padre Gian Franco Scarpitta "Meglio cambiare ottica"

Meglio cambiare ottica
padre Gian Franco Scarpitta  
V Domenica di Quaresima (Anno C) (13/03/2016)
Vangelo: Gv 8,1-11 
Con consuete immagini allegoriche e metafore, il profeta Isaia annuncia una novità esaltante di
prossimo rinnovamento della condizione umana parlando di liberazione e di salvezza. Si tratta di una novità assoluta che deve suscitare gioia e allegria nella vita di tutti gli uomini, per cui quanto avvenuto in passato va dimenticato perché ci si apre davanti un futuro prosperoso e promettente. Dimentico del passato e proteso verso il futuro, afferma Paolo di se stesso (Fil 3, 13). La liberazione che Isaia promette, anche se non per via diretta, riguarda la nuova concezione del peccato, che non deve essere visto solamente dalla prospettiva ascendente uomo - Dio, per la quale occorre che l'uomo si atteggi a servile riverenza in ossequio a distaccate norme ben prefissate che condizionano la vita dell'uomo e dettano ogni particolare della sua convivenza. In parole povere, non va visto il peccato come una serie di norme da trasgredire pena l'ira divina e la sua punizione, ma piuttosto va collocato nell'ottica discendente del rapporto Dio - uomo, e cioè in ordine alla misericordia di Dio sul quale si fonda, che a sua volta ha la meglio sul giudizio (Gc 2, 13). Dio è misericordia e ha a cuore la salvezza dell'uomo, con tutti i mezzi lo redime dal peccato e per questo lo chiama alla comunione con sé. Convince l'uomo quanto alla malizia del peccato, alla sua perniciosità intrinseca. Dio mette l'uomo davanti al proprio peccato facendoglielo considerare come realtà distruttiva per se stesso oltre che offesa e allontanamento da Dio e di conseguenza piuttosto che lanciare moniti dall'alto interviene egli stesso in suo aiuto, offrendo all'uomo tutti i mezzi con i quali porre fine al alla realtà peccaminosa che lo caratterizza. Fra questi mezzi il più esaltante è il Suo Figlio crocifisso. Questi è morto per noi peccatori (Rm 5, 8) e Dio lo ha mandato vittima di espiazione per i nostri peccati. Non soltanto dei nostri ma anche del mondo intero (1Gv 2,2). Dio prende le distanze dal male e condanna la realtà del peccato, ma questo non gli impedisce di usare amore e misericordia nei confronti di chi ne è vittima perché protagonista. Gesù stesso apporta nella sua persona e nel suo messaggio la predetta novità, soprattutto quando, come nel caso di questo episodio evangelico, piuttosto che condannare una donna non importa quanto peccatrice, tenta di mettere a rapporto i suoi accusatori con la loro responsabilità di coscienza. E' vero infatti che questa donna è una peccatrice pubblica e che peraltro il suo misfatto comporta discussioni e pregiudizi sociali; altrettanto vero che il peccato di adulterio secondo la mentalità del tempo poteva essere perdonato una volta sola (Marchadour) e che le conseguenze erano in ogni caso nefaste. Ciò nonostante, è proprio assodato che nessuno di costoro che adesso le muovono accuse e pregiudizi è privo di colpa grave? E' davvero certo che nessuno di questi uomini si sia macchiato di una colpa, magari non palese e risaputa come l'adulterio, ma in ogni caso sempre immeritoria davanti a Dio? Solo chi non ha mai peccato può veramente scagliare la pietra in direzione di questa donna perché solo il puro e il giusto ha argomenti validi per poterla accusare legittimamente. Coloro che interpellano Gesù su questo caso tentano astutamente di farlo cadere in un tranello e anzi lo mettono in mezzo a due fuochi pericolosi: se Gesù avesse infatti riposto affermativamente (Si, va condannata) avrebbe subito le beffe e le insinuazioni di scribi e farisei che lo avrebbero deriso: Questa sarebbe la misericordia e il perdono che continuamente insegna!"; se avesse risposto negativamente (No, non va lapidata) avrebbe suscitato lo sdegno degli astanti, che lo avrebbero tacciato di essere sovvertitore della legge. Gesù non si scompone. Scrive qualcosa sul pavimento, forse annota i peccati dei presenti che lo interpellano o forse scrive parimenti a Dio, che scriveva con il suo dito, sul Sinai, le "tavole della testimonianza"(Es 24, 13). Oppure può darsi che scriva una sentenza prima ancora che venga enunciata, secondo le usanze dell'epoca. Esattamente però non si sa cosa stia scarabocchiando sul pavimento. Quando l'insistenza dei suoi interlocutori lo scuote, allora risponde con naturalezza e disinvoltura, come se quello che aveva da dire fosse scontato per tutti: "Scagli la prima pietra chi non ha peccato." Ma è chiaro che nessuno è talmente immacolato da poterlo fare: la realtà peccaminosa interessa tutte quelle persone presenti, così come riguarda qualsiasi soggetto umano e a nessuno è lecito condannare gli altri quando la sua coscienza gli infligge pene magari ancora più severe per peccati e quando i suoi peccati, seppure sottaciuti e non palesati, sono del medesimo spessore di gravità. Tante volte accade poi che chi non pecca nelle azioni concrete ha già peccato nelle intenzioni e che l'esteriorità e l'apparenza non siano affatto il riflesso dell'interiorità e della coscienza. Se dovessimo davvero porre una condanna per ciascuno dei peccati che ci rimprovera la nostra coscienza, dovremmo essere tutti quanti lapidati. Per quanto allora possa essere grave e riprovevole un qualsiasi peccato, esso va considerato in ordine alla misericordia di Dio anziché in rapporto alla legiferazione umana. Nell'ottica di Gesù Cristo " dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia"(Rm 5, 20) e la vera finalità della rivelazione è la salvezza del peccatore ad ogni costo. E così Gesù, l'unico che avrebbe potuto lapidare questa donna (!) si guarda dal giudicare severamente questa donna, ma le raccomanda semplicemente di astenersi dal peccato che è stata causa della sua rovina e dei suoi rischi. Come diceva Giovanni Paolo II, "al di fuori della misericordia di Dio, non c'è nessun'altra fonte di speranza per gli esseri umani". Soprattutto quando concedono troppo all'umano.

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