicendo: Conosco la mia iniquità e il mio peccato mi sta sempre dinanzi; contro te solo ho peccato e ho agito male al tuo cospetto (Sal 50,5). Egli è solito perdonare le colpe anche senza la vergogna della pubblicità.

            Ma oltre a questi mezzi di salvezza facili e sicuri la divina degnazione ce n’ha concesso un altro più facile, rimettendo al nostro arbitrio il nostro rimedio, perché al nostro sentimento stesso è dato acquistare l’indulgenza delle nostre colpe, quando diciamo a lui: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12).

            Chiunque perciò desidera pervenire all’indulgenza per le sue colpe, curi di dedicarsi a questi mezzi; la pervicacia di un cuore indurito non allontani da lui, dalla sua salvezza, la fonte di tanta bontà; infatti anche se faremo tutto ciò, nulla sarà sufficiente ad espiare le nostre colpe, se non sarà la bontà e la clemenza del Signore a cancellarle. (Giovanni Cassiano, Conf., 20, 5.8)



I miracoli del Signore sono segni

            Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell`anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L’uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l’uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita.

            Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell’obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l’avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà. (Agostino, In Io. evang., 49, 2)



Aiuto e consolazione della penitenza

            La condizione della nostra fragile natura non ammette che qualcuno sia senza macchia. Perciò l’ultimo nostro rimedio è rifugiarci nella penitenza, che ha un posto non piccolo fra le virtù, essendo miglioramento di noi stessi: così, se cadiamo o per le parole o per le opere, subito ci ravvediamo, confessiamo di aver peccato e chiediamo perdono a Dio, il quale, nella sua misericordia, non lo nega se non a chi persevera nell’errore. E` grande l’aiuto della penitenza, è grande la sua consolazione. Essa è la guarigione delle ferite del peccato, la speranza, il porto di salvezza: chi la nega, toglie a se stesso la vita della sua vita, perché nessuno può essere tanto giusto che la penitenza non gli sia talvolta necessaria. Ma noi, anche se non abbiamo peccato, dobbiamo tuttavia aprire la nostra anima a Dio e scongiurarlo ugualmente per le nostre colpe, ringraziandolo anche nelle avversità. Porgiamo sempre a Dio questo ossequio; l’umiltà infatti è grata, è cara a lui: egli che accetta il peccatore convertito più volentieri del giusto superbo, quanto più accetterà il giusto che confessa i propri torti e lo renderà sublime nei regni dei cieli, a misura della sua umiltà!

            Questo deve presentare a Dio chi veramente lo venera: queste sono le vittime, questo è il sacrificio placatore; ecco dunque il vero culto: quando l’uomo offre all’altare di Dio i pegni del suo spirito. La sua somma maestà si allieta di chi così lo venera; lo accoglie come figlio e gli elargisce il dono dell’immortalità. (Lattanzio, Divinae instit. epit., 67)…

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