S.E. mons. Benigno Papa QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Is 6,1-2. 3-8; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
7 Febbraio 2016
1. Le letture della messa hanno una identità tematica: parlano di alcune persone (Isaia, Pietro, Paolo)
chiamate a svolgere una missione importante nella storia della rivelazione biblico - cristiana. Ma tutti i battezzati sono “eletti” da Dio (1Pt 1,1), chiamati per il battesimo a essere santi (1Pt 1,15-16), quale “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato per proclamare le opere meravigliose di Lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1Pt 2,9).  Le tre letture presentano somiglianze e dissomiglianze. È interessante notare la varietà delle situazioni in cui la persona avverte di essere chiamata da Dio. Il racconto di Isaia lascia pensare che la sua vocazione sia avvenuta mentre egli era nel tempio di Gerusalemme per partecipare a un’azione liturgica (Is 6,1.4.6-7). Paolo è chiamato dal Risorto mentre è intento a perseguitare i cristiani nei quali Gesù risorto dichiara di identificarsi (At 9,1-5; 1Cor 15,9), Pietro incontra Gesù durante il suo lavoro di pescatore sul lago di Tiberiade.
Le tre letture mettono in evidenza la natura drammatica dell’esperienza vocazionale. Quando una persona è consapevole di essere di fronte a Dio che la chiama a svolgere una Missione nel suo nome, non può non essere assalita dalla paura, dallo sbigottimento, perché si sente indegna, incapace di svolgere quanto gli viene comandato. Isaia, alla vista della gloria di Dio, reagisce dicendo di essere “perduto” perché peccatore che abita in mezzo a un popolo di peccatori (Is 6,5). Questa reazione del profeta può essere accostata a quella di Simon Pietro che, dopo aver osservato l’abbondante pesca (Lc 5, 6-7) ottenuta al di là di tutte le normali leggi, per l’obbedienza alla Parola del Maestro (Lc 5,5), si rende conto di trovarsi di fronte al Signore del creato ed esclama: «Signore allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8). Anche Paolo ricorda il suo personale contatto con il Figlio di Dio e la sua nullità di fronte alla missione che gli è affidata: «Ultimo di tutti, apparve anche a me, come un aborto, io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono neppure degno di essere chiamato postolo perché ho perseguitato la chiesa di Dio» (1Cor 15,8-9). La drammaticità dell’esperienza vocazionale è risolta non per opera dell’uomo, ma per l’intervento di Dio. Dopo che uno dei Serafini interviene nella persona di Isaia, rendendolo un  uomo nuovo (Is 6,6-7) egli può rivolgersi al Re dell’universo e dichiarare la sua piena disponibilità al mettersi al suo servizio: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). Simon Pietro, dopo aver ascoltato Gesù che insegna (Lc 5,3) e vista la potenza operativa della sua Parola nella pesca miracolosa (Lc 5,6-7) si rende conto per grazia di Dio che la promessa fatta da Gesù: «Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10b) andava presa sul serio e non poteva essere realizzata se non con la decisione di lasciare tutto e seguire Gesù. Cosa che non solo Simone, ma anche Giacomo e Giovanni fanno insieme (Lc 5,11). L’intervento positivo di Dio che ha trasformato un persecutore della Chiesa in un apostolo testimone della resurrezione di Gesù è indicato dallo stesso Paolo che dice: «Per grazia di Dio sono quello che sono, e la grazia di Dio in me non è stata vana» (1Cor 15,10; At 9,17-19).
2. Isaia descrive la sua vocazione profetica avvenuta nel 740 a.C., in un racconto articolato in tre parti: la visione del Signore, Re dell’universo (Is 6,1-5), la grazia della trasformazione della sua vita ( Is 6,6-7), la disponibilità alla missione (Is 6,8). Il profeta percepisce Dio come un Re. L’espressione “Signore degli eserciti” indica che egli esercita la sua regalità sul popolo e sul mondo (Sal 24,10). La sua caratteristica peculiare è la santità, attributo con il quale Isaia manifesta la natura totalmente altra di Dio nei confronti dell’uomo, che è limitato e peccatore. La percezione della santità di Dio induce il profeta a meglio comprendere se stesso. Isaia si sente “perduto” a motivo del suo peccato e del peccato del popolo con il quale abita. Il peccato è percepito nelle labbra che rivelano quanto c’è nel cuore e sono il primo strumento interessato all’esercizio della sua missione profetica. Ma con due versetti che descrivono una vera liturgia di purificazione (Is 6,6-7) la triplice dichiarazione di indegnità fatta da Isaia: «Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono, e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito», è superata dalla triplice azione del Serafino che tocca le labbra di Isaia: in tal modo scompare la sua iniquità e il suo peccato è espiato (Is 6,7). Grazie al dono della novità di vita ricevuta, il profeta che prima aveva visto il Signore ora può anche udire la sua voce e diventare esecutore della volontà divina. Alla domanda del Signore: «Chi manderò e chi andrà per me?», Isaia risponde: «Eccomi, manda me». Tale risposta non ha nulla di presuntuoso: il profeta sa di poter fare affidamento non solo sulle sue forze ma anche e soprattutto sulla santità di Dio, la cui misericordia è senza limiti, e pertanto manifesta l’atteggiamento tipico del servo pronto a eseguire gli ordini del suo Re (1Sam 22,12; 2Sam 1,7).
