fr. Massimo Rossi, Commento IV DOMENICA DI QUARESIMA

IV DOMENICA DI QUARESIMA - 6 marzo 2016
Gs 5,9a.10-12; Sal 33/34; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i figli che tornano a te con animo pentito; ricoprici delle splendide vesti di salvezza, perché possiamo gustare la tua gioia nella cena pasquale dell’Agnello.
“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate… Cristo ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.  Vi supplichiamo in nome di Cristo:  lasciatevi riconciliare con Dio.  Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore.”
Una volta Gesù raccontò questa parabola (Lc 7,36-50): un creditore aveva due debitori; uno gli doveva 500 denari, l’altro 50; non avendo essi da pagare, il creditore condonò loro il debito; quale dei due lo amerà di più?  L’interlocutore di Gesù rispose:  penso, colui che gli doveva di più;  e Gesù: hai risposto bene. Il
significato della parabola lo rivela lo stesso Signore: a chi si perdona molto, ama molto;  chi invece c’ha poco da farsi perdonare, costui ama poco.
I protagonisti della storia di oggi sono due fratelli: il più vecchio è uno a cui, apparentemente c’è ben poco da perdonare, il classico figlio modello, ne conosco alcuni: primogenito, forte senso del dovere, gran lavoratore… È verosimile pensare che, alla morte del padre, avrebbe assunto il controllo dell’azienda di famiglia.  E poi c’è l’altro, il fratello più giovane:  al contrario del primo, costui è il classico mantenuto, perditempo, gli piacciono i soldi facili, le belle donne;  immagino che, mentre suo fratello sgobba tutto il giorno, questo invece scorazzi con la sua fuoriserie sportiva a far girar la testa a tutte le ragazze da marito del paese.  Tra i due non corre ovviamente buon sangue.  E al padre gli tocca ascoltare i continui rimbrotti del primogenito, contro il figlio minore e anche contro di lui:  “Papà, ma non lo vedi che ti prende in giro? ti sfrutta? Spende e spande! Non ha voglia di lavorare; dice che il lavoro è da servi, e invece lui è il figlio del padrone! Avrebbe bisogno di una bella raddrizzata…! Ma tu, invece di punirlo, da padre giusto quale sei, gli prendi le parti!   E, come se ciò non bastasse, mi dici pure che dovrei anch’io aver pazienza e amarlo di più.  Non va bene, papà, non va per niente bene!… Non è così che si educa un figlio! In casa nostra ci sono delle regole e vanno rispettate! Io lo faccio da una vita!  Che se ne andasse, piuttosto, se non gli va!!”. Infatti, un bel giorno, il secondogenito prende la porta e se ne va; non prima di aver chiesto al padre la sua parte di eredità. E quel padre, pazzo di amore per lui, lo accontenta. Lo lascia libero.  Ma, libero da chi? per chi? libero da cosa? per cosa?
La libertà è un’arma a doppio taglio… se non la sai usare, ti puoi fare male.
Infatti quel ragazzo cresciuto di età, ma con il cervello e il cuore di un bambino viziato, si fa male, molto male. Caduto in miseria, si vergogna a chiedere l’elemosina, si vergogna a vestire i panni del salariato; si vergogna financo a tornare a casa senza più un soldo. “Cosa penserà mio padre di me? mio fratello, so già che cosa pensa e me lo dirà in faccia…”.  Alla fine sceglie la terza soluzione.  Strada facendo si prepara il discorsetto patetico del figlio sfigato, perseguitato dalla malasorte… Chissà, magari il paparino, già vecchio e pure un po’ andato, avrà pietà, e lo lascerà entrare ancora in casa.  Talvolta – di rado! – i figli sono più abili dei genitori, quanto a ricatti morali.
Ma il meschino aveva fatto i conti senza l’oste, pardon, senza il padre!  Perché il padre, che è il vero protagonista della storia, sconcerta tutti e due i figli:  al primo insegna a vivere, rivelandogli la verità su di lui: e la verità è che il primogenito non si era mai comportato da figlio; nel senso che viveva la relazione col padre come un rapporto di lavoro subordinato; rispetto supino dell’autorità, correttezza professionale.
L’orgoglio da primogenito, quello sì, ce l’ha! sindrome del figlio modello, per bagnare il naso a quell’altro – mia sorella me lo faceva spesso ed era parecchio umiliante –.  Forse, oltre all’orgoglio, c’era anche una punta di invidia per la leggerezza incosciente del fratello verso i doveri di famiglia.  Mi viene in mente la favoletta de la cicala e la formica che tutti conosciamo…
Ma passiamo all’altro, preso alla sprovvista pure lui dal comportamento di papà.
Disarmante, l’amore gratuito e incontenibile del vecchio genitore, il quale, per festeggiare il ritorno, fa macellare il vitello grasso, quello delle grandi occasioni; a rimarcare che il rientro a casa del figlio perduto è l’evento in assoluto più importante.
La conversione ha un peso specifico maggiore, di molto, rispetto alla trasgressione!
Se questa verità è pacifica in teoria, nella pratica, non tanto: la gente non  accetta di buon grado che un peccatore si possa convertire;  la gente non è incline a riabilitare chi ha sbagliato…
Anche in famiglia si vive la fatica del perdono:  diffidenza, o addirittura sfiducia hanno la meglio sulla misericordia.  Vale per tutti il detto: “a perdere la fiducia basta un momento; a riguadagnare la fiducia, non basta la vita!”.
Gesù prende le distanze da questa diffusa mentalità e dichiara: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.” (15,7).
Il Padre della parabola è quasi grato al figlio che è ritornato! La sua partenza era stata vissuta come un lutto; il suo ritorno è accolto come una resurrezione!
Quel padre sembrerà a molti un illuso:  è verosimile che il secondo figlio se ne andrà di nuovo alla prima occasione, con un altro po’ di soldi, per poi ritornare, più per fame, che per un reale pentimento… Ma questo il Vangelo non lo dice;  chi lo pensa, pensa male!
Un aspetto che a san Luca preme sottolineare, è l’errore del figlio maggiore di mettere a confronto il suo modo di vivere con quello del giovane prodigo; di conseguenza accusa suo padre di fare preferenze e, in particolare, (lo accusa) di togliere affetto a lui, per darlo all’altro.
La questione è delicatissima: anche il patriarca Giacobbe commise l’errore di preferire Giuseppe agli altri figli.  Ma se è così nel mondo degli uomini, non così per il Padre celeste!
Non solo Dio ci ama tutti indistintamente;  ma l’amore che dà a un figlio, non lo toglie ad un altro!   Siamo alle solite, come ho detto già altre volte, ci manca il concetto di infinito!
Come intuire – capire, no! al massimo intuire… – che Chi ama di Amore infinito, è in grado di dare tutto l’Amore a tutti e a ciascuno?
L’invidia, la gelosia per l’amore che Dio dà a mio fratello, è del tutto immotivata!  A chi la pensasse così, il Signore risponderebbe come rispose quel padrone ai vignaioli della prima ora, i quali mormoravano contro di lui perché li aveva pagati allo stesso modo di quelli che avevano lavorato un’ora soltanto: “Amico io non ti faccio torto.  Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi dunque il tuo e vattene;  ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te.  Non posso fare delle mie cose quello che voglio?  Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?  Così i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi.” (Mt 20,1-16).
Essere bravi ed essere buoni non è la stessa cosa!  La parabola del Padre misericordioso ce lo sbatte in faccia senza alcun rispetto umano.  Una bella lezione di umiltà, non trovate?


Fonte :.paroledicarne

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