FIGLIE DELLA CHIESA,LECTIO DIVINA II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia

II Domenica di Pasqua
o della Divina Misericordia
Antifona d'ingresso
Come bambini appena nati,
bramate il puro latte spirituale,

che vi faccia crescere verso la salvezza. Alleluia. (1Pt 2,2)

Oppure:
Entrate nella gioia e nella gloria,
e rendete grazie a Dio, che vi ha chiamato
al regno dei cieli. Alleluia. (4 Esd 2,36-37 (Volg.))

Colletta
Dio di eterna misericordia,
che nella ricorrenza pasquale
ravvivi la fede del tuo popolo,
accresci in noi la grazia che ci hai dato,
perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza
del Battesimo che ci ha purificati,
dello Spirito che ci ha rigenerati,
del Sangue che ci ha redenti.

Oppure:
O Padre, che nel giorno del Signore
raduni il tuo popolo per celebrare
colui che è il Primo e l’Ultimo,
il Vivente che ha sconfitto la morte,
donaci la forza del tuo Spirito,
perché, spezzati i vincoli del male,
ti rendiamo il libero servizio
della nostra obbedienza e del nostro amore,
per regnare con Cristo nella gloria.

PRIMA LETTURA (At 5,12-16)
Venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne.
Dagli Atti degli Apostoli

Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 117)
Rit: Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre». Rit:

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo! Rit:

Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina. Rit:

SECONDA LETTURA (Ap 1,9-11.12-13.17-19)
Ero morto, ma ora vivo per sempre.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

SEQUENZA
[Facoltativa]

Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge,
l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.

Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.

«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».

Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

Canto al Vangelo (Gv 20,29)
Alleluia, alleluia.
Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Alleluia.

VANGELO (Gv 20,19-31)
Otto giorni dopo venne Gesù.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Preghiera sulle offerte
Accogli con bontà, Signore.
l’offerta del tuo popolo [e dei nuovi battezzati]:
tu che ci hai chiamati alla fede
e rigenerati nel Battesimo,
guidaci alla felicità eterna.

PREFAZIO PASQUALE I
Cristo agnello pasquale

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
proclamare sempre la tua gloria, o Signore,
e soprattutto esaltarti in questo giorno
nel quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato.
È lui il vero Agnello
che ha tolto i peccati del mondo,
è lui che morendo ha distrutto la morte
e risorgendo ha ridato a noi la vita.
Per questo mistero,
nella pienezza della gioia pasquale,
l’umanità esulta su tutta la terra,
e con l’assemblea degli angeli e dei santi
canta l’inno della tua gloria: Santo...

Antifona di comunione
“Accosta la tua mano,
tocca le cicatrici dei chiodi
e non essere incredulo, ma credente”. Alleluia. (cf. Gv 20,27)

Preghiera dopo la comunione
Dio onnipotente,
la forza del sacramento pasquale che abbiamo ricevuto
continui a operare nella nostra vita.

INTRODUZIONE
Dinanzi a questi versetti è come essere sulla spiaggia, guardare verso l’immensità del mare e chiedersi “chi cerchi”?
Chi cerchi è la domanda che sta sotto tutto il capitolo 20. Chi cerchi Maria... Chi cercate Pietro e Giovanni, dopo aver corso?... Chi cercate voi discepoli che vi rallegrate alla sua vista?... Chi cerchi Tommaso?... Chi cerchi ancora tu Pietro? E’ il Signore!
L’articolazione del capitolo giovanneo relativo alla Pasqua nella sua forma attuale, si presenta fondamentalmente così:

vv. 1-18 raccontano i fatti avvenuti la mattina del primo giorno della settimana = Domenica di Pasqua;
vv. 19-23 invece l’apparizione di Gesù ai discepoli la sera dello stesso giorno;
vv. 24-29 la storia di Tommaso che è collegata a questa apparizione ed avviene la domenica successiva;
vv. 30-31 costituiscono la conclusione di tutto il vangelo.

