Juan J. BARTOLOME sdb Lectio Divina"Taglialo. Perché deve occupare il terreno per niente?"

28 gennaio 2016 |3a Domenica di Quaresima - Anno C Lectio Divina: Lc 13,1-9
Una disgrazia repentina, una morte inattesa o delle uccisioni ingiuste, sono solite risvegliare in
chiunque di noi inquietudine e interrogativi di difficile soluzione. Noi credenti ci vediamo ancor più a confronto con questa dolorosa e oscura realtà, che è il male, poiché crediamo che nulla avviene per caso, che tutto è effetto e segno della bontà divina. E' naturale, quindi, che dinanzi al male e alla cattiveria cerchiamo Dio e gli chiediamo una spiegazione, quando non esigiamo addirittura che si giustifichi. E l'impressione che abbiamo è che il nostro Dio non suole darci quasi mai una "buona" risposta, una ragione che calmi il nostro dolore o che illumini, almeno, la nostra perplessità. L'esistenza del male, tanto ovvio come quotidiano, causa maggiori problemi a coloro che crediamo che, per causa sua, hanno lasciato di credere in Dio.
Un giorno, 1si presentarono a Gesù alcuni che gli raccontarono circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva versato con quello dei loro sacrifici. 2Jesús rispose:
"Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per essere finiti in quel modo? 3vi dico di no, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quei diciotto che sono stati uccisi dal crollo della torre di Siloe, pensate che fossero più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme? 5Vi dico di no, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".
6 Ed egli disse questa parabola:
"Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.
7Dise poi al giardiniere
"Vedi, da tre anni vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve occupare il terreno per niente?"
8 Ma il giardiniere rispose:
"Signore, concedimi quest'anno, voglio scavare intorno ad esso e mettere letame, 9vediamo se porta frutto. In caso contrario, lo taglierai".
I. LEGGERE: capire cosa dice il testo e come lo dice
Avendo appena esortato la gente a discernere sul senso profondo di quanto le accade e a prendere in conseguenza delle decisioni (Lc 12,45-48), a Gesù è richiesto di dare una spiegazione su una recente disgrazia che aveva causato tanto dolore e incomprensione. La morte cruenta di alcuni compatrioti giusto quando onoravano Dio con i loro sacrifici, era stata particolarmente dolorosa per la coscienza credente: dove era Dio quando gli si stava dando culto? L'episodio era, profondamente doloroso, anche perché era stato ordinato da un'autorità che si pensava illegittima (Lc 13,1-3). Invece di dare una risposta immediata, Gesù ingrandisce in non-senso, facendo riferimento ad un altro fatto di cronaca ben conosciuto dai suoi ascoltatori (Lc 13,4-5). La morte accidentale di alcuni, schiacciati dal crollo di una torre, non era meno incomprensibile, poiché non si poteva dare la colpa alla cattiveria di un despota violento. La morte di innocenti, sia frutto di violenza, sia effetto di fatalità, suscita nel credente sempre la domanda a Dio e alla sua bontà.
Con la sua risposta Gesù legge l'accaduto 'profeticamente': il male che si è verificato non fa cattivi coloro che ne sono state vittime; la morte, fortuita o no, non identifica il peccatore. Non erano peggiori le vittime di coloro che sono sopravvissuti. Le disgrazie servono come serio avvertimento per coloro che non le soffrono e continuano a restare in vita. Il male visto e trionfante nella disgrazia altrui deve fare buoni coloro che ne sono testimoni e non soccombono. Chi non si converte dinanzi al male che vede, morirà sotto il suo potere. Le difficoltà degli altri non possono esserci estranee: devono influire nella nostra maniera di vivere. Non aver perduto la vita in un infortunio non ci fa migliori, ma ci deve trasformare in buoni.
E per dare maggiore forza alla richiesta di conversione, Gesù aggiunge la parabola del fico sterile (Lc 13,6-9). Il suo padrone, infastidito dalla sua sterilità, è disposto a sradicarlo, però cede alla premura del vignaiolo che gli dedicherà maggiore cura e gli concede un anno in più di grazia. E' un'ultima opportunità che si concede al fico: mentre si mantiene in vita, il suo padrone mantiene la speranza di vedere in esso i frutti. Che si converta chi non è ancora buono è la speranza che mantiene il buon Dio. E da lì, la sua pazienza con coloro che sono ancora cattivi.. però, non bisogna dimenticarlo, il tempo concesso è già fissato: il padrone non aspetterà altri tre anni, al suo fico ne ha concesso solo uno.
