Settimio CIPRIANI SDB"Sulla tua parola getterò le reti"



7 febbraio 2016 | 5a Domenica T. Ordinario - Anno C | Appunti per la Lectio
" Is 6,1-2ª.3-8 - Eccomi, manda me!
" Dal Salmo 137 - Rit.: Cantiamo al Signore davanti ai suoi angeli.
" 1 Cor 15,1-11 - Così predichiamo e così avete creduto.
" Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Io vi ho scelti di mezzo al mondo, dice il Signore, perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto sia duraturo. Alleluia. 
" Lc 5,1-11 - Lasciato tutto, lo seguirono.
"Sulla tua parola getterò le reti"

Nella prima e terza lettura della Liturgia di questa Domenica è predominante il tema della "chiamata" e della "missione". La stessa tematica emerge, in parte, anche nella seconda lettura, dove Paolo si introduce a parlare della risurrezione dei morti partendo proprio da una certa misteriosa esperienza che sia gli altri Apostoli che lui hanno fatto del Cristo "risorto", dal quale hanno ricevuto il mandato dell'annuncio missionario a tutte le genti: "Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto" (1 Cor 15,11). Anche l'acclamazione al Vangelo riprende il tema, ispirandosi però a Giovanni (15,16): "Io vi ho scelti di mezzo al mondo, dice il Signore, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia duraturo". Il nostro commento, pertanto, sarà orientato a far emergere alcuni elementi che danno senso alla "chiamata" e alla "missione", che sono aspetti "costitutivi" della Chiesa di tutti i tempi.

"Chi manderò e chi andrà per noi?"
La prima lettura ci riporta parte della scena grandiosa e drammatica della vocazione profetica di Isaia (6,1-2.3-8) al tempo della morte del re Ozia (circa il 740 a.C.). Ho detto "drammatica" perché nella seconda parte, che viene qui omessa, si accenna all'incomprensione del suo messaggio e al fatale giudizio di condanna che questo rifiuto farà piombare sul popolo d'Israele: "Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi, e non veda con gli occhi e non oda con gli orecchi, né comprenda con il cuore né si converta in modo da essere guarito" (6,10). Ogni gesto o dono salvifico di Dio ha quasi sempre e fatalmente la sua contropartita in un evento di perdizione per chiunque lo rifiuta: come è avvenuto per Cristo, che è nello stesso tempo "rovina e risurrezione di molti in Israele" (Lc 2,34).
Le cose più importanti da notare in questo brano mi sembra che siano tre.
La prima è il senso della trascendenza e della santità di Dio, infinitamente lontano anche da un uomo di altissima levatura come Isaia: "Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei Serafini... e proclamavano l'uno all'altro: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria"" (Is 6,1-2).
La "santità" è un tema centrale nella predicazione di Isaia, che chiama spesso Jahvèh "il Santo d'Israele" ed esige che anche l'uomo sia in un certo senso "santificato", come risulta dai versi immediatamente seguenti (vv. 5-7). Anche il "fumo" che riempie il tempio (v. 4) è simbolo di questa presenza trascendente di Dio.
Quello che commuove, però, è che il Dio immensamente lontano, quello che "il cielo e la terra non possono contenere", si renda così vicino all'uomo da farsi "vedere" (Is 6,1), cioè "esperimentare" da lui!
La seconda cosa è la chiara percezione del Profeta di essere indegno di questa bruciante "vicinanza" di Dio. È quanto egli afferma con parole di sgomento: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti" (v. 5). La scena successiva, di uno dei serafini che, con un carbone ardente, preso dal fuoco dell'altare, tocca la bocca del Profeta e gli purifica le labbra dichiarando "espiato" il suo peccato (vv. 6-7), vuol significare l'opera di trasformazione e di santificazione che Dio compie nel suo messaggero in genere, chiunque egli sia: l'uomo non può compiere l'opera della salvezza, se Dio non è con lui. Non sarà mai la genialità e neppure la saggezza o la naturale bontà degli uomini a portare a compimento il disegno salvifico di Dio!
Pur rimanendo lui l'arbitro della salvezza, tuttavia Dio chiama l'uomo a "collaborare" all'attuazione del suo piano salvifico. È la terza considerazione che ci suggerisce il testo, là dove ci descrive la pronta e generosa risposta del Profeta alla provocante interpellanza del Signore, apparsogli nella gloria: ""Chi manderò e chi andrà per noi?". E io risposi: "Eccomi, manda me"" (v. 8). Si noti il rapido passaggio del profeta dallo sgomento, e quasi dalla paura, alla gioia e alla prontezza di una risposta tremendamente impegnativa: nel frattempo, però, c'è stato il "corroboramento" interiore del Serafino, che lo ha segnato del "fuoco" bruciante del "Signore degli eserciti", cioè del Dio "forte" che manda a esecuzione "ciò che vuole in cielo e sulla terra". La stessa generosità che troveremo negli Apostoli, i quali, dopo l'invito di Gesù, "lasciarono tutto e lo seguirono" (Lc 5,21).

"Prendi il largo e calate le reti per la pesca"
La chiamata dei primi discepoli in Luca (5,1-11) è notevolmente diversa da quella descrittaci nei passi paralleli degli altri Sinottici (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20). Le differenze fondamentali sono due: qui la chiamata si svolge durante e come conseguenza di una pesca miracolosa, completamente assente da Matteo e da Marco, presente invece, in un altro contesto, in Giovanni (21,1-11). In Luca Pietro è il protagonista di tutta la scena, tanto che a lui solo viene rivolta la chiamata di Gesù: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (v. 10), anche se di fatto pure gli altri lo seguiranno. È certo che in tal modo S. Luca vuol far emergere alcuni tratti della sua teologia.
Mettendo però da parte queste osservazioni di carattere critico-formale, cerchiamo di cogliere alcune indicazioni a livello di contenuto teologico e spirituale nello stesso tempo.
E prima di tutto, questa: a differenza degli altri Sinottici, la chiamata dei primi discepoli in Luca è intimamente collegata all'attività di annuncio e di predicazione del Cristo. "Mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth, e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda... Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca" (vv. 1-3).
L'uso della barca di Pietro per predicare meglio alle folle e la successiva chiamata dei primi discepoli-pescatori, stanno a significare questo invito di Cristo a "partecipare" alla sua missione di annuncio: l'evangelizzazione è il primo compito di ogni discepolo di Cristo! Ed essa va fatta sempre da capo perché ognuno scopra ed esperimenti "personalmente" il Signore. È l'impegno a cui è invitata la Chiesa universale, ma specialmente, secondo le circostanze attuali, ogni chiesa locale che deve riscoprirsi "missionaria".
Proprio per questo in tutto il brano è predominante il tema della "parola". Abbiamo già visto che la folla "gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio" (v. 2); Gesù, scostatosi da riva, "si mise ad ammaestrare le folle dalla barca" (v. 3). Ma anche la scena successiva della pesca miracolosa è tutta imperniata attorno alla "forza" della "parola": "Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e calate le reti per la pesca". Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti". E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano" (vv. 4-6).
Se il miracolo avviene, avviene per la "forza" creatrice e capovolgitrice della "parola". E questo a un doppio livello: di Cristo che la pronuncia; di Pietro che la crede. Se Pietro non avesse creduto, "scommettendosi" sulla "parola" di Cristo, il miracolo non sarebbe avvenuto.
Questo è molto importante per capire la "primordialità" dell'evangelizzazione nella collaborazione con Cristo per l'opera della salvezza: è il Vangelo "creduto" e annunciato che salva! Il Vangelo "creduto" e vissuto fino in fondo prima di tutto dal predicatore e poi, ovviamente, da chi lo ascolta. Allora soltanto può avvenire il miracolo della pesca abbondante di "uomini" che abboccano all'amo di Pietro e degli altri Apostoli!
È interessante poi notare che Luca non dice propriamente, secondo il testo greco, come gli altri Sinottici, "diventerai pescatore di uomini", ma piuttosto: "Prenderai (gli uomini) per la vita, o vivi" (ése zogrôn), per significare che Pietro avrà ormai il compito di "catturare" gli uomini per la "vita", correggendo in tal modo l'immagine piuttosto "mortifera" della pesca.
Ed è solo il Vangelo "creduto" fino in fondo che "trasforma" la vita, come è avvenuto appunto per Pietro, per Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, e per Andrea, che però non è qui espressamente ricordato. È quanto l'Evangelista sottolinea nel concludere il racconto: "Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono" (v. 11). È l'inizio di una vita nuova che rompe con il passato per proiettarsi verso il futuro, che Gesù e la storia faranno emergere momento per momento: del passato rimarrà solo la trasfigurazione, in positivo, dell'arte della pesca con il corredo di qualità morali, oltre che fisiche, da essa richieste: pazienza, tenacia, attenzione, capacità di affrontare il rischio, spirito di sacrificio, ecc. Tutto questo, adesso, servirà per "prendere per la vita" gli uomini con la potenza dell'annuncio e l'esempio di una "sequela" fedele di Cristo.
"Seguire significa compiere determinati passi. Già il primo passo, fatto dopo la chiamata, separa colui che segue Gesù dalla sua vita passata. Così la chiamata a seguire crea subito una nuova situazione. Restare nella posizione di prima e seguire sono due posizioni che si escludono a vicenda... Con il fatto stesso di chiamare uno al suo seguito Gesù gli diceva che per lui non c'era altra possibilità di credere tranne quella di abbandonare tutto e di mettersi in cammino con il Figlio di Dio diventato uomo... La via che conduce alla fede passa attraverso l'obbedienza alla chiamata di Cristo. Quel passo è necessario, altrimenti la chiamata di Gesù va a vuoto, ed ogni pretesa di seguirlo senza compiere questo passo a cui Gesù invita, diviene una falsa esaltazione".

La "barca" di Pietro
Non possiamo omettere di fare un'ultima riflessione che il testo lucano, a differenza degli altri Sinottici, impone: è la "preminenza" di Pietro in tutta questa scena di chiamata e di preannuncio di missione.
È sua la barca che Gesù sceglie per ammaestrare la folla (v. 3); è a lui che ordina di prendere il largo e di "gettare le reti" (v. 4); è Pietro che proclama la fede nella "parola" di Gesù, pur dopo l'esperienza di tutta una notte di inutile lavoro (v. 5); è ancora Pietro che dopo il miracolo, pieno di "stupore" (cf vv. 9-10), dichiara la sua fede in Gesù, confessandolo "Signore": "Signore, allontànati da me che sono un peccatore" (v. 8); è infine Pietro che Gesù chiama a seguirlo, prima e più degli altri: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (v. 10). Si può anche osservare che qui S. Luca anticipa per Simone il nome di "Pietro" (v. 8), che di fatto solo più tardi Gesù gli imporrà (cf Lc 6,14).
Tutto ciò sta indubbiamente a significare una "funzione" particolare di Pietro nel disegno salvifico di Cristo: è nella sua barca che, anche oggi, e sempre, Gesù insegna alle folle e compie il prodigio della pesca miracolosa. Non c'è "missione" nella Chiesa senza Pietro!
Strano perciò che qualcuno abbia affermato, o anche pensi, che Pietro sia il grande "ostacolo" per la ricomposizione della unità delle Chiese. Secondo il racconto di Luca, invece, l'altra barca venne ad arricchirsi proprio della pesca prodigiosa fatta da Pietro. È così che tutte e due le barche si riempirono "al punto che quasi affondavano" (v. 7). È alla barca di Pietro che bisogna ancora andare, o ritornare, perché la pesca sia abbondante, per la gioia e la soddisfazione di tutti.

Settimio CIPRIANI

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