Don Umberto DE VANNA sdb Commemorazione del Giovedì Santo

24 marzo 2016 | Giovedì Santo - Anno C | Omelia
Commemorazione del Giovedì Santo
Per cominciare
Il triduo pasquale inizia con questa celebrazione, spesso accompagnata dal rito suggestivo della
"lavanda dei piedi". Gli ultimi giorni di Gesù ritrovano nei riti di questi due giorni tutta la loro forza, capace di cambiare i nostri cuori appesantiti dal quotidiano. L'"Ultima Cena" di Gesù in particolare ripropone in tutta la sua crudezza la fede incerta e piccola degli apostoli, le ingenue promesse di Pietro, il tradimento di Giuda, ma anche l'umiliazione di Gesù e il suo amore sconfinato che si perpetua in ogni messa che celebriamo.

La parola di Dio
Esodo 12,1-8.11.14. È il racconto della prima Pasqua. Ogni anno gli ebrei riuniti in famiglia ne facevano memoria, ricordando l'episodio antico della loro liberazione. Con il sangue di un agnello Iahvè aveva salvato le case degli ebrei. Quella notte non si cancellerà mai dal cuore e dalla mente del popolo scelto da Dio. Anche Gesù con i suoi apostoli celebra la Pasqua.
1 Corinzi 11,23-26. È questo il più antico racconto dell'Ultima Cena di Gesù e dell'istituzione dell'eucaristia. Paolo non era presente, ma trasmette quello che a sua volta gli è stato annunciato. Anche noi ogni domenica e questa sera in particolare, ripresentiamo nell'eucaristia i gesti di Gesù, per continuare a "fare memoria" di lui.
Giovanni 13,1-15. Giovanni non presenta l'istituzione dell'eucaristia, ma la lavanda dei piedi degli apostoli, gesto di umiliazione di Gesù e di purificazione per gli apostoli. È un gesto di profonda comunione e di estremo amore da parte di Gesù, che compie perché "come ha fatto lui, facciamo anche noi". È il gesto che dovrebbe nascere a ogni eucaristia celebrata.

Riflettere

È la Pasqua. Anche Gesù la celebra, ma con i suoi apostoli. Siamo ormai alle ultime ore che precedono la sua passione. Quando è evidente la certezza che Giuda è determinato a tradirlo, Gesù compie due scelte di supremo amore: si dona nell'eucaristia e lava i piedi agli apostoli. Sono due gesti che partono dallo stesso desiderio di amore senza misura: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo..."; "Si legò un asciugamano intorno ai fianchi e cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli...".
Gesù afferma di avere tanto desiderato questo momento, prima di finire sulla croce (Lc 22,15). In quel consumare la cena insieme, nel mangiare e bere il suo sangue, si sarebbe realizzato per gli apostoli il più profondo livello di coinvolgimento alla sua azione salvifica.
L'evangelista Giovanni non ricorda l'istituzione dell'eucaristia, mentre narra per disteso l'episodio della lavanda dei piedi. In realtà nei due fatti non vi è rottura o diversità: la lavanda dei piedi si fonde con il gesto dello spezzare il pane: lo spiega, lo approfondisce, lo rende più trasparente. Il lavare i piedi per Gesù infatti non è solo un gesto di grande umiltà, ma esprime insieme da parte sua una volontà di donazione senza limiti e per gli apostoli un momento di purificazione totale e una vocazione al servizio. Non per niente c'è chi ha dato alla lavanda dei piedi un significato battesimale.
Il gesto servile di Gesù richiama dunque una volontà di comunione fraterna che trova espressione sacramentale nella eucaristia e manifestazione quotidiana in una "diaconia" che sorpassa ogni logica umana.
Ci troviamo alla vigilia della Pasqua di Gesù. La lavanda dei piedi e la rivelazione del tradimento di Giuda hanno preparato l'animo degli apostoli a un messaggio nuovo. La crisi della passione di Gesù farà cadere gli apostoli in una solitudine drammatica, sia a livello personale che comunitario. Da anni essi vivono uno accanto all'altro, se non proprio l'uno per l'altro. Gesù chiede loro una solidarietà nuova, anche a testimonianza di essere dei continuatori dello stile di vita praticato da Gesù.
L'amore reciproco è prima di tutto lo strumento sensibile per continuare a sentire viva la presenza di Gesù tra loro, per essere certi di prolungare nel tempo la sua esperienza di vita.
Come dice Gesù più oltre (Gv 13, 34-35) si tratta di un "comandamento nuovo", perché propone un modo di vivere qualitativamente diverso, animato da un amore senza misura. D'ora in poi, dopo quella Pasqua, l'amore diventa segno e condizione per amare Dio. Si ama quindi col metro di Dio, si ama il fratello che si vede in modo incondizionato per verificare l'amore per Dio.
È vivendo in questo amore che la comunità cristiana continuerà la testimonianza di Gesù, prolungando nel tempo la sua esperienza di vita, il modo di vivere del Gesù storico.