II. MEDITARE: applicare quello che dice il testo alla vita
Due avvenimenti luttuosi recenti e una parabola aiutano Gesù a dare fondamento alla sua esigenza di conversione (Lc 12,35-59). La morte inattesa, sia risultato di violenza volontaria ai piedi dell'altare o fortuita conseguenza del crollo di una torre, è una questione sempre aperta che cerca spiegazione. Gesù avverte i vivi che farebbero bene a non chiedersi della sorte dei morti; dovrebbero interessarsi, piuttosto, del loro futuro. Siano stati peccatori o no coloro che sono morti, solo quanti vivono hanno la possibilità ancora di evitare la morte vera, quella che dura per sempre. Il fatto che sia stato concesso loro ancora del tempo, non li libera dalle loro responsabilità, ma piuttosto le accresce. Che non sia giunta la loro ora non significa che non arriverà: il giudizio giunto in ritardo ingrandisce la loro responsabilità e rende meno giustificabile il ritardo della loro conversione. Invece di chiedersi su ciò che non può cambiare o è evitabile, il cristiano deve scegliere di cambiare vita, di migliorarla, poichè è l'unica cosa che gli assicura di liberarsi della perdizione. Solo vivendo come Dio vuole da lui, il credente riesce a liberarsi di quanto teme; Dio smette di essere temibile, quando si accetta la sua volontà.
Un giorno alcuni andarono da Gesù con questa stessa domanda nelle loro anime: due avvenimenti luttuosi, avvenuti da poco, li avevano turbati profondamente. L'assassinio in massa di credenti, durante una celebrazione religiosa, era prova della crudeltà del regime politico che, controvoglia, sopportavano. Il crollo di un muro, un imprevisto incidente, era, se possibile, ancora più inspiegabile, poiché la morte sembrava frutto del caso. In ambedue i casi non si vedeva bene dove fosse andato a finire Dio e la sua provvidenza.
Dove le persone più pietose vedevano un grave castigo, Gesù scopre un avviso di Dio, un'ultima opportunità per la conversione che stava chiedendo. I giudei erano soliti pensare che, come si suol dire, chi la fa l'aspetti. Il male che arriva, anche se inatteso, mai è gratuito, sempre ha una causa. Le vittime del male se lo sono meritato, pensiamo: devono aver fatto qualcosa di male. Dio non potrebbe castigare chi è giusto: il fedele che soffre è fedele solo in apparenza, la sua vita nasconde qualche peccato, lo sappia o no. Con simili presupposti, il male ha sempre una spiegazione logica, un motivo; è, in un certo senso, perfino 'ragionevole', poiché è effetto del cattivo comportamento previo. Gesù, che soffrirà una morte ingiusta, non poteva dare per buona tale spiegazione: chi si libera dal male non è migliore di chi soccombe sotto il suo potere. Il malvagio può sopravvivere, mentre che il giusto suole perire. Non è forse questa la nostra esperienza?
La presenza del male, presenza inevitabile e irritante, è una chiamata alla conversione. L'esperienza del male è un invito alla conversione a Dio, l'unico che può liberarci definitivamente da esso. Non sono più colpevoli coloro che soffrono maggiormente; il dolore ingiustificato, qualunque sia la causa, mette in discussione le nostre sicurezze, ci ricorda i nostri limiti e, malgrado tutto, ci mette in cammino verso Dio. Chi può soffrire, ancora non è in salvo; chi ancora può soccombere al male, non è ancora del tutto buono. Il male che facciamo, così come quello che patiamo, destabilizza le nostre vite e ci rende insicuri: fa crescere in noi la coscienza della nostra debolezza e insignificanza.
Non c'è da stupirsi, quindi, che noi credenti, spesso ci sentiamo tanto turbati come quei contemporanei di Gesù, dinanzi a questa realtà così evidente e pervasiva come è il male, questo male dal quale non si può scappare, un male che ci rende fragili e fa divenire in un momento deperibile il bene, ogni bene, che siamo riusciti ad accumulare nel corso della vita.