Questi versetti ci mettono subito dinanzi ad un dinamismo, quello del susseguirsi del mattino e della sera, dall’andare delle donne e dei discepoli Pietro e Giovanni verso il Signore “rimosso” dal sepolcro, e del venire del Signore verso i discepoli nel loro posto di ritrovo. All’incontro col Risorto, riservato in forma privata a Maria di Magdala, segue l’apparizione di Gesù ai discepoli la sera dello stesso giorno.
Si può stabilire un certo parallelismo tra il sepolcro vuoto e l’apparizione del Risorto: Maria nota per prima che il sepolcro è vuoto e il fatto è poi confermato da Pietro, con l’altro discepolo; così pure il Risorto si incontra prima con Maria e poi si manifesta ai discepoli.
Le due apparizioni sono entrambe connesse dall’accenno “al vedere il Signore”. L’esperienza, che Maria porta a conoscenza dei discepoli: “ Ho visto il Signore” (v. 18), si ripete per i discepoli nello stesso giorno: “essi si rallegrarono al vedere il Signore” (v. 20b).

Lectio
v. 19
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato: si tratta del primo giorno della settimana nel quale Maria di Magdala aveva rinvenuto il sepolcro vuoto, l’episodio che ora segue è collegato alla precedente narrazione. L’evento del mattino continua la sera e raggiunge il suo culmine.
Gesù venne: tale espressione è tipica di Giovanni nel contesto dei racconti pasquali, l’annuncio verrò presto che caratterizzava il discorso di addio, v. 14,18ss., si realizza.
E stette in piedi in mezzo a loro e disse pace a voi: lo stesso verbo, stare in piedi lo ritroviamo in Lc 24,36 e in Gv 20,14, ed evoca con la posizione eretta il trionfo sullo stato del giacere che la morte significa (Gv 20,12).
Giovanni non sottolinea che Gesù abbia attraversato le porte, ma intende dirci, che Gesù è capace di rendersi presente ai suoi quando vuole, può raggiungere i propri discepoli in ogni circostanza, ed è là improvvisamente, in mezzo a loro. I discepoli in ansia vengono liberati dalla paura e dalla tristezza con l’apparizione di Gesù in mezzo a loro.
Pace a voi:  è la pace, la mia, che io vi do; non ve la do alla maniera del mondo (Gv 14,27).
Dopo questo primo versetto, Gesù si fa riconoscere dai discepoli, come Colui nel quale loro avevano posto tutta la loro speranza, ed è stato crocifisso. Il saluto di pace di Gesù e la certezza che si tratta di Lui, il crocifisso e il trafitto, fanno sì che la paura ceda alla gioia

v. 20
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli alla vista del Signore furono pieni di gioia: il Signore mostra le mani e la ferita del costato, da cui era sgorgato sangue ed acqua (Gv 19,34), in modo da ripetere con il salmista: “hanno forato le mie mani e i miei piedi” e ancora un invito a fissare lo sguardo su colui che hanno trafitto.
Riconoscere così il Signore, significherà per i discepoli intessere con Lui una relazione senza eguali, una relazione definitiva: “in quel giorno voi riconoscerete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi” (Gv 14,20). Gesù mostra solo le mani e il costato ai discepoli; non si dice che essi lo abbiano toccato. Riconoscere, intessere una relazione con il Risorto, significherà per il discepolo, assumere una missione, andare oltre il proprio vissuto, aprirsi all’avvenire del mondo.

vv. 21-23
Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”: all’inizio Gesù rinnova il dono della pace, come ad indicare una cosa nuova che proprio allora spunta, è iniziato un tempo nuovo e le cose di prima sono passate ne sono nate di nuove.
Gesù l’inviato del Padre, ora invia i suoi discepoli, per il fatto che “il Padre mi ha inviato, così anch’io mando voi”. Il Figlio estende la sua missione, mostra la continuità di un’unica missione, ricevuta dal Padre. Essere inviati comporta anche un’altra relazione, come il Padre rimaneva sempre presente a Gesù, così i discepoli non saranno mai soli nel compimento della missione, perché chi crede in Lui farà le opere che Lui compie e ne farà di più grandi, perché Lui va al Padre (14,12). Da questo riconosciamo che dimoriamo in Lui ed Egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito (1Gv 4,13; cf 3,24).

