DON PaoloScquizzato,«Questo tuo fratello era morto»



OMELIA 4a Domenica Quaresima. Anno C
Una vecchia pedagogia, riteneva che l’obiettivo dell’educazione consistesse nel ‘raddrizzare i chiodi
storti’. Vedeva i figli, gli studenti, i giovani, i sudditi, ‘chiodi da raddrizzare’, qualcosa da rimettere in riga, da far ‘rientrare’ in schematismi preordinati, collaudati, in pensieri standardizzati; occorreva insomma intrappolare le persone ritenute ribelli – ma in realtà soltanto libere – in una morale del ‘è giusto così’, ‘si deve far così’, del ‘si è sempre fatto così’. La cosa grave è che si è proiettato questa idea anche sul ‘grande pedagogo’ che taluni chiamano Dio.
Ma il Vangelo di oggi ci rivela la bella notizia, ossia che il nostro Dio ama proprio i chiodi storti. Ama le storture, le storie sbagliate, gli uomini usciti di strada, gli imbrattati nel brago dei porci.
La felicità di Dio non sta nell’avere davanti a sé dei primi della classe, in abiti lindi e morali immacolate, che compiono ciò che è giusto e assolvono il dovuto. La soddisfazione di Dio non consiste nell’avere servi che obbediscono o dipendenti che lavorano per il padrone. Il Dio del Vangelo è il Padre che impazza di gioia e ritiene doveroso far festa (v. 32), perché finalmente può rivelare ai suoi figli la sua verità di Padre, mostrare di che stoffa è fatto, qual è la sua autentica sostanza.
La gioia di Dio non sta nel comportamento del figlio, ma che questi sperimenti qual è il comportamento del Padre nei suoi confronti: «questa è la vita eterna, che conoscano te», dice Gesù rivolgendosi al Padre (Gv 17, 3).
Conoscere – e quindi sperimentare nella carne – chi è Dio per me, questo è fondamentale. Si comprenderà che il significato profondo di questa parabola, non è altro che anticipazione di ciò che verrà rivelato in maniera totale e definitiva sulla croce. Su quel legno avremo la comprensione totale di che stoffa è fatto il nostro Dio: amore che dà la vita perché io possa lentamente vivere di questo medesimo amore nei confronti degli altri: «Diventate (e non ‘siate’, com’è nella traduzione italiana) misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6, 36).
Abbiamo identificato la salvezza col “diventare migliori”, ne abbiamo fatto una questione di ‘migliorismo’, di sforzo morale. Abbiamo ridotto la confessione in un’accusa del divario tra ‘ciò che avrei dovuto essere e fare’ e ciò che invece mi trovo a vivere. Quando il Vangelo mi ricorda che la salvezza consiste solo nel perdersi nell’abbraccio di questo Dio che attende e recupera, così come siamo. Solo questo abbraccio produce vita, gioia, trasformazione interiore, mentre l’accusa continua (e frustrante) del dislivello tra il dovuto e la realtà delle nostre miserie, genera sensi di colpa e tristezza mortale.
Dio non nutre aspettative su di noi, perché l’amore non s’aspetta nulla dall’amato, come un buon genitore non dovrebbe attendersi nulla dai figli, amandoli solo in quanto figli. «Il vero amore per i figli dev’essere a favore dei figli, svincolato da qualsiasi aspettativa nei loro confronti. Questa è una debolezza dei genitori: la si potrebbe definire il loro destino» (Etti Hillesum, Diario).
«Questo tuo fratello era morto» (v. 32) dice il Padre al fratello maggiore.
Ma ora è tornato a vivere, perché perdonato.
Io personalmente, non ho esperienza di risurrezione. Posso crederci per fede, ma non ho mai visto cadaveri ritornati in vita, e mi pare che la storia non ne contempli – e comunque non m’interessa.
Credo fermamente però, che il perdono abbia il potere di far tornare in vita una persona la cui colpa, il male, lo sbaglio commesso ha fatto precipitare in un gorgo infernale.
Perdonare, come lascia intuire il padre in questa parabola, non significa né amnistia né amnesia, ma concedere possibilità all’altro di ricominciare a vivere, ad aprire a un futuro che ha il sapore di rinascita, significa concedere il miracolo di ricominciare.
Perdonare significa avere in sé quel fuoco divino in grado di concedere all’altro di poter rinascere dalle proprie stesse ceneri, per poi sperimentare che il primo a volare sono proprio io.


FONTE:http://www.paoloscquizzato.it/

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