Non avvertiamo che il male, la disgrazia, la calamità, può essere un avvertimento da parte di Dio, un invito, sicuramente severo, a tenerlo più in considerazione, un avviso doloroso che scuote la nostra indifferenza e rende fragile il disprezzo di Dio nel quale viviamo quotidianamente.
Il male, conosciuto quando sconoscevamo Dio, ci fa apprezzare di più il bene che abbiamo ricevuto da Lui e soppesare attentamente i rischi che affrontiamo con la nostra ingratitudine e il nostro disprezzo. Farci sperimentare il male, in qualsiasi forma, può essere il modo che Dio si è riservato per ricordarci che solo Lui è il nostro Bene, il Bene che soddisfa pienamente, il Bene che colma le nostre aspettative, poiché è l'unico Bene che rimane per sempre.
Che l'esperienza del male, altrui o proprio, sia un invito alla conversione, lo ha voluto indicare Gesù raccontando a quelli che erano andati da lui, preoccupati, la parabola del fico sterile. Bisogna porre attenzione al modo in cui risponde Gesù, che non risponde alla domanda, ma indica, piuttosto, un compito da fare. Non è venuto a risolvere i problemi che gli pongono, ma a sollevarne nuovi; lascia i suoi interlecutori inquieti con i loro problemi, ma li avverte che non si è ancora sollevata la questione cruciale.
I suoi interlocutori avevano visto il male, ma era un male che non era il loro; le loro domande erano bene intenzionate, ma un po 'accademiche': non uscivano dal loro dolore, riflettevano sul dolore degli altri. E Gesù risponde a queste domande dicendo che chiunque si crede vivo e al sicuro, è proprio chi è esposto al male imprevedibile, alla morte, così come lui è morto; ha, questo sì, un'ultima possibilità, mentre vive: questo è l'avvertimento che è alla base dell'analogia del fico. Come lui, un giorno potremmo aver dato al nostro Dio speranze che avremmo dato frutti. Tante volte già gli abbiamo promesso tanto, senza renderci conto che sarebbe venuto un giorno a chiederci ciò che avevamo promesso. Gesù ci ricorda che non basta promettere, anche se tanto, bisogna dare, anche se poco. Non basta vivere dei doni di Dio, bisognerà restituirglieli. Non sono i desideri migliori che alimentiamo, ma le buone opere che facciamo, quelle che non omettiamo, ciò che deciderà il nostro futuro con Dio. Sarebbe, quindi, fuorviante ritenere che, dal momento che non ci sono ancora capitate grandi disgrazie, come a tanti altri, o perché siamo usciti indenni da quelle che abbiamo sofferto, siamo già al sicuro dall'ultima, la definitiva, il giorno del giudizio del Signore.
Come l'albero di fico sterile, ci è stato dato un po' di tempo in più, un'ultima possibilità. Sarebbe inutile che, per pensare al male che può crescere in noi, lasciamo di fare il bene che Dio si aspetta da noi; il male che ci deve preoccupare è il bene che non facciamo agli altri.
Beati noi se ascoltiamo oggi la voce del Signore: ritornare sensibili a tanto male che c'è nel nostro mondo, e nel nostro cuore - perché andare lontano? Perché lamentarsi di quanto è cattivo il mondo, di quanto sono cattivi gli altri, quando potevamo scoprire tanta cattiveria in noi stessi come la attribuiamo agli altri? - ci dovrebbe sensibilizzare al Bene che è Dio, ai beni che abbiamo già ricevuto da Lui e ricorderemo che un giorno, il giorno in cui il nostro male sarà vinto da Dio, ci verrà chiesto conto del male che abbiamo fatto e del bene che abbiamo omesso.
Se la presenza del male nel nostro mondo, una presenza così imponente, così vistosa, tanto quotidiana, non ci porta ad avere nostalgia di Dio, nostro sommo Bene, e non ci induce ad essere migliori, a cosa ci servirà continuare a soffrire? Crediamo di soffre ingiustamente? Solo perché ci lamentiamo che Dio non si prende cura di noi abbastanza? Il male che esiste intorno a noi ci deve spronare a farci migliori: perché, ed è l'avvertimento di Gesù, mentre c'è il male intorno a noi, non possiamo rimanere cattivi noi, a meno che non vogliamo perderci e perdere Dio per sempre.
Juan J. BARTOLOME sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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