3. Luca parla dei discepoli che Gesù raccoglie attorno a sé soltanto dopo avere descritto la sua attività soteriologica di Messia con le parole e con le opere (Lc 4,14-44). Il brano evangelico non è propriamente un racconto di vocazione alla sequela di Gesù, ma la narrazione di una promessa fatta a Simone: «D’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10b), dopo che Gesù aveva utilizzato la sua barca per insegnare alla folla (Lc 5,3) e dopo aver ottenuto da Simone l’obbedienza della fede a una parola che era in contrasto con la sua competenza professionale (Lc 5,5). Il conferimento della promessa è cosi il punto vertice di un racconto articolato in tre scene.
La prima (Lc 5,1-3) è caratterizzata da un interesse cristologico ed ecclesiologico. Il primo è visibile nella parola che descrive Gesù “stare in piedi”, come è proprio del Risorto (Gv 21,4) sulla riva del lago e accoglie la folla che va da lui per ascoltare la “Parola di Dio”. Quanto gli apostoli faranno nella vita della Chiesa annunciando la “Parola di Dio” non è altro che il prolungamento di quanto ha fatto Gesù nel corso della sua vita. Egli continua a parlare oggi all’umanità con la luce e la forza del suo Spirito e attraverso i ministri del Vangelo, i missionari. L’interesse ecclesiologico è visibile nel fatto che Gesù sceglie “la barca di Simone” per insegnare. La barca è metafora della Chiesa. Il verbo all’imperfetto ci invita a riconoscere che Gesù continua anche oggi a parlare alla folla attraverso la Chiesa, posta sotto la guida visibile di Pietro.
La seconda scena (Lc 5,4-7) evidenzia un interesse più specificatamente missionario. Il comando dato da Gesù a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca» (la pesca è metafora della missione) suona come una prova di fede che Simone supera comportandosi da vero discepolo che ascolta e mette in pratica la Parola; afferma infatti: «Sulla tua Parola getterò le tue reti». Ed è l’obbedienza alla Parola che rende feconda la missione della Chiesa, come aveva reso fecondo il grembo di Maria (Lc 1,31; 5,7). L’abbondanza della pesca è sottolineata dal fatto che “le reti si rompevano” per l’abbondanza dei pesci che non solo riempiono le due barche ma le portano quasi sul punto di affondare.
Simone nella terza scena (5, 8-11) si rende conto di trovarsi di fronte a una teofania. Gesù che aveva operato la pesca miracolosa non è soltanto un Maestro (5,5), ma è il Signore Dio alla cui presenza Simone si rende conto di essere un uomo peccatore (5,8; 22,34). La pesca miracolosa aveva suscitato lo stesso stupore anche in Giacomo e Giovanni. Ma è ai peccatori che riconoscono di essere tali e si pentono che Gesù affida la responsabilità della Chiesa (Lc 22,31-32). Gesù invita Simone a non temere e gli affida una promessa secondo la quale egli dovrà prendere vive le persone, rianimarle e ricondurle alla vita. Dopo aver ascoltato Gesù che insegna con autorità e compie un evento straordinario come quello a cui hanno assistito, Simone, Giovanni e Giacomo si rendono conto che Gesù è una persona credibile la cui parola è affidabile; perciò, mossi dalla grazia «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11). Il miglior modo per prepararsi alla missione è quello di iniziare un vero cammino di discepolato.
4. Abbiamo già messo in luce le analogie che la seconda lettura ha con la testimonianza di Isaia e il brano evangelico. Nel contesto della prima lettera ai Corinzi, Paolo intende affermare la centralità del Mistero pasquale nella esperienza di fede cristiana. La salvezza è legata alla fede nel valore salvifico della morte e risurrezione di Gesù, la formulazione di questa confessione di fede così come essa è presente nella seconda lettura («Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le scritture e riapparso a Cefa», 1Cor 15,3b-4) non è un elaborato teologico inventato da Paolo ma un dato della Tradizione Apostolica che risale alle origini dell’esperienza cristiana. L’apostolo afferma che nell’annuncio del Vangelo da lui fatto alla città di Corinto verso gli anni 50 d.C. egli ha semplicemente trasmesso quello che aveva ricevuto dalla comunità cristiana all’inizio della sua missione, verso la metà degli anni 30 d.C. Tale Tradizione è nata dalla testimonianza convergente di tutti coloro che hanno avuto la grazia di vedere il Risorto a partire da Cefa e dai Dodici sino ad arrivare a Paolo che merita, al pari dei primi, il titolo di apostolo perché anche lui ha visto il Signore (1Cor 9,1). Il brano termina con un’affermazione preziosa dal punto di vista ecumenico: tutti i testimoni di Cristo risorto proclamano il medesimo messaggio e tutti i fedeli professano la medesima fede. I legittimi approfondimenti teologici che si fanno sul Mistero pasquale devono garantire la fedeltà a tale Tradizione.


 Commento al lezionario festivo a cura di S.E. mons. Benigno Papa

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