fr. Massimo Rossi " Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore."

Commento su Luca 13,1-9
fr. Massimo Rossi  
III Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2016)
Vangelo: Lc 13,1-9 
Chi era Mosè?
Ebreo di nascita, egiziano di adozione, per di più balbuziente...

Mosè non ebbe certo vita facile... figlio di due popoli ostili, rifiutato pertanto da tutti e due, dovette faticare non poco per conquistarsi quella autorevolezza che era necessaria a condurre il suo popolo - "suo" per modo di dire... - fuori dall'Egitto.
Non basta: l'impresa, già di per sé complicata, incontrò l'opposizione degli Ebrei, ma anche degli Egiziani: i primi, gli Ebrei, ridotti in schiavitù, erano tuttavia restii a lasciare l'Egitto, nella prospettiva di un viaggio dagli esiti incerti, verso una terra sconosciuta: sarà anche la Terra Promessa, ma dove sta? Proteste su proteste contro Mosè, già ottantenne al momento dell'uscita dall'Egitto; ricorrenti minacce di linciaggio, durante il viaggio, per 40 anni!
...E poi gli Egiziani: quando Mosè ricevette la chiamata di Dio e ritornò dai suoi fratelli Ebrei - "fratelli"... per modo di dire!... -, immediatamente la sua sorte volse al peggio; assistendo alla lite tra due schiavi, affrontò una guardia egiziana, intervenuta a sedare il litigio, e l'uccise, occultando il cadavere. Beh, se voleva guadagnarsi la fiducia dei suoi fratelli di sangue, era proprio partito male! un bel biglietto da visita, non c'è che dire!...e bravo a Mosè!
Gli Egiziani detestavano gli Ebrei, per la loro prolificità: se ne sarebbero volentieri liberati, per evitare il pericolo di un colpo di stato; loro malgrado, non potevano farne a meno, perché senza il lavoro forzato degli Ebrei, chi avrebbe costruito le città deposito dove riporre legumi, granaglie e annessi? Si spiega perciò l'ostilità del Faraone a far uscire gli Ebrei dai suoi territori.
Il povero Mosè, se le prese, e tante, da una parte e dall'altra. Possibile che Dio non sapesse che sto pover'uomo non era la persona più adatta a compiere l'impresa?
Morale della favola: le vie di Dio non sono le nostre e i progetti di Dio non sono i nostri; ce lo ricorda il profeta Isaia, al capitolo 55 del suo libro.
La storia era cominciata quattro secoli prima, forse più: il patriarca Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe; Giacobbe-Israele ebbe dodici figli, l'ultimo dei quali si chiamava Giuseppe; fin da bambino, Giuseppe aveva il dono di interpretare i sogni: i fratelli di lui erano gelosi perché l'undicesimo fratellino era il cocco di papà... Tramarono dunque contro di lui per ucciderlo. Ma poi ci ripensarono, e lo vendettero a una carovana di mercanti diretti in Egitto. Gli ultimi 13 capitoli della Genesi, narrano la storia di Giuseppe e i suoi fratelli: andatevela a leggere, è una vera e propria saga di famiglia, altro che Dinasty o Beautiful!
Le peripezie di Giuseppe non finiscono qui: ma il Signore Dio veglia su di lui, e in pochi anni, Giuseppe entra nelle grazie del Faraone che ne apprezzava le straordinarie doti spirituali, politiche ed economiche. Giuseppe diventa praticamente il ministro dell'economia e, durante gli anni della grande carestia, il tempo delle vacche magre, che aveva sognato da ragazzino, G. sovrintende alla distribuzione del grano ai popoli vicini colpiti dalla fame, che accorrono nel Paese baciato dal Nilo.
Anche la famiglia di Giuseppe scese in Egitto per comprare il pane. In occasione di quell'incontro, Giuseppe si fece riconoscere dai fratelli e dal vecchio padre: riconciliazione generale, tra lacrime e abbracci... G. ottiene dal Faraone che tutto il suo clan viva ospite in Egitto, servito e riverito. Prima di morire, Giuseppe fece giurare ai suoi figli: "Dio verrà certo a visitarvi e allora porterete via di qui le mie ossa." (Gn 50,25). Il libro della Genesi si conclude qui.
Il secondo libro della Bibbia, l'Esodo, comincia con la seguente notazione: "Sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe..." (1,8). Erano passati circa 400 anni, anno più, anno meno, e la sorte dei discendenti di Giuseppe, il futuro popolo di Dio, si volge in tragedia
Ed eccoci alla scena del roveto ardente: Dio ordina a Mosè di non avvicinarsi.
Analogamente, la domenica di Pasqua, il Risorto incontra Maria Maddalena e non le permette di toccarlo (cfr. Gv 20,27). Dio ha posto una distanza invalicabile tra Lui e noi.
È quello che viviamo durante l'Eucaristia: l'incontro domenicale con il Cristo non è mai immediato, vis-à-vis, ma mediato dai (santi) segni della Parola proclamata, del pane e del vino. È la differenza che intercorre tra la contemplazione del Mistero di Cristo, consentita nella vita presente, e la cosiddetta visione beatifica. Il desiderio del credente, il più grande desiderio che si possa avere, è quello di poter vedere Dio. La fede e la speranza sono necessarie in questa vita, proprio per mantenere vivo e vitale il desiderio di Dio. Nella vita eterna, la fede e la speranza non saranno più necessarie, lo ribadisce anche san Paolo, scrivendo ai fedeli di Corinto (cfr. 1Cor 13); rimarrà solo l'amore, Amore infinito di Dio per noi e amore nostro per Lui.
Rileggendo queste righe, mi sono chiesto se vedere Dio sia veramente il più grande desiderio che un uomo possa avere. In particolare mi chiedo se i fedeli abbiano mai associato la fede in Dio e le sue leggi alle dinamiche del desiderio.
Intendere la fede soltanto a livello di dottrina appresa al catechismo, nei primi anni di scuola; intendere la fede come un insieme di concetti ai quali la ragione si inchina senza fare troppe domande, etc. etc.; la fede contenuta ed espressa nel Credo, che recitiamo a macchinetta ogni domenica; la fede creduta così, è quanto di più lontano ci possa essere dai desideri!
Sono i desideri, che muovono a vivere, ad operare le scelte importanti, a decidere di noi e talvolta anche degli altri: penso ad un innamorato per il partner; penso ai genitori per i loro figli... "Dimmi cosa desideri e ti dirò chi sei!".
Il Signore dichiara: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore." (Mt 6,19-21).
In questo consiste l'ammonimento che Gesù severamente dà a chi gli aveva chiesto ragione dei due fatti di cronaca che sappiamo... Convertirsi a Dio significa riscoprire quel desiderio rimasto sepolto troppo a lungo sotto gli altri desideri, spinti forse toppo oltre - i cosiddetti "desideri esorbitanti" -, desideri ai quali abbiamo accordato un valore che, in fin dei conti, non hanno; fate un esame di coscienza e confessate a voi stessi quali sono i vostri desideri, che presto o tardi, deluderanno. Approfittiamo della Quaresima per cominciare uno scavo onesto e radicale del desiderio. Invece di limitarci a correggere la punta dell'iceberg, ciò che si vede, proviamo a guardare sotto il pelo dell'acqua, laddove - non si vede ma c'è! - troveremo la verità di noi stessi.

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