v. 25
Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”: Ai discepoli era bastato che Gesù mostrasse loro le mani e il costato; Tommaso esige un controllo più dettagliato.
Tardo a capire, Tommaso è però fedele a Gesù (Gv 11,6); solo non comprende la via del suo Signore (Gv 14,5); egli dunque non è “l’incredulo”, ma la persona che la debolezza rende incapace di credere e che solo dallo stesso Gesù, dopo la risurrezione, riceverà in dono la fede totale.
E’ evidente il crescendo dal “ vedere” le ferite provocate dai chiodi “ all’infilare” il dito in esse e la mano nella ferita al costato di Gesù.
Al tal proposito si può notare la contraddizione apparente tra l’elogio del discepolo amato che “vide e credette”, e il rimprovero a Tommaso “perché mi hai veduto, credi”.

v. 26
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso: qui non si parla più della paura dei discepoli dei Giudei, perché essa non si concilia più con la gioia pasquale, di cui sono colmi.
La scelta di otto giorni ha il motivo della prassi liturgica, per ricordare alla comunità, che nelle sue celebrazioni si deve ricordare di quell’apparizione di Gesù a Tommaso. Questo è il giorno del Signore, a ricordo della sua risurrezione.

v. 27
Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”: Gesù si presenta a Tommaso con le stesse parole usate dal discepolo, così egli si rende conto che Gesù vede nel suo intimo, che Gesù risponde alle pretese del discepolo, esaudisce il suo desiderio provocatorio.
Gesù legge nel cuore, legge i cuori, già era successo con Natanaele (Gv 1,47-50), è bastata una parola di Gesù per provare a Natanaele come sia conosciuto bene da Gesù.

v. 28-29
Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”: il vangelo non ci dice alla fine se Tommaso abbia toccato le ferite del suo Maestro, ma sicuramente ci dice che ha visto. Come per Natanaele, così per Tommaso c’è alla base un riconoscere il Signore, il Maestro, come proprio: “mio Signore e mio Dio”.
Gesù ha conquistato quel cuore, potremmo dire in un certo senso è Gesù che ha messo la mano nel cuore di Tommaso e lo ha cambiato e lo ha conquistato.
Gesù è stato per Tommaso quella “Parola di Dio  viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4,12).
Gesù ha operato in Tommaso quello che chiede Geremia: “perché la mia ferita è incurabile”?
Gesù ha operato in Tommaso una discesa nei suoi inferi, voleva toccare le ferite del suo Maestro e dalle sue ferite è stato guarito, perché ha potuto toccare le sue. In questi inferi vita e morte si sono combattute come in un duello, ma il Signore era al suo fianco come un prode valoroso, Lui il Primo e l’Ultimo.
Tommaso è sceso nei propri inferi, non ha avuto paura perché la porta del sepolcro era stata già rimossa, ha potuto toccare le sue ferite, i suoi sentimenti più profondi forse di rabbia, di risentimento nei confronti di Gesù che li aveva lasciati, ora ha preso contatto con i suoi sentimenti e sono stati toccati da quelli di Gesù, dalla tenerezza di Gesù, dalla sua compassione.
Tommaso toccando le ferite di Gesù si è lasciato toccare, penetrare, purificare da quell’amore che è fino alla fine: “purificante amore, fa ancora che sia scala di riscatto la carne ingannatrice” (G. Ungaretti, la preghiera).
Tommaso forse ha sperimentato questa umile certezza di essere stato amato nel suo limite dal Suo Signore, ora in Lui si è aperta una dolce ferita, quella della sposa del Cantico, che sta nelle fenditoie delle rocce, che sta nelle feritoie, è ferita di amore. Tommaso, Didimo, gemello nostro, forse cercava un riparo dentro quelle piaghe,  per scoprire di essere a casa sua, per assaporare quello che più tardi scriverà S. Bonaventura da Bagnoregio: “lì, nelle piaghe del suo costato, dove Egli ha preparato un nido in cui nascondere i piccoli nati da un casto amore”.
Con Tommaso ci è chiesto di entrare in quelle ferite per scoprire le nostre, entrare in quel cuore e comprendere con l’apostolo quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere intimamente quell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza (Ef  3, 18-19).

