Mons.Silvano Piovanelli, Il Padre misericordioso, «Vangelo nel Vangelo»

Il Padre misericordioso, «Vangelo nel Vangelo»
Domenica 6 marzo - IV DOMENICA DI QUARESIMA «IN LAETARE» - «Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita»
Il Vangelo di Luca ci presenta quel capolavoro che è la parabola abitualmente chiamata «la parabola
del figlio prodigo», ma che meglio potrebbe essere chiamata «la parabola del padre e dei due figli». Il brano, definito da alcuni «un vangelo nel vangelo» (una parabola che esprime il contenuto di tutto il vangelo), è un capolavoro letterario universale ed assoluto, nel quale ogni parola esterna di commento sembra incrinare la freschezza e l’intensità del messaggio interiore. La condotta dei due figli ci fa scoprire il cuore del padre. Gesù non ha mai raffigurato il Padre con più vivezza ed evidenza.

Nel primo quadro abbiamo un inizio commovente nel fatto che il padre esaudisce la richiesta del figlio più giovane («dammi la parte del patrimonio che mi spetta») e divide tra loro le sostanze. Il figlio minore vuole sottrarsi ad ogni controllo ed esser libero di godersi la vita. Per noi questa «parte d’eredità» è la nostra esistenza, la nostra libertà, la nostra ragione e le nostre capacità, l’autoresponsabilità: beni preziosi, che abbiamo ricevuto da Dio.

Il secondo quadro è dominato dalla figura del padre, che spia una strada deserta, che spera contro ogni speranza, che appena si profila lontano la figura del figlio gli corre incontro per abbracciarlo, che gli tronca in bocca le parole preparate e lo travolge con la sua compassione e i vestiti nuovi e la festa organizzata per lui.

Il terzo quadro presenta la reazione del figlio maggiore: indignazione e rifiuto di metter piede in casa. Egli protesta clamorosamente dinanzi ad un servo per il comportamento del padre, il quale è costretto a venir fuori di persona a «pregarlo». Ma questa accondiscendenza non smuove il figlio, il quale pronuncia parole amare e ingiuste, ritenendosi offeso personalmente, perché a lui, fedelissimo e ossequiente al padre, non erano state date testimonianze pari a quelle riservate a chi aveva disonorato la famiglia e s’era mangiato con le prostitute i soldi sudati con il lavoro. La frase «questo tuo figlio» è un rigurgito di rabbia.

La parabola tace l’ulteriore reazione sia del figlio maggiore che del figlio minore: l’amore stupendo del padre splende in tutta la sua forza dinanzi a noi, invitati a riconoscere noi stessi in uno dei due figli - o, forse, in tutti e due, a volte nell’uno e a volte nell’altro - per dare la risposta che il cuore di Dio aspetta oggi da noi. In Gesù, Dio è costantemente all’opera per dare agli uomini una vita che soltanto Lui può dare, per colmarli di un amore che è soltanto suo: realtà e mistero insieme, un amore incomprensibile, ma certo; irresistibile per chiunque abbia ancora un cuore d’uomo.

Quel padre - che è Dio - con nessuno dei due figli è riuscito a farsi accettare come padre. Il figlio minore, che è voluto uscire di casa pretendendo subito la sua parte di eredità, anche quando la fame lo fa «rientrare in se stesso» e si pente e torna a casa, continua ad avere una idea sbagliata del padre. Ancor più il figlio maggiore non capisce l’amore gratuito del padre: non solo si indigna per l’accoglienza al fratello pentito, ma ha del suo ruolo di figlio un concetto offensivo per il padre - che non chiama mai «padre» - e dice «ti ho servito», «non ho trasgredito», come se fosse a servizio di un padrone.

«Qui è il cuore del Vangelo. Il cuore del mistero incomprensibile di Dio. Tanto incomprensibile che Dio manda i suoi “ambasciatori” come l’apostolo Paolo a dirci: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. Le posizioni sembrano capovolte. È come se la vittima di una grave ingiustizia implorasse il colpevole di consentirle il gesto liberatorio del perdono. È come se il creditore insistesse presso il debitore inadempiente cronico perché lo autorizzasse a strappare il documento del suo debito. Quale assurdità di amore! Il ritorno-conversione è la Pasqua attesa per ognuno» (Orazio Petrosillo).


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