Padre Paolo Berti, “Signore, allontanati da me, perché sono peccatore”

Omelia V Domenica del tempo ordinario       
Lc.5,1-11
“Signore, allontanati da me, perché sono peccatore”
Le letture di questa domenica presentano come l’uomo di fronte ad una manifestazione della maestà
di Dio venga preso da un sacro timore, nella considerazione dei propri peccati e della propria pochezza di fronte a Dio.
Isaia di fronte alla maestà di Dio si sente perduto. Teme di essere chiamato in giudizio, folgorato a morte. I serafini con il loro “osanna” proclamano la santissima maestà di Dio, componendo (v. 2) le loro sei ali in modo che con due si coprono il volto, con due la parte inferiore del corpo, mentre con le altre due rimangono librati in aria, proclamano quale riverenza adorante si debba dare a Dio. Il coprirsi il volto non indica che i serafini non possano vedere Dio faccia a faccia (Cf. Mt 18,10), ma esprime un profondo atto di sottomissione adorante. Isaia comprende e rimane sgomento: lui è “un uomo dalle labbra impure”, un peccatore che non dà adeguata lode, gloria, onore a Dio. I serafini si coprono il volto per rendere omaggio alla maestà divina, ma quel gesto ad Elia, memore di come Mosè non poté vedere il volto davanti alla manifestazione della gloria di Dio per non cadere morto (Es 33,20), provoca la paura di essere incenerito, poiché i suoi "occhi hanno visto" Dio. Isaia, invece di essere colpito, vede un serafino volare verso di lui e toccargli con un carbone acceso le labbra in un rito di purificazione. Il Tre volte santo non annienta il peccatore e, quando questi si umilia, lo purifica. Affascinato, Isaia si offre poi al servizio di Dio: “Eccomi, manda me!”.
Anche Pietro di fronte alla pesca miracolosa sente profondamente di essere un peccatore, tanto che timoroso dice a Gesù di non stargli vicino: “allontanati da me, perché sono un peccatore”.
La situazione di Pietro è ancora più forte di quella di Isaia. Questi vede Dio in alto, inarrivabile, inaccessibile. Pietro, nel momento della manifestazione della potenza divina di Gesù, ne riconosce ancor più la sua identità divina. Dio è ora accessibile, vicino, e questo lo sconvolge e chiede che Gesù ristabilisca con lui quella distanza che come tre volte santo gli è dovuta, ma Gesù non si allontana da Pietro e gli dice: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini". Isaia ebbe la consacrazione a profeta, Pietro divenne "pescatore di uomini". Dio guarda all'umiltà, prima di affidare un incarico. Maria ha cantato che Dio "ha guardato l'umiltà della sua serva".
L’evento del perdono non può essere dimenticato e Paolo non lo dimentica, ed esalta la misericordia di Dio paragonandosi ad un aborto gettato via come ingombrante e destinato alla morte. Un aborto, un povero essere scaturito da una gestazione fallimentare: quella farisaica. E Paolo riceve novità di vita e una missione: “Per grazia di Dio, però, sono quello che sono”. Si noti l’umiltà di Paolo nel non nominare il suo essere apostolo, il suo essere inviato ai gentili. L’umile nasconde a se stesso ciò che è, pur essendone ben consapevole.
Conosciamo bene il valore delle missioni affidate ai tre (Isaia, Pietro, Paolo), ma sappiamo anche che ciascuno di noi è inviato, ognuno ha un compito all’interno della grande azione missionaria della Chiesa. Sappiamo che ciascuno di noi ha avuto momenti di particolare incontro con Dio, nei quali siamo stati chiamati a dire: “Eccomi!”.
Bisogna ricordarli questi momenti di particolare incontro. Dimenticarli vuol dire rendere vana la grazia di Dio.
Momenti di incontro con Dio anche in mezzo alla folla. Momenti di incontro sotto la volta stellata, nel silenzio della notte, avvertendo come tutta la terra è piena della gloria del Dio delle schiere delle stelle. L’uomo si sente piccolo di fronte agli eserciti del cielo. Sempre si sente piccolo, anche se vuole scalare i pianeti. Dice il salmo 8: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissare, che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?”.
Dio ci visita ovunque, ma dobbiamo sempre avere come centro della nostra vita l’Eucaristia. La visione di Isaia, che include nel suo insieme l’interno del tempio di Gerusalemme, ci richiama a dare valore alle nostre chiese. Esse non sono solo luogo dell’assemblea, esse sono dimora di Dio, che sta nei Tabernacoli. Esse offrono il silenzio, grande bene, poiché la preghiera, il canto, vogliono il silenzio. Un’assemblea deve saper pregare nel silenzio, cantare nel silenzio, proclamare nel silenzio. Le voci del mondo, anche quelle senza espressione di labbra, non devono aver luogo in chiesa. Una chiesa è un bene prezioso, è il luogo di forti decisioni, dove si avverte nel cuore, misterioso e silenzioso, ma udibile, un invito ad una missione.
E’ brillata a noi, per esempio, l’idea di impegnarci ad avvicinare i ragazzi di un cortile, di un bar. Ci siamo mossi, poi abbiamo lasciato cadere tutto alle prime difficoltà. Ma non dovevamo, perché chi ha ricevuto l’invito ad una missione riceve anche la forza per compierla. Non è possibile lo scoraggiamento se non in chi si ricorda solo di se stesso, della sua pochezza, e non si ricorda sempre della fedeltà di Dio, che dona forza, audacia. La certezza del salmista è questa: “Il Signore farà tutto per me”, cioè mi aiuterà a portare a termine il compito che mi ha affidato. L’opera è sua, ma è anche nostra - “per me” - ed è tale perché richiede la dedizione dell'amore, la generosità della corrispondenza al dono di un compito, sempre dono anche se il compito è piccolo. Non solo dobbiamo pregare per essere sempre servi diligenti, ma anche pregare perché coloro ai quali siamo mandati si aprano al Signore. Il Signore ci vuole partecipi, in dipendenza da lui, con lui, nell’opera del cambiamento dei cuori. L’opera è sua, ma anche, per suo dono, nostra. C’è un merito per noi se siamo stati servi secondo il modello che Cristo ci ha dato in se stesso. E Cristo si è consumato per la salvezza degli uomini; così noi, con la forza che viene da di lui, dobbiamo essere dei piccoli corredentori. Dunque, diciamo al Signore: “Non abbandonare l’opera delle tue mani”. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

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