Appendice
"E quando fu sera in quel giorno che era il primo della settimana, essendo per paura dei Giudei chiuse le porte del luogo dove stavano i discepoli riuniti, venne Gesú, e stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». E detto questo, mostrò loro le mani e il costato" (Gv 20,18-20).
I chiodi avevano trafitto le sue mani, e la lancia aveva aperto il suo costato; ed erano conservati i segni delle ferite per guarire dalla piaga del dubbio i cuori degli increduli. E le porte chiuse non avevano potuto opporsi al suo corpo, dove abitava la divinità. Colui, la cui nascita aveva lasciato inviolata la verginità della madre, poté entrare in quel luogo, senza che le porte venissero aperte.
"I discepoli furono pieni di gioia, vedendo il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: «Pace a voi»" (Gv 20,20-21). La ripetizione ha valore di conferma; cioè egli dà ciò che era stato promesso per bocca del Profeta, pace aggiunta a pace (cf. Is 26,3). "Come il Padre ha mandato me" - aggiunge il Signore -"anch`io mando voi" (Gv 20,21).
Sapevamo già che il Figlio è uguale al Padre; ora ascoltiamo le parole del Mediatore. Egli mostra, in effetti, di essere il Mediatore, in quanto dice: Egli ha mandato me e io mando voi. "Ciò detto, alitò sopra di essi, e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo»" (Gv 20,22). Soffiando su di essi, mostrò che lo Spirito non era soltanto del Padre, ma era anche suo. "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Gv 20,23).
La carità della Chiesa che per mezzo dello Spirito Santo scende nei nostri cuori, rimette i peccati di coloro che partecipano di essa; ritiene invece i peccati di quanti non sono parte di essa. È  per questo che parlò del potere di rimettere o di ritenere i peccati, dopo aver annunziato: «Ricevete lo Spirito Santo».
"Ma Tommaso, uno dei dodici, che era chiamato Didimo, non era con essi, quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore».
Ma egli rispose loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel luogo dei chiodi, e la mia mano nel suo costato, non credo».
E otto giorni dopo, i suoi discepoli stavano di nuovo in casa, e Tommaso era con essi. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi».
E poi disse a Tommaso. «Appressa qui il tuo dito, e guarda le mie mani, e appressa la tua mano e mettila nel mio costato, e non voler essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose e disse: «Signore mio e Dio mi!»" (Gv 20,24-28).
Vedeva e toccava l`uomo, ma confessava la sua fede in Dio che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino allora aveva dubitato. "E Gesù gli disse: «Hai creduto perché mi hai veduto»" (Gv 20,29). Non disse: Mi hai toccato, ma disse soltanto: «Mi hai veduto», perché la vista in un certo modo comprende tutti gli altri sensi.
Anche noi, infatti, siamo soliti nominare la vista per intendere anche gli altri sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che suono armonioso, odora e vedi che odore gradevole, assapora e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo.
In ognuna di queste espressioni si dice: «vedi», anche se vedere è proprio degli occhi. È così che il Signore stesso dice a Tommaso: «Appressa qui il tuo dito, e vedi le mie mani». Egli dice in sostanza: Tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi sulla punta delle dita. Sia alla vista che al toccare si riferisce il Signore dicendo: «Hai creduto perché hai veduto».
Si potrebbe anche dire che il discepolo non lo toccò affatto, sebbene Gesù lo invitasse a farlo. L`evangelista infatti non dice: Tommaso lo toccò. Sia che egli abbia ritenuto sufficiente vedere, sia che abbia anche toccato, è vedendo che credette, e giustamente il Signore esalta come superiore alla sua la fede delle genti che non lo vedranno, con le parole: "Beati coloro che hanno creduto, senza avere veduto (ibid.)". In questa espressione usa il tempo passato, in quanto egli considerava, nella predestinazione, già avvenuto ciò che doveva verificarsi nel futuro. (Agostino, Comment. in Ioan., 121, 4s.)

