Don Umberto DE VANNA sdb"Domenica della Divina Misericordia"

3 aprile 2016 | 2a Domenica di Pasqua- Anno C | Omelia
Domenica della Divina Misericordia
Per cominciare
Oggi è la domenica della misericordia. Gesù dona il suo perdono agli apostoli e chiede loro di
esercitare il ministero del perdono nella comunità cristiana. È anche la domenica di Tommaso, l'apostolo che più rappresenta l'uomo moderno, sempre alla ricerca di prove convincenti. Ma Gesù proclama beati coloro che credono in lui fidandosi della parola dei suoi testimoni.

La parola di Dio
Atti degli apostoli 5,12-16. Gli apostoli continuano l'opera di Gesù e compiono "molti segni e miracoli". Intanto la comunità cresce, diventa "una moltitudine di uomini e donne". Tutto è nato dalla risurrezione, sia la nuova fede purificata degli apostoli, sia il loro condividere con Gesù il potere di guarire i malati.
Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19. Il libro dell'Apocalisse è un testo ricco di immagini suggestive e simboliche. Nel brano che viene presentato oggi, Giovanni vede Gesù risorto in una liturgia di grande solennità e cade prostrato in ginocchio. Ciò che l'apostolo vede deve scriverlo e raccontarlo a consolazione delle comunità cristiane che subiscono persecuzione.
Giovanni 20,19-31. È lo stesso brano di vangelo che viene proposto negli anni A, B e C. È la sera del primo giorno della settimana. Le porte dove si trovano gli apostoli sono chiuse. Essi sono pieni di paura e temono di fare la stessa fine del loro maestro. Ma Gesù si presenta a loro, mostra le mani e il costato trafitti. A quegli apostoli impauriti, che lo hanno appena abbandonato e tradito, ridona piena la fiducia e conferisce loro il potere di perdonare i peccati. Non c'è Tommaso, che, quando gli dicono di aver visto Gesù, non si fida. Otto giorni dopo Gesù è di nuovo tra loro e questa volta c'è anche Tommaso, che, di fronte all'evidenza, rivela una fede piena: "Mio Signore e mio Dio!".

Riflettere

È l'ottava di Pasqua e la liturgia propone nella seconda lettura un Cristo solenne, uno liturgia celeste attorno a Gesù, come appare a Giovanni nel primo capitolo dell'Apocalisse. Gesù ha le sembianze profetiche del Figlio dell'Uomo, come ha sempre amato definirsi, veste un abito sacerdotale e una fascia d'oro regale. Si presenta come l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, Signore incontrastato della morte, e dice a Giovanni, che si lascia cadere ai suoi piedi, parole di consolazione da trasmettere alle sette chiese dell'Asia Minore, qui rappresentate da sette candelabri d'oro. Sono un canto di speranza che leggono la storia e le danno un senso proprio nel momento in cui i cristiani devono affrontare la persecuzione.
Ed ecco nella prima lettura gli apostoli all'opera nell'aggregare alla chiesa nuovi convertiti nonostante l'opposizione delle autorità e nel continuare come Gesù a operare miracoli straordinari. Eccoli dividere la gente, come ha fatto Gesù: il popolo aderisce alla loro parola, le autorità la contrastano.
Anch'essi, come Gesù, subiranno la persecuzione da parte della chiesa ebraica, e con il tempo dall'impero romano. La risurrezione di Gesù e la sua divinità, infatti, che è oggetto della loro coraggiosa testimonianza, non è tollerata dall'imperatore del tempo, che vuole essere venerato "come signore e dio".
Non è comunque la sconfitta la conclusione della vita di Gesù. Le apparizioni pasquali lo ripropongono vincitore. Gesù va a ricuperare gli apostoli, riallaccia le fila di quella comunità che sarebbe stata la chiesa. Eppure anche in questi giorni di fatti singolari, negli apostoli non mancano i dubbi e le incertezze. Faticano a credere e a fidarsi. Tommaso si ribella e chiede di "toccare con mano", i due discepoli di Emmaus abbandonano Gerusalemme delusi. Quando Gesù compare, gli apostoli sono più dubbiosi che contenti, anzi "sconvolti e pieni di paura" (Lc 24,37), perché pensano di vedere un fantasma.
Gesù li rassicura: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho". Dicendo questo, mostra loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credono ancora e sono pieni di stupore, dice: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro" (Lc 24, 38-43).
Il biblista Gianfranco Ravasi afferma che il vocabolo "apparizione" è poco corretto parlando del Gesù risorto, perché nell'accezione odierna spesso raccoglie sotto questo termine fantasie, emozioni spirituali indefinibili, parapsicologia e altro ancora. Mentre nel vangelo ricorre solo il verbo "vedere": Gesù "fu visto" dagli apostoli, dalle donne, dai discepoli.
È proprio questo che sembra dire coraggiosamente Pietro quando afferma che Gesù li ha scelti come testimoni: "Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti" (At 10,41). E lo dice questa volta a voce alta, proclamando Gesù "Signore e Cristo", accusando gli ebrei di averlo crocifisso.
Questo è capitato agli apostoli. Lo hanno incontrato, lo hanno toccato con le loro mani, hanno mangiato e bevuto con lui, con lo stesso Gesù che pochi giorni prima ha subito la crocifissione, è morto ed è stato sepolto.
A questi apostoli impauriti e diremmo anche poco affidabili, Gesù offre anzitutto il saluto di pace, che è riconciliazione e perdono. È lo stesso gesto magnanime e grande del Dio delle promesse, di chi non si pente delle sue chiamate e dei suoi doni. E poi affida a loro il potere di perdonare, che è ciò a cui Gesù è più sensibile durante la vita pubblica. Volto misericordioso di Dio, Gesù chiede dunque alla sua chiesa e ai suoi ministri di continuare a offrire il perdono nel suo nome.
In quella sera del primo giorno della settimana non c'è Tommaso, che non crede al racconto degli altri apostoli. Teme di finire disilluso, di essere ancora una volta ingannato. Tommaso probabilmente ha sentito più degli altri la delusione per la fine in croce di Gesù. Messo di fronte al fatto della risurrezione, egli non ci vuole credere: teme di incontrare altre frustrazioni. Ma quando otto giorni dopo Gesù gli si presenta mostrando le piaghe aperte, egli si convince di non avere mai veramente dubitato ed esce nella più netta professione di fede di tutto il vangelo: "Mio Signore e mio Dio!".

Attualizzare

Sono sei le domeniche di Pasqua, la domenica delle domeniche, la festa delle feste. Sin dagli inizi fu considerata così importante che si sentì il bisogno di prepararla con quaranta giorni di penitenza, la quaresima; e di prolungarla con cinquanta giorni di Pasqua, che dovevano essere celebrati "come un unico giorno di festa" (così Ireneo). La solennità di Pasqua tocca il culmine del suo significato salvifico con la Pentecoste: lo Spirito Santo scende sulla chiesa delle origini e rende gli apostoli testimoni irresistibili della risurrezione.
La prima domenica dopo Pasqua è chiamata "Domenica in albis". Nei primi tempi della chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, e i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" (in albis depositis).
Per iniziativa di Giovanni Paolo II poi, nella domenica in albis la chiesa celebra la "Divina Misericordia di Dio". Con questa festa Giovanni Paolo II ha accolto il desiderio di Gesù stesso che nel 1931, apparendo in una visione privata a una suora polacca, oggi santa, suor Faustina Kowalska, chiese l'istituzione della festa, proprio nei giorni in cui Gesù esercitava la piena misericordia nei confronti dei suoi apostoli, reintegrandoli integralmente nella missione.
Come dicevamo, il vangelo di questa ottava di Pasqua presenta gli apostoli chiusi nel cenacolo e pieni di paura. Anch'essi sono fatti della stessa stoffa degli altri ebrei: hanno in mente un altro messia, quello vittorioso. Vogliono vedere miracoli, vogliono essere rassicurati. Come Tommaso vogliono mettere le mani nel costato del crocifisso per credere. Anche di loro Gesù può dire: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete" (Gv 4,48). Eppure è a loro che Gesù infonde lo Spirito Santo e affida la propria missione, mandandoli in tutto il mondo. Dice: "Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi" (Gv 20,21).
In ogni tempo la chiesa si sentirà investita dalle parole di Gesù e nello stesso tempo si troverà piena di limiti. Dice sant'Agostino: "Gesù scelse discepoli a cui diede il nome di apostoli, nati da gente umile, senza cariche pubbliche, senza cultura, affinché tutto ciò che fossero e operassero di grande, egli stesso lo fosse e lo operasse in loro".
Gesù alita su di loro e dà loro il potere di perdonare i peccati. È curioso che tra i tanti compiti affidati agli apostoli, Giovanni ricordi solo questo. È però solo così che la chiesa sarà la casa di tutti; e anche chi è in autorità si senta umile, perché ugualmente bisognoso di perdono come gli altri.
Di fronte alla risurrezione di Gesù, spicca il comportamento di Tommaso. Forse è meno pauroso degli altri e quando Gesù si presenta agli apostoli è in giro per Gerusalemme. Ma quando gli dicono di aver visto Gesù, Tommaso si oppone a una legge fondamentale della vita di una comunità: non si fida della parola dei suoi amici. Ha una fede critica, esigente, giudaica. Vuole toccare con mano. Rappresenta bene quelli che oggi non accolgono la testimonianza della chiesa ("Gesù forse sì, la chiesa no").
Tommaso rappresenta anche in qualche modo tutti quelli che vorrebbero sfidare Dio, imporgli di farsi vedere. Pare che il giovane Benito Mussolini a un comizio avrebbe detto: "Se Dio esiste, mi fulmini in questo istante, ma siccome sono vivo, Dio non esiste". Qualcosa del genere fece anche la scrittrice francese Simone de Beauvoir, che a 15 anni volle risolvere una volta per tutte il problema dell'esistenza di Dio. Si mise davanti a un orologio e comandò a Dio di farsi vedere entro cinque minuti. Dio naturalmente non obbedì, e Simone decise, con tutta sicurezza, che Dio non esisteva e non ci pensò più. Non sapevano che Dio ha scelto altri modi per parlarci e incontrarci.
Giovanni parla più volte di paura nel suo vangelo. In tanti uomini di ogni tempo ci può essere anche la paura del "numinoso", del divino che si manifesta e mette inquietudine. Di fronte a Dio che si manifesta, si può reagire in modi diversi. C'è chi cade in ginocchio come Tommaso, per poi testimoniarlo. Ma ci sono anche quelli che, come i discepoli di Emmaus, non si sentono abbastanza convinti, preferiscono non lasciarsi coinvolgere, dedicarsi ad altro o addirittura fuggire, pur avendo intuito che c'è del misterioso nelle parole di chi dice di aver incontrato Dio.
Ma ci sono anche quelli che mantengono un legame leggero con la fede, conservando un po' di pratica religiosa, ma senza troppa convinzione. E soprattutto guardandosi bene dal manifestare la propria identità cristiana nella società. "Ci sono troppe sacrestie nell'esistenza dei cosiddetti laici, che in pubblico si dichiarano agnostici, ma dentro mantengono un conto aperto, almeno con il dubbio che Dio esista. Non si sa mai" (mons. Enrico Masseroni).

Tonino Bello: "Era fatto così, Tommaso"
"Era fatto così Tommaso. No. Non era scettico. E tanto meno incredulo. Voleva solo vederci chiaro. Tanto che gli occhi non gli bastavano. Pretendeva il conforto delle mani: "...se non metto la mano nel costato"! Come Tommaso, il nostro gemello, anche noi vogliamo toccare. Anzi, più di Tommaso, perché lui volle toccare, ma poi di fatto non toccò. Seppe arrestarsi alle soglie del suo folle realismo… E cadde in ginocchio. Per noi, invece, è diverso. Il dubbio è divenuto cultura. L'incredulità, virtù. La diffidenza, sistema. E dire che ci brucia dentro tanta voglia di trasparenza"

Don Umberto DE VANNA sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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