Attualizzare

"È con l'amore che il nostro Dio ci ha conquistati" (san Clemente Romano). "Per ora tu non capisci quello che faccio...". Anche noi siamo di quelli che troviamo incomprensibile il gesto di Gesù. È certamente un gesto che risponde a una mentalità sconosciuta al mondo, dove chi è servo fa il servo e chi è padrone si fa servire.
Chi entra però in questo nuovo ordine di idee impara ad amare e a servire sul serio. In questo senso diventa un gesto necessario, come esprime impetuosamente Pietro, senza probabilmente comprendere fino in fondo ciò che dice: "Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!".
Lasciarsi lavare i piedi da Gesù significa lasciarsi coinvolgere nella sua missione, nel suo stile di vita, fare le sue scelte. Il suo è un gesto profetico e sacramentale: richiama insieme il Calvario e il battesimo nello Spirito Santo.
Tutto ciò si realizza anche oggi nell'eucaristia. La messa sarebbe un rito vuoto, un'assemblea formale, una commedia, se i partecipanti non avessero quel desiderio di purificazione profonda e la volontà di mettere in pratica il comando di Gesù: "Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri".
"Gli uni agli altri", dice Gesù. L'amore al quale invita gli apostoli è un amore reciproco: è un'espressione che Gesù ripete varie altre volte. "Amatevi gli uni gli altri", dice e non può essere considerato un di più, qualcosa di accessorio, perché ogni uomo ha contemporaneamente il dovere di amare e il diritto di essere amato. È solo così che la vita sociale raggiunge l'armonia. Chi non è amato e si sente rifiutato diventa cattivo e a lungo andare diventa anche incapace di amare.
L'amore si traduce concretamente in qualcosa di visibile, di verificabile: nell'apertura agli altri (i più vicini), nella disponibilità a condividere le esperienze, nella volontà di comunione, nell'ascolto, nell'accoglienza, nell'accettazione, nel saluto...
Amore è anche impegno sociale, per trasformare il mondo. Il cristiano non può lavarsi le mani di fronte ai problemi dell'umanità, ma si sporca di storia, si impegna senza fastidio, sapendo che amare a fatti significa anche aiutare gli uomini a dividere il pane, cioè a realizzare la giustizia.

Omelia per il Giovedì santo, 13 aprile 1955

"Egli mi ha amato fino all'estremo,
all'estremo di me, all'estremo di se stesso…
Mi ha amato a modo suo, che non coincide con il mio.
Mi ha amato senza contropartite, in assoluta gratuità…
Avrei potuto essere amato
in modo più discreto, meno solenne.
Mi ha amato come io non so amare:
con quella semplicità, quell'oblìo di sé,
quel servizio umile e non gratificante,
senza alcun amor proprio.
Mi ha amato con l'autorità generosa ma ineludibile di un padre,
e anche con la tenerezza indulgente
e mai completamente tranquilla di una madre"

(Chistian de Chergé,
priore di Tibhirine,
uno dei sette monaci del monastero cistercense,
assassinati nel 1996 in Algeria).

Don Umberto DE VANNA sdb

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