Come il Signore, che portò nella Risurrezione una tale solidità di corpo da essere visto e toccato dai discepoli, poi si sia presentato in mezzo a loro mentre le porte erano sbarrate.
Alcuni sono sconvolti da questi particolari al punto da rischiar di perdere la fede, perché oppongono ai miracoli di Dio i pregiudizi dei loro ragionamenti.
Essi, infatti, dicono: Se era corpo, se erano carne e ossa, se il corpo era quello stesso che fu appeso in croce, come poté passare per una porta chiusa? Se non era possibile, non è avvenuto. Se era possibile, come era possibile?
Ma se tu puoi capire il modo, non c`è più il miracolo, e se non ti sembra un miracolo, sei sul punto di negare del tutto la risurrezione. Guarda fin dall`inizio i miracoli del tuo Signore, e dimmi come sono avvenuti. Non ci fu intervento d`uomo, e la Vergine concepì. Fammi capire, come ha fatto a concepire una vergine senza l`intervento d`un uomo. Dove vien meno la ragione, lì nasce la fede. Hai già un miracolo nella concezione del tuo Signore; senti ora quello del parto. Una vergine concepì e rimase vergine. Anche lí il Signore, prima di risorgere, è nato a porte chiuse.
Mi domandi ancora: Se è entrato a porte chiuse, dove se ne va il modo dei corpi? Ed io ti rispondo: Se camminò sopra il mare, dov`è il peso del corpo? Mi dici: Lì il Signore agì da Signore. Ed io: E quando risuscitò, non era più il Signore? E come si spiega che fece camminare sul mare anche Pietro? (cf. Mt 14,25-29). In Cristo agì la divinità, in Pietro la fede. Cristo fece da sé, Pietro aiutato da Cristo.
Se cominci a discutere l`essenza dei miracoli con i mezzi umani, ho paura che perdi la fede. Lo sai che niente è impossibile a Dio? Se uno, dunque, ti dirà: Se entrò a porte chiuse, non era corpo; tu digli: Eppure, se fu toccato, era corpo; se mangiò, era corpo; lo fece con un miracolo, non per via di natura. Non è meraviglioso il corpo quotidiano della natura? E` tutto un miracolo; ma ciò che accade ogni giorno non sorprende più.
Spiegami un po’: Perché l`albero del fico, che è così grande, ha un seme che appena lo si vede e la povera zucca fa un seme così grande? In quel seme così piccolo, poi, se rifletti, ma non lo vedi; c`è la radice e le foglie, e anche il frutto è anticipato nel seme. Delle cose ordinarie nessuno chiede il come, e tu mi chiedi il come dei miracoli.
Leggi il Vangelo e accetta i fatti. Dio ha fatto di più e tu non ti meravigli della cosa più grande di tutte: non c’era nulla, e il mondo c`è. (Agostino, Sermo 247, 2)

Il Risorto aiuta l`incredulità di Tommaso. "Metti il tuo dito nel foro dei chiodi" (Gv 20,27), mi hai cercato quando non c`ero, goditi ora la mia presenza. Anche se tacevi io sentivo il tuo desiderio; prima che parlassi, conoscevo il tuo pensiero.
Sentii le tue parole e, anche se non mi mostravo, ero vicino alla tua incredulità; senza farmi vedere, davo tempo alla tua incredulità, in attesa del tuo desiderio. (Basilio di Seleucia, Sermo in Sanct. Pascha, 4)

Tommaso
Cari fratelli e sorelle, proseguendo i nostri incontri con i dodici Apostoli scelti direttamente da Gesù, oggi dedichiamo la nostra attenzione a Tommaso. Sempre presente nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10, 3; Mc 3, 18; Lc 6, 15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr At 1, 13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, ta'am, che significa "appaiato, gemello". In effetti, il Vangelo di Giovanni più volte lo chiama con il soprannome di "Didimo" (cfr Gv 11, 16; 20, 24; 21, 2), che in greco vuol dire appunto "gemello". Non è chiaro il perché di questo appellativo.
Soprattutto il Quarto Vangelo ci offre alcune notizie che ritraggono qualche lineamento significativo della sua personalità. La prima riguarda l'esortazione, che egli fece agli altri Apostoli, quando Gesù, in un momento critico della sua vita, decise di andare a Betania per risuscitare Lazzaro, avvicinandosi così pericolosamente a Gerusalemme (cfr Mc 10, 32). In quell'occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli: "Andiamo anche noi e moriamo con lui" (Gv 11, 16). Questa sua determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D'altronde, quando i Vangeli usano il verbo "seguire" è per significare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo, quando così rassicura i cristiani di Corinto: "Voi siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere" (2 Cor 7, 3). Ciò che si verifica tra l'Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro.
Un secondo intervento di Tommaso è registrato nell'Ultima Cena. In quell'occasione Gesù, predicendo la propria imminente dipartita, annuncia di andare a preparare un posto ai discepoli perché siano anch'essi dove si trova lui; e precisa loro: "Del luogo dove io vado, voi conoscete la via" (Gv 14, 4). È allora che Tommaso interviene dicendo: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?" (Gv 14, 5). In realtà, con questa uscita egli si pone ad un livello di comprensione piuttosto basso; ma queste sue parole forniscono a Gesù l'occasione per pronunciare la celebre definizione: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14, 6). È dunque primariamente a Tommaso che viene fatta questa rivelazione, ma essa vale per tutti noi e per tutti i tempi. Ogni volta che noi sentiamo o leggiamo queste parole, possiamo metterci col pensiero al fianco di Tommaso ed immaginare che il Signore parli anche con noi così come parlò con lui. Nello stesso tempo, la sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di chiedere spiegazioni a Gesù. Noi spesso non lo comprendiamo. Abbiamo il coraggio di dire: non ti comprendo, Signore, ascoltami, aiutami a capire. In tal modo, con questa franchezza che è il vero modo di pregare, di parlare con Gesù, esprimiamo la pochezza della nostra capacità di comprendere, al tempo stesso ci poniamo nell'atteggiamento fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in grado di donarle.
Notissima, poi, e persino proverbiale è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!" (Gv 20, 25). In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell'identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l'Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente" (Gv 20, 27). Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28). A questo proposito commenta Sant'Agostino: Tommaso "vedeva e toccava l'uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato" (In Iohann. 121, 5). L'evangelista prosegue con un'ultima parola di Gesù a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Questa frase si può anche mettere al presente: "Beati quelli che non vedono eppure credono". In ogni caso, qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno dopo Tommaso, quindi per tutti noi. È interessante osservare come un altro Tommaso, il grande teologo medioevale di Aquino, accosti a questa formula di beatitudine quella apparentemente opposta riportata da Luca: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete" (Lc 10, 23). Ma l'Aquinate commenta: "Merita molto di più chi crede senza vedere che non chi crede vedendo" (In Johann. XX lectio VI 2566). In effetti, la Lettera agli Ebrei, richiamando tutta la serie degli antichi Patriarchi biblici, che credettero in Dio senza vedere il compimento delle sue promesse, definisce la fede come "fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (11, 1). Il caso dell'apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.
Un'ultima annotazione su Tommaso ci è conservata dal Quarto Vangelo, che lo presenta come testimone del Risorto nel successivo momento della pesca miracolosa sul Lago di Tiberiade (cfr Gv 21, 2). In quell'occasione egli è menzionato addirittura subito dopo Simon Pietro: segno evidente della notevole importanza di cui godeva nell'ambito delle prime comunità cristiane. In effetti, nel suo nome vennero poi scritti gli Atti e il Vangelo di Tommaso, ambedue apocrifi ma comunque importanti per lo studio delle origini cristiane. Ricordiamo infine che, secondo un'antica tradizione, Tommaso evangelizzò prima la Siria e la Persia (così riferisce già Origene, riportato da Eusebio di Cesarea, Hist. eccl. 3, 1) poi si spinse fino all'India occidentale (cfr Atti di Tommaso 1-2 e 17ss), da dove infine raggiunse anche l'India meridionale. In questa prospettiva missionaria terminiamo la nostra riflessione, esprimendo l'auspicio che l'esempio di Tommaso corrobori sempre più la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Dio. (Papa Benedetto XVI, Udienza generale del 27 settembre 2006)

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