Mons.Antonio Riboldi, "Una vita di ‘impegno’

Omelia del 28 febbraio 2016
III Domenica di Quaresima
Una vita di ‘impegno’Vangelo: Lc 13,1-9 
Viviamo in una società dove domina l’apparenza effimera, la superficialità e, spesso, l’indifferenza
verso problemi, che richiederebbero profondità di analisi, volontà ferma e cuore grande, per essere affrontati alla radice; senza parlare della vita personale in cui è facile sentirsi dire: ‘Che male c’è? Lo fanno tutti.’ Di conseguenza non si cerca più di dare senso e trovare la vera ragione in ciò che operiamo. È proprio della Quaresima, o se vogliamo delle persone che amano la verità, cercare invece di essere coerenti con la verità stessa e il bene, assumendosi le proprie responsabilità, per rendere il nostro mondo un po’ più vivibile.

Oggi l’Evangelista Luca ci fa assistere ad un dialogo fra Gesù e alcuni che forse Lo avevano cercato solo per porgli delle domande imbarazzanti e fuorvianti, proprio per ‘scaricarsi’ la coscienza di ogni responsabilità: “In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù disse loro: ‘Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per avere subito tale sorte? … O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?’.

La domanda di fondo era: ‘Ma perché si disprezza tanto la vita dell’uomo? Perché l’uomo e i suoi sacrosanti diritti vengono con tanta facilità calpestati?’. Noi potremmo aggiungere: ‘Perché tanti muoiono di fame senza alcuna colpa? Perché tanti, anche tra di noi, vengono emarginati senza averlo meritato? Perché tanti debbono abbandonare casa, Paese, a causa di guerre che non hanno voluto loro? E potremmo continuare il ‘rosario’ delle violenze di oggi e di sempre, usate verso i deboli.

E in riferimento al fatto accaduto a Siloe, citato da Gesù: ‘Di quali colpe si sono macchiati i tanti che muoiono per cause accidentali, come i terremoti, le alluvioni? Perché così tanti ammalati, soprattutto bambini? Perché il dolore innocente?’. Sono domande che tal volta sorgono anche nei nostri cuori, e diventano devastanti quando ci portano quasi a dubitare dello stesso amore di Dio, se non addirittura contestarlo, come fece Giobbe, o arrivare a rifiutare che tale amore esista.

Ma c’è una solenne dichiarazione, che esce direttamente dalla bocca di Dio, e spazza via ogni incertezza. La leggiamo nella prima lettura di oggi, riguardante la chiamata di Mosè: “Il Signore disse: ‘Ho osservato la miseria del mio popolo, in Egitto, e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele’. (Es. 3, 1-15)

È una dichiarazione che nessun tempo, nessun fatto, nessuna circostanza può minimamente offuscare, perché anche il solo dubitarne sarebbe mettere in discussione la fedeltà dell’amore di Dio, la sua stessa giustizia e misericordia. Sono parole vere e ‘dense’. ‘Ho osservato la miseria del mio popolo’, riecheggiano l’atteggiamento di Gesù che ‘vedendo la folla ebbe compassione’, Lui, Buon Samaritano, che ‘passa’, ‘osserva’, ‘si prende cura’. Un verbo del Padre tutto da meditare è: ‘Ho udito il suo grido’. ‘Udire’ è accogliere nel proprio cuore la sofferenza profonda che è nel grido e non fermarsi ad una compassione epidermica, che poco può operare, ma ‘entrarci dentro’. Ed infine ‘conosco le sue sofferenze’: ‘conoscere’, nella Bibbia, non è solo sapere, ma sperimentare, fare proprio.

E chi meglio di Gesù conobbe la sofferenza?

E proprio Lui ha la risposta per coloro che gli ponevano le domande. Una risposta che va a pennello per il mondo in cui viviamo: ‘Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo’. E in cosa consista la ‘conversione’, l’ha spiegato bene Papa Francesco, all’Udienza di sabato 20 febbraio, soffermandosi ‘a riflettere sul tema dell’impegno’, e invitando tutti “a conoscere sempre di più il Signore Gesù, e a vivere in maniera coerente la fede con uno stile di vita che esprima la misericordia del Padre … per offrire a quanti incontriamo il segno concreto della vicinanza di Dio. La mia vita, il mio atteggiamento, il modo di andare per la vita deve essere proprio un segno concreto del fatto che Dio è vicino a noi. Piccoli gesti di amore, di tenerezza, di cura, che fanno pensare che il Signore è con noi, è vicino a noi.’

Allora possiamo meglio capire la parabola del fico, proposta da Gesù, dopo il suo richiamo alla conversione: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarci frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?’ Ma quello gli rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finchè gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”. (Lc. 13, 1-9)

Da una parte vi è l’incredibile apatia, superficialità, ignavia degli uomini, che però spesso genera o ‘permette’ un mare di dolore e di sofferenza; vi è la poca voglia di farsi cambiare dalla Parola e dalla Grazia, rimanendo quello che si è: una pianta di fico con tante foglie, tante parole, tanti buoni propositi, ma senza alcun frutto. Dall’altra c’è l’infinita pazienza del Padre che continua ‘a zappare e mettere concime’, nella speranza che il fico dia frutti. Chi vincerà? L’indifferenza dell’uomo o la pazienza misericordiosa del Padre? La risposta è proprio nel nostro modo di vivere adesso, in questo tempo di Grazia, oggi. Non aspettiamo sempre che siano gli altri a cambiare … Cominciamo noi a vivere ‘con impegno’, come ha detto Papa Francesco, perché ‘a partire dall’amore misericordioso con il quale Gesù ha espresso l’impegno di Dio, anche noi possiamo e dobbiamo corrispondere al suo amore con il nostro impegno. E questo soprattutto nelle situazioni di maggiore bisogno, dove c’è più sete di speranza. … Dobbiamo sempre portare quella carezza di Dio - perché Dio ci ha accarezzati con la sua misericordia - portarla agli altri, a quelli che hanno bisogno, a quelli che hanno una sofferenza nel cuore o sono tristi: avvicinarsi con quella carezza di Dio, che è la stessa che Lui ha dato a noi. Che questo Giubileo possa aiutare la nostra mente e il nostro cuore a toccare con mano l’impegno di Dio per ciascuno di noi, e grazie a questo trasformare la nostra vita in un impegno di misericordia per tutti.” Così sia!

 Antonio, Vescovo

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