Michele Antonio Corona COMMENTO:II Domenica di Quaresima (Anno C)

Commento su Luca 9,28-36
Michele Antonio Corona
II Domenica di Quaresima (Anno C) (21/02/2016)
Vangelo: Lc 9,28-36 
Il brano della trasfigurazione è inserito in una mega sezione che si protrae dal capitolo 4 al 9.

In questi cinque capitoli l'obiettivo di fondo sembra essere focalizzato nella costituzione del gruppo dei discepoli, non solo dei dodici. Il cammino che parte da Nazaret trova il suo apice proprio in questo brano della trasfigurazione. Infatti in esso non si sottolinea solamente lo splendore di Gesù e dei suoi amici, ma viene sancita la figliolanza del Maestro, il suo rapporto con le Scritture e, soprattutto, l'esodo che si deve compiere a Gerusalemme.
Il versetto 9,51, perno dell'intero racconto evangelico, manifesterà proprio questa decisione ferma di andare verso il capoluogo giudeo e, dunque, verso il compimento della missione. Pertanto, riflettere sul racconto della trasfigurazione richiede almeno uno sguardo d'insieme al cammino che è stato compiuto dal Maestro e dai suoi seguaci.
La prima indicazione omessa dalla liturgia ricollega l'episodio con l'insegnamento del Cristo. La liturgia elimina l'indicazione degli "otto giorni dopo" per centrare maggiormente l'episodio nell'economia quaresimale. Non occorre, nel contesto liturgico, fare il collegamento con ciò che si diceva prima, ma si deve osservare il quadretto che viene proposto dalla pericope: Cristo e i suoi ospiti, da una parte; Pietro e i suoi compagni, dall'altra.
All'inizio del brano si accenna ad un tema particolarmente caro a Luca e alla prima comunità cristiana: la preghiera. Il contatto personale ed intimo tra Gesù ed il Padre è ribadito tante volte e con sfumature proprie. Alcune volte prega in disparte, altre volte - come questa - chiede ad alcuni di accompagnarlo nella preghiera. A noi potrebbe scandalizzare questa "preghiera di Gesù", dal momento che siamo abituati ad una preghiera di richiesta. In Gesù la preghiera è segno di intimità, di fiducia, di amore verso il Padre. la preghiera è la relazione filiale che il Maestro instaura quotidianamente col Padre suo, senza fronzoli e luoghi comuni.
Proprio durante questo colloquio con Dio avviene la glorificazione del Maestro attraverso una luce sfolgorante ed uno splendore unico. A tale fenomeno sfavillante i discepoli rispondono con un sonno profondo. Anche nel Getsemani avverrà la stessa cosa, sebbene lì il Maestro sarà glorificato diversamente (sudando sangue). Pietro si fa carico di manifestare la gioia di quel momento e non nasconde il fascino per gli effetti speciali, al punto che vuole che quello spettacolo non finisca mai. Forse era un po' assonnato quando Mosè ed Elia parlano "dell'esodo" di Gesù. Una nuova uscita del liberatore che non userà più un bastone ma la croce, che non salirà sul Sinai ma sul calvario, che non sarà profeta ma Figlio.
Pietro è entusiasta di ciò che ha visto e si lancia in un'affermazione meno dinamica del necessario: vuole fermarsi e far alloggiare il Maestro e i suoi illustri ospiti. Auspica una sedentarietà prettamente contraria all'esodo previsto. Non vuole uscire, né muoversi, né tantomeno scendere dal monte. Al cammino proposto da Gesù come scuola di vita e palestra della fede, Pietro prospetta un alloggio di fortuna.
La menzione delle tende evoca l'idea di esodo e di cammino, ma Pietro non la intende in questo modo. È curioso notare come non cerchi un alloggio per se stesso, ma per i tre vegliardi, immettendo il Maestro nella sua visione utopica di gloria permanente. Ancora una volta, Pietro è folgorato dal successo e dalla riuscita della missione. Inoltre, Mosè ed Elia - rappresentanti della Torah e della profezia - sono gli emblemi del cammino e della fuga dall'agiatezza rassicurante.
Pietro, come noi, è personaggio paradossale e rappresentativo. Sarà la voce dal cielo a fugare ogni dubbio circa l'identità di Gesù: "il mio Figlio, l'eletto". Affermazione che sembra sorprendentemente avvalorare l'intuizione di Pietro in 9,20: il maestro è "il Cristo (unto/eletto) di Dio".
Determinante diventa l'ordine di Dio che unisce tre poli: Dio, Gesù e i discepoli. Attraverso l'ascolto della sua Parola i discepoli possono essere formati per il grande viaggio verso Gerusalemme ed evitare dispute sulla grandezza umana (9,46ss). Dopo una così blasonata compagnia, Gesù si trova solo. Alla voce di Dio si oppone il silenzio imbarazzato e imbarazzante dei discepoli. Alla meraviglia per ciò che hanno visto si staglia la decisione a non dire nulla. È Gesù che chiede un silenzio deciso sul pericolo che sia il successo a determinare la sequela.
Oggi, spesso viviamo lo stesso pericolo del fascino del numero e del successo, rischiando di divenire idolatri del consenso e delle piazze. Manifestazioni, iniziative pastorali, affluenza alla messa domenicale sono spesso valutate con criterio quantitativo. Forse è proprio la stessa tentazione di Pietro e di ogni fede che valuta la "bellezza" del successo. Il cammino di Gesù è deciso verso la Pasqua, che prevede il dono totale nella morte.

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