Don Giorgio Scatto"In Cristo siamo «nuovi» per una vita gioiosamente filiale"
4° Domenica di Quaresima (anno C)
In Cristo siamo «nuovi» per una vita gioiosamente filiale
MONASTERO MARANGO
Letture: Gs 5,9-12; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
1«Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al
collo e lo baciò».
La parabola del figlio che, ricevuta l’eredità, lascia la casa del padre e va in un paese lontano sperperando in una vita dissoluta tutto il patrimonio, è la più commovente tra tutte le parabole narrate da Gesù.
Si racconta anche di un fratello maggiore, un bravo lavoratore dei campi, che non si era mai allontanato dalla casa paterna. Ma stava in famiglia come un estraneo, come uno dei servi, incapace di far festa. Lontano, pure lui, come il fratello minore, dal cuore del padre.
La vicenda dei due figli, apparentemente così diversi, serve unicamente a rivelare il volto di questo padre, che si mette in strada correndo incontro al figlio perduto e ritrovato; e che esce ancora per supplicare l’altro figlio, che orgogliosamente non vuole partecipare alla festa preparata per chi, ritornato a casa, è stato coperto dal caldo abbraccio dell’ amore del padre, mai venuto meno nel lungo tempo dell’esilio e della lontananza.
Gesù non ha mai raffigurato il Padre del cielo con più efficacia e con immagini più vive di quelle usate in questa parabola.
La sorpresa inizia con il fatto che il padre esaudisce la richiesta del figlio minore, consegnandogli in anticipo la parte di patrimonio che gli spetta. Normalmente ciò sarebbe dovuto avvenire dopo la morte del testatore. La pagina biblica parla di «ousìa»: si tratta non di beni, ma della vita personale del padre. Più sotto si dirà: «divise tra loro le sue sostanze». Nel testo greco leggiamo «bìon», vita. Il padre consegna ai figli la sua stessa vita. Per noi questa parte di eredità è la nostra esistenza, la nostra libertà, la nostra responsabilità di fronte all’esistenza. Ma anche la nostra partecipazione alla vita divina, in quanto figli di Dio. E’ un patrimonio che spesso buttiamo via, finendo in miseria.
«Andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci».
Il degrado non ha mai un limite fissato, invalicabile. Trova sempre una strada larga, una porta aperta, spalancata sul precipizio. Il peccato, la lontananza dal Padre, getta in una radicale solitudine, in un vuoto dell’anima, che nessuno può colmare, se non Dio solo.
E’ pura convenienza, e non comprensione del male recato, il ragionamento che a questo punto esce dalla mente malata di questo figlio, che ha accumulato solo delusioni e sconfitte: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame! Mi alzerò e andrò da mio padre…». Sente la mancanze del pane, non del padre! Si adatta a vivere da servo, pur di sopravvivere in qualche modo. Fa la strada a ritroso, ma non tutti i cammini sono cammini di conversione. Spesso sanno di calcolo e di opportunismo. Non basta andare in pellegrinaggio per cambiare il cuore.
Sciupare tutto e finire in miseria, quando si viene meno a certe regole di comportamento dettate dalla sapienza e dall’esperienza, non è il tratto più interessante del racconto. Queste sono storie tante volte raccontate, sempre uguali a sé stesse. Non funzionano più nemmeno come deterrente. Ognuno, oggi, fa quello che gli pare.
La novità è ancora questo padre, che scruta continuamente l’orizzonte; il suo correre scomposto verso il figlio, riconosciuto quando ancora era lontano; il suo esagerato abbraccio; e i vestiti nuovi, i sandali, l’anello; e la festa magnifica, preparata per questo figlio dato per morto, e ora ritornato all’esistenza.
Neppure è interessante e nuovo il comportamento risentito e indignato del fratello grande, che non conosce cosa sia la musica e non sa cosa voglia dire danzare e far festa. Non è una novità che il fratello non riconosca il fratello, e che il nemico sia proprio chi è nato nella stessa casa e dallo stesso sangue.
Non ci fanno più scandalo le divisioni nella Chiesa, i muri di separazione, l’orgoglio nel quale ci si rinchiude, sentendoci migliori di tanti altri. Critichiamo chi se ne è andato, ma il nostro cuore è indurito come una pietra.
Sì, la novità è il padre. Neppure per il figlio maggiore ha una parola dura, un rimprovero, una minaccia. Questo padre è sempre sulla strada, per invitare a far festa, e rallegrarsi, perché ciò che si riteneva perduto, lui l’ha ritrovato; ciò che molti pensavano fosse già sepolto dall’oblio, lui lo ha riportato in vita, non per un giudizio di condanna, ma per un abbraccio benedicente.
«La misericordia è la capacità che Dio ha di anticiparti, di aspettarti prima che tu decida di andargli incontro. La misericordia non è semplicemente perdono per qualcosa fatto prima, ma un’attitudine a priori. L’attesa del Padre precede il ritorno del figlio» (A.Spadaro, La misericordia è una carezza, Rizzoli, Milano 2015, pp.11).
«Colui che non aveva commesso peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore ».
Tra cristiani abbiamo sempre la terribile tentazione di non credere a sufficienza all’amore misericordioso del Padre. Pensiamo ancora che il nostro peccato ci abbia meritato solo il doveroso castigo. Lo affermiamo e lo insegniamo.
Gesù, nel suo annuncio e in tutta la sua vita, non vuole rivelare niente altro che l’amore del Padre che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». E’ questo ciò che crede la Chiesa. Il peso insopportabile del peccato che ci schiaccia l’ha portato Gesù, glorificando il Padre fino alla croce. Il Padre ci ha riconciliati con sé «attraverso Cristo». E la Chiesa ha ricevuto l’incarico di annunciare questa «parola della riconciliazione», non altre parole che possono sembrare anche più ‘religiose’, perché prospettano pene e castighi, ma che in realtà ci allontanano da questo esagerato e umanamente incomprensibile amore per il peccatore.
In Cristo siamo «una nuova creazione», resi capaci, per puro dono, di una vita gioiosamente filiale.
Giorgio Scatto
In Cristo siamo «nuovi» per una vita gioiosamente filiale
MONASTERO MARANGO
Letture: Gs 5,9-12; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
1«Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al
collo e lo baciò».
La parabola del figlio che, ricevuta l’eredità, lascia la casa del padre e va in un paese lontano sperperando in una vita dissoluta tutto il patrimonio, è la più commovente tra tutte le parabole narrate da Gesù.
Si racconta anche di un fratello maggiore, un bravo lavoratore dei campi, che non si era mai allontanato dalla casa paterna. Ma stava in famiglia come un estraneo, come uno dei servi, incapace di far festa. Lontano, pure lui, come il fratello minore, dal cuore del padre.
La vicenda dei due figli, apparentemente così diversi, serve unicamente a rivelare il volto di questo padre, che si mette in strada correndo incontro al figlio perduto e ritrovato; e che esce ancora per supplicare l’altro figlio, che orgogliosamente non vuole partecipare alla festa preparata per chi, ritornato a casa, è stato coperto dal caldo abbraccio dell’ amore del padre, mai venuto meno nel lungo tempo dell’esilio e della lontananza.
Gesù non ha mai raffigurato il Padre del cielo con più efficacia e con immagini più vive di quelle usate in questa parabola.
La sorpresa inizia con il fatto che il padre esaudisce la richiesta del figlio minore, consegnandogli in anticipo la parte di patrimonio che gli spetta. Normalmente ciò sarebbe dovuto avvenire dopo la morte del testatore. La pagina biblica parla di «ousìa»: si tratta non di beni, ma della vita personale del padre. Più sotto si dirà: «divise tra loro le sue sostanze». Nel testo greco leggiamo «bìon», vita. Il padre consegna ai figli la sua stessa vita. Per noi questa parte di eredità è la nostra esistenza, la nostra libertà, la nostra responsabilità di fronte all’esistenza. Ma anche la nostra partecipazione alla vita divina, in quanto figli di Dio. E’ un patrimonio che spesso buttiamo via, finendo in miseria.
«Andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci».
Il degrado non ha mai un limite fissato, invalicabile. Trova sempre una strada larga, una porta aperta, spalancata sul precipizio. Il peccato, la lontananza dal Padre, getta in una radicale solitudine, in un vuoto dell’anima, che nessuno può colmare, se non Dio solo.
E’ pura convenienza, e non comprensione del male recato, il ragionamento che a questo punto esce dalla mente malata di questo figlio, che ha accumulato solo delusioni e sconfitte: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame! Mi alzerò e andrò da mio padre…». Sente la mancanze del pane, non del padre! Si adatta a vivere da servo, pur di sopravvivere in qualche modo. Fa la strada a ritroso, ma non tutti i cammini sono cammini di conversione. Spesso sanno di calcolo e di opportunismo. Non basta andare in pellegrinaggio per cambiare il cuore.
Sciupare tutto e finire in miseria, quando si viene meno a certe regole di comportamento dettate dalla sapienza e dall’esperienza, non è il tratto più interessante del racconto. Queste sono storie tante volte raccontate, sempre uguali a sé stesse. Non funzionano più nemmeno come deterrente. Ognuno, oggi, fa quello che gli pare.
La novità è ancora questo padre, che scruta continuamente l’orizzonte; il suo correre scomposto verso il figlio, riconosciuto quando ancora era lontano; il suo esagerato abbraccio; e i vestiti nuovi, i sandali, l’anello; e la festa magnifica, preparata per questo figlio dato per morto, e ora ritornato all’esistenza.
Neppure è interessante e nuovo il comportamento risentito e indignato del fratello grande, che non conosce cosa sia la musica e non sa cosa voglia dire danzare e far festa. Non è una novità che il fratello non riconosca il fratello, e che il nemico sia proprio chi è nato nella stessa casa e dallo stesso sangue.
Non ci fanno più scandalo le divisioni nella Chiesa, i muri di separazione, l’orgoglio nel quale ci si rinchiude, sentendoci migliori di tanti altri. Critichiamo chi se ne è andato, ma il nostro cuore è indurito come una pietra.
Sì, la novità è il padre. Neppure per il figlio maggiore ha una parola dura, un rimprovero, una minaccia. Questo padre è sempre sulla strada, per invitare a far festa, e rallegrarsi, perché ciò che si riteneva perduto, lui l’ha ritrovato; ciò che molti pensavano fosse già sepolto dall’oblio, lui lo ha riportato in vita, non per un giudizio di condanna, ma per un abbraccio benedicente.
«La misericordia è la capacità che Dio ha di anticiparti, di aspettarti prima che tu decida di andargli incontro. La misericordia non è semplicemente perdono per qualcosa fatto prima, ma un’attitudine a priori. L’attesa del Padre precede il ritorno del figlio» (A.Spadaro, La misericordia è una carezza, Rizzoli, Milano 2015, pp.11).
«Colui che non aveva commesso peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore ».
Tra cristiani abbiamo sempre la terribile tentazione di non credere a sufficienza all’amore misericordioso del Padre. Pensiamo ancora che il nostro peccato ci abbia meritato solo il doveroso castigo. Lo affermiamo e lo insegniamo.
Gesù, nel suo annuncio e in tutta la sua vita, non vuole rivelare niente altro che l’amore del Padre che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». E’ questo ciò che crede la Chiesa. Il peso insopportabile del peccato che ci schiaccia l’ha portato Gesù, glorificando il Padre fino alla croce. Il Padre ci ha riconciliati con sé «attraverso Cristo». E la Chiesa ha ricevuto l’incarico di annunciare questa «parola della riconciliazione», non altre parole che possono sembrare anche più ‘religiose’, perché prospettano pene e castighi, ma che in realtà ci allontanano da questo esagerato e umanamente incomprensibile amore per il peccatore.
In Cristo siamo «una nuova creazione», resi capaci, per puro dono, di una vita gioiosamente filiale.
Giorgio